Nuove perizie e nuove rivelazioni di carabinieri che collaborano coi magistrati a quasi sei anni dalla sua morte
“Cucchi fu massacrato di botte”
Tre carabinieri indagati per falsa testimonianza
"Prendiamo atto con soddisfazione che ci sarebbero tre carabinieri sotto inchiesta per la morte di Stefano. Credo che si tratti solo dell'inizio; la verità sta venendo a galla".
Così Fabio Anselmo, legale della famiglia Cucchi, ha commentato la notizia che potrebbe segnare finalmente un punto di svolta nell'assassinio di Stato del giovane Stefano Cucchi: il geometra romano di 31 anni, arrestato dai carabinieri la notte del 15 ottobre del 2009, tradotto a suon di botte, manganellate, calci e pugni, prima nella stazione Appia, poi alla caserma Tor Sapienza e infine affidato alla polizia penitenziaria per il ricovero urgente presso l'ospedale Pertini dove Stefano morì il 22 ottobre del 2009 a sei giorni dall'arresto a causa del feroce pestaggio subito.
Sulla base di quanto emerso al processo d'Appello e delle testimonianze rese da due carabinieri che, probabilmente in preda al rimorso, hanno deciso di collaborare con gli inquirenti, la procura di Roma ha avviato nei mesi scorsi una nuova inchiesta affidata al Pubblico ministero (Pm) Giovanni Musarò chiamato a fare luce sulle palesi falsità dichiarate dai massacratori in divisa durante la prima inchiesta e al processo.
Il primo a finire nella lista degli indagati è l’ex vicecomandante della stazione di Tor Sapienza, Roberto Mandolini, che deve rispondere di “falsa testimonianza“ ma che finora si è avvalso della facoltà di non rispondere. La sua deposizione inerente la perquisizione domiciliare nei confronti di Stefano Cucchi e sulle ragioni del mancato fotosegnalamento del ragazzo risultano in netta contraddizione con i fatti accertati al processo d'Appello.
Il nuovo filone di indagini coinvolge anche altri due carabinieri: Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, che rischiano l’incriminazione per lesioni colpose.
La nuova inchiesta chiama direttamente in causa per la prima volta i carabinieri che quella notte arrestarono Stefano Cucchi. Una novità rispetto al primo filone di indagini che si era concentrato solo sulle responsabilità della polizia penitenziaria e dei medici del Pertini che curarono Cucchi durante i sei giorni di detenzione in ospedale fino alla morte.
Nel giugno 2013 la corte d'Appello di Roma aveva condannato i medici dell'ospedale romano, assolvendo invece gli infermieri e gli agenti della polizia penitenziaria. L'appello nell'ottobre 2014 poi aveva ribaltato la sentenza: tutti assolti. Un giudizio contro il quale sia la procura generale che i familiari di Cucchi avevano fatto ricorso, chiedendo inoltre l'avvio di un'inchiesta bis sulla morte di Stefano. Infatti gli stessi giudici nelle motivazioni della sentenza di assoluzione in appello invitavano la procura a valutare “la possibilità di svolgere ulteriori indagini al fine di accertare eventuali responsabilità di persone diverse” perché Cucchi “fu sottoposto ad una azione di percosse e non può essere definita una astratta congettura l'ipotesi prospettata in primo grado, secondo cui l'azione violenta sarebbe stata commessa dai carabinieri che lo hanno avuto in custodia nella fase successiva alla perquisizione domiciliare”.
A tal proposito l’avvocato della famiglia Cucchi ha aggiunto: “Abbiamo raccolto elementi che crediamo siano di grande contributo per far luce sull’intera vicenda, e li abbiamo immediatamente portati in procura. Sono certo che la procura avrà fatto molto di più. Questi elementi riguardano sia aspetti medico-legali sia la ricostruzione degli eventi dei quali è rimasto vittima Stefano. Lui è stato pestato probabilmente più volte e poi è morto in conseguenza di quei pestaggi”.
In particolare i due carabinieri (un uomo e una donna), che ora collaborano con i Pm, puntano il dito contro due loro superiori: il comandante della stazione di Tor Vergata, luogotenente Enrico Mastronardi, (mai citato nell’inchiesta nè indagato ma ascoltato nei mesi scorsi dagli inquirenti) e il maresciallo Mandolini; inoltre denunciano la falsificazione dei verbali d’arresto e parlano degli scontri fra i colleghi coinvolti nell'assassinio di Stefano nel tentativo di scaricarsi vicendevolmente le responsabilità.
