Viva la nuova rivolta del popolo palestinese
Contro l'occupante sionista, nazista e imperialista israeliano
Hamas: "L'Intifada proseguirà fino alla liberazione di Gerusalemme, della Cisgiordania e dell'intera Palestina"

 
Dal pomeriggio del 30 settembre la bandiera della Palestina sventola alle Nazioni Unite. Un riconoscimento importante ma formale al quale l'Onu non ha intenzione di far seguire atti a favore del popolo palestinese che proprio in quei giorni dava il via a una nuova rivolta contro l'occupante sionista, nazista e imperialista israeliano. Una coraggiosa rivolta con in prima fila i giovani che armati solo di sassi, coltelli e molotov affrontano i carri armati e i mezzi blindati dell'esercito sionista in tutti i territori palestinesi e financo nelle città arabe di Israele.
La cronaca della rivolta palestinese del 20 ottobre dimostra che l'Intifada è ancora forte, si apre con la notizia dell'arresto in Cisgiordania, presso Ramallah, di uno dei leader di Hamas nei Territori occupati accusato dall'esercito di incitare al terrorismo e incoraggiato gli attacchi contro gli israeliani. Tel Aviv pretenderebbe che i palestinesi se ne stessero buoni sotto il suo tallone, negandogli persino il sacrosanto diritto a rivoltarsi all'occupazione. Hamas non si piega e lo stesso giorno un suo portavoce, Fathi Hammad, avvisava che "questa intifada continuerà fino alla liberazione di Gerusalemme, della Cisgiordania e della intera Palestina. Sosterremo l'intifada di Gerusalemme col nostro lavoro e col nostro sangue".
Secondo i dati rilasciati dal ministero della Sanità palestinese, dall’inizio di ottobre, sono 44 i palestinesi uccisi, 1.300 feriti e oltre 650 imprigionati.
Fra le manifestazioni che si sono svolte nei territori palestinesi registriamo quella del 13 ottobre, nell'ennesimo "giorno della rabbia" palestinese e dello sciopero generale, che interessava soprattutto scuole e attività commerciali, indetto dall’Alto comitato per i cittadini arabi d’Israele per protestare contro “il pericolo che grava sulla moschea al-Aqsa a Gerusalemme e il grilletto facile della polizia”.
La città di Gerusalemme, dove il regime sionista ha costruito un nuovo muro per isolare i quartieri arabi, è divenuto uno dei centri della protesta palestinese, cresciuta anche perché è in corso un accelerazione del progetto del governo di Tel Aviv di espansione degli insediamenti sionisti e di espulsione della popolazione araba provocata e minacciata quotidianamente da polizia e coloni.
Lo scorso 9 ottobre Ismail Haniyeh, l'ex premier e numero 2 dell’ufficio politico del movimento islamico palestinese Hamas, dal lager di Gaza aveva dato appoggio alle proteste negli altri territori occupati affermando che “Gaza farà la sua parte nell’Intifada di Gerusalemme ed è più che pronta al confronto”. Haniyeh sosteneva l'Intifada definita "l'unica strada per la liberazione". Dall'altra parte il presidente palestinese, il collaborazionista Abu Mazen, che solo una settimana prima all'Onu sembrava fare la voce grossa contro il governo sionista, invocava la calma e si guardava bene dall'interrompere i rapporti con Tel Aviv e in particolare le famigerate collaborazioni degli apparati di sicurezza contro la resistenza armata e le proteste popolari.
Il premier sionista Benjamin Netanyahu il 12ottobre in parlamento condannava "il terrorismo frutto della volontà di annichilirci" e richiamava in servizio i riservisti di 13 unità dell’esercito per rafforzare la repressione della protesta palestinese attuata con arresti di massa in Cisgiordania e raid aerei su Gaza. E intimava al fido Abu Mazen di "condannare gli attentati". L'arroganza senza pari del boia sionista Netanyahu risultava palese nella denuncia di un attivista palestinese che sottolineava come i palestinesi sono l’unico popolo sulla terra a cui è chiesto di garantire la sicurezza degli occupanti mentre Israele è l’unico paese che esige di essere protetto dalle proprie vittime.
Se nel caso delle prime due volte dell'Intifada, le rivolte contro l’occupazione del 1987-1993 e del 2000-2005, si è registrato un episodio particolare cui fare riferimento per indicarne l'avvio, questa volta la rivolta contro l'occupazione è cresciuta nel tempo, alimentata finora dalla quotidiana repressione sionista. In ogni caso non si tratta più di episodi isolati ma oramai di una serie di attacchi che non accenna a interrompersi. E che ha una caratteristica particolare, non nuova per le rivolte palestinesi, quella della presenza massiccia di giovani in prima fila nelle manifestazioni, negli scontri e negli attacchi. Giovani e spesso minorenni tanto che dei 28 morti palestinesi nei primi 13 giorni di ottobre, la stragrande maggioranza è minorenne, tutti hanno meno di 30 anni. Secondo il Centro “Prigionieri di Palestina" il 30 per cento degli arrestati dall’inizio di ottobre sono bambini e ragazzi minorenni.
L'Autorità nazionale palestinese denunciava il 12 ottobre che dall’inizio del mese sono oltre 1.300 i palestinesi feriti con proiettili veri e proiettili di gomma, negli scontri che si sono allargati ormai a tutti i territori occupati della Cisgiordania e di Gaza e nelle cittadine arabe israeliane da Dimona a Afula e a Haifa e Taibeh. Un bilancio che è già da Intifada.
Tra le manifestazioni del 9 ottobre spiccava quella nella striscia di Gaza dove, al termine della preghiera del venerdì, centinaia di giovani si lanciavano verso vari punti delle recinzioni che sigillano la striscia gridando slogan a difesa della Moschea di al Aqsa di Gerusalemme. Lanciando sassi e dando fuoco a copertoni arrivavano a ridosso dei soldati sionisti occupanti che presidiano diversi punti del “confine”, protetti in alte torri di cemento armato, violando così la cosiddetta “no-go zone”, una striscia di territorio lungo la recinzione nella quale ai palestinesi è vietato entrare. I soldati avevano l'ordine di aprire il fuoco e sotto i colpi cadevano 7 palestinesi, almeno una sessantina i feriti.
Massicce proteste si sviluppavano anche nelle città arabe in territorio israeliano in sostegno della rivolta negli altri territori occupati e denunciando le leggi razziste di Tel Aviv, che discriminano tra chi è ebreo e chi no, penalizzando la minoranza araba. Nella quale cresce il consenso alla posizione che chiede la creazione di uno Stato unico democratico, non sionista.
Un appello per l'unità delle forze nazionali e islamiche era lanciato il 9 ottobre dal Fronte popolare di Liberazione della Palestina (Fplp) per "gestire le battaglie di questa rivolta" per farla crescere "a un livello travolgente" contro l'occupazione, per una "Palestina libera e araba dal fiume al mare".
Nella riunione straordinaria al Cairo del 13 ottobre anche la Lega Araba esprimeva il suo appoggio ai palestinesi. “Sosteniamo completamente la rivolta del popolo palestinese”, dichiarava il segretario generale Nabil el Arabi che lanciava un appello alla comunità internazionale ad assumersi le proprie responsabilità nei confronti dei palestinesi per “proteggerli dalla macchina da guerra israeliana”.

21 ottobre 2015