“Mandolini s’è presentato che glie se stava a strigne il sederino. Lo volevano scaricà come fosse ‘na valiggetta”. La “valiggetta” sarebbe Stefano Cucchi e a parlare è la carabiniera, che nei giorni dell’arresto del ragazzo era in servizio alla stazione di Tor Vergata, a Roma. La sua testimonianza resa il 14 maggio scorso è agli atti dell’inchiesta bis.
“Ero in corridoio con il comandante – ha raccontato la carabiniera –. Arrivò Mandolini, che non conoscevo, in evidente stato di agitazione e disse a Mastronardi che i carabinieri avevano massacrato di botte un ragazzo”. Lei non conosceva Stefano Cucchi, nè lo sente nominare allora. Ricollega la faccenda una settimana dopo, quando il ragazzo muore. La donna poi aggiunge che Mandolini non fece i nomi di chi avrebbe “massacrato” Cucchi: “Credo quelli che avevano operato l’arresto. Disse che non si erano regolati, a livello fisico. Cercavano di scaricarlo, ma nessuno si prendeva la responsabilità di prenderselo conciato così”. I due, a detta della signora, si chiusero poi nell’ufficio del comandante.
La versione della donna viene confermata dal suo collega appuntato che con lei era in servizio a Tor Vergata: “Quel giorno Mandolini si presentò con passo veloce e la faccia tesa – ha riferito l’appuntato - Gli chiesi: ‘Come stai?’. Mi disse: ‘I ragazzi hanno massacrato di botte un arrestato, è successo un casino’. Ho appreso solo dopo tramite i giornali che c’era stata la morte di Cucchi”. L' appuntato tira in ballo anche: "Il figlio di Mastronardi, Sabatino, anche lui carabiniere alla stazione Tor Sapienza, parlando del caso Cucchi mi disse: 'ho visto 'sto ragazzo male male. Mamma mia come l'hanno ridotto'. La notte dell'arresto Sabatino ha visto Cucchi massacrato di botte e mi disse che non volevano tenerlo nelle celle della caserma per come era combinato. 'Me l'hanno portato messo male, era in pessime condizioni'". Quindi secondo la ricostruzione dell'appuntato, Cucchi fu portato, dopo la perquisizione a casa (che avvenne all'1.30 di notte e in cui i genitori lo videro "sano"), alla stazione Appia, picchiato e poi accompagnato alla caserma Tor Sapienza.
Mentre la carabiniera ha aggiunto: “Mastronardi pretendeva che io facessi dei verbali di arresto falsi: faceva comparire me rispetto all’agente operante”. La donna racconta di aver subìto insulti e sul collega aggiunge: “Lo stanno massacrando. Mastronardi pretendeva che facessi annotazioni di servizio rispetto a lui dicendo che è pazzo, violento. Mi sono rifiutata”.
Anche il carabiniere racconta come i rapporti a Tor Vergata “si sono guastati quando ho cominciato a vedere atteggiamenti poco chiari. (…) Io mi sono visto messo in un verbale d’arresto quando ero a riposo”. Non solo. Il carabiniere dopo la sua deposizione ha subito anche una perquisizione nell'ambito di un procedimento a dir poco inquietante e del quale a tutt'oggi non si sa né chi l'ha ordinata e né il motivo per cui è stata affettuata.
Intanto i Cucchi hanno consegnato una nuova perizia medico-legale sulla frattura della terza vertebra lombare, che per l'avvocato Anselmo era la diretta conseguenza del pestaggio ma che secondo i periti della corte addirittura non c’era.
La perizia è stata effettuata dal professor Carlo Masciocchi che scrive: "le fratture riscontrate sembrano essere assolutamente contestuali e possono essere definite, in modo temporale, come 'recenti'", ovvero comprese in una 'finestra temporale' "che, dal momento del trauma all'esecuzione dell'indagine radiologica o di diagnostica per immagini, è compresa entro 7-15 giorni". Nel dibattimento in Corte d'assise, invece, si era detto che nella zona lombare non ci fossero fratture recenti, ma solo un'ernia e gli esiti di una frattura del 2003, mentre nella zona sacrale, una frattura recente. Il motivo della frattura lombare recente non vista è, per il professor Masciocchi, spiegato con "la forte sensazione che sia stato esaminato un tratto di colonna che include solo metà soma di L3 fino alla limitante somatica superiore di L5. In altri termini penso che sia stato tagliato il soma di L3" per non farlo vedere ai periti del collegio giudicante.
30 settembre 2015