Messina e la Sicilia muoiono di sete
Gela, Caltanissetta, Agrigento e la provincia di Enna in emergenza permanente
Renzi e Crocetta responsabili politici del disastro
Dal nostro corrispondente della Sicilia
Senz'acqua ormai dal 23 di ottobre, da quasi venti giorni, Messina, 240mila abitanti, la terza città della Sicilia, muore di sete e le masse popolari abbandonate dai governi Renzi e Crocetta, sono, giustamente, esasperate. Hanno visto una serie di interventi di ripristino falliti, condotte appena riparate che si rompono nuovamente, code interminabili alle poche fontane e cisterne funzionanti in città, scuole, università, municipi e uffici pubblici chiusi, cliniche e studi privati sbarrati per scongiurare la crisi sanitaria dietro l'angolo, ristorazione e somministrazione pasti in ginocchio, anziani, malati e disabili segregati in casa senza una goccia d'acqua.
Non sanno che pesci pigliare
La causa scatenante: una frana a Calatabiano (Catania), 50km a sud di Messina, ha distrutto la condotta idrica di Fiumefreddo. Dopo le piogge torrenziali e con la criminale incuria del territorio, il rischio idrogeologico a Calatabiano è enorme. L'intera montagna che sovrasta il paese si muove e rischia che, con gli interventi di ripristino, il fronte franoso piombi sulla condotta, riversando un'ondata d'acqua sull'abitato. E tanto per capire il livello di monitoraggio del territorio, la zona di Calatabiano era considerata come area bianca nel piano di dissesto idrogeologico, cioè non a rischio.
Il sindaco di Calatabiano si oppone ai lavori. Le pressioni arrivano da ogni parte. Il 26, senza tener conto dell'allarme degli abitanti del paesino, iniziano i lavori di ripristino. Ma l'acqua continua a non arrivare a Messina. La montagna si è velocemente rimangiata la condotta. Che fare? I tecnici non lo sanno. Intervengono i cinguettii indignati del nuovo duce che, dalla sua poltrona di Palazzo Chigi, twitta “è una vergogna!”. L'effetto è devastante. Non sapendo che fare, i tecnici tornano a intervenire sulla condotta, sfidando ancora la montagna. Del paese di Calatabiano “cu si 'nni futti”. Il duce ha parlato. Ma la montagna non ha ascoltato il cinguettio e si rimangia ancora la condotta dopo 24 ore dal ripristino. Alla fine, qualcuno capisce che è concreto il rischio che le masse di Calatabiano denunciavano, cioè che la montagna, franando a valle, porti con sé i mille litri al secondo dell’acquedotto, scaricandoli sulla testa dei locali.
Si tenta un'altra soluzione, il fronte franoso viene “aggirato”, riconnettendosi all'acquedotto dell'Alcantara, costruito negli anni Settanta dal comune di Messina, ma sottratto ai messinesi per essere gestito dalla privata Siciliacque. I privati, tra cui le più grandi multinazionali del settore, Veolià in testa, non sono in grado di risolvere il problema. La portata ridotta non mette in carico i serbatoi a Messina, che continua a restare a secco nei piani alti.
Che fare? Con una scelta azzardata, Siciliacque aumenta la portata, in parte per dimostrare di essere all'altezza in parte per continuare a garantirsi i profitti. Risultato: anche il bypass sistemato da Siciliacque si spezza.
Diverse intanto le manifestazioni di protesta a Messina. In centinaia si radunano davanti al Comune per protestare contro l'amministrazione dell'anarchico Renato Accorinti, incapace di fronteggiare la carenza idrica. L'aula consiliare viene occupata. Il servizio predisposto con autobotti per un totale di 29 mezzi non è sufficiente, come anche il coinvolgimento dell'esercito, con appena cinque autobotti e una nave cisterna. Altre soluzioni? Nessuna. A 19 giorni dall'inizio dell'emergenza, l'acqua continua a essere erogata a singhiozzo, solo in alcuni quartieri e per poche ore. Di fatto, l'amministrazione di Accorinti non è stata in grado di affrontare e risolvere un problema che ha messo in ginocchio la città.
Non solo, i problemi idrici, paradossalmente dopo le piogge torrenziali degli ultimi giorni, si estendono anche in altre zone della Sicilia. Milazzo, in provincia di Messina, rischia di rimanere a secco per la rottura di una condotta. In tre paesi dell'Agrigentino vengono trovati colibatteri nelle reti idriche e la distribuzione dell'acqua viene interrotta. A Gela, dove l'acqua viene erogata ogni tre giorni, durante le ore notturne e a volte è non potabile per la presenza di colibatteri, scoppia la protesta. Più di 2.000 persone, in due giorni, firmano la petizione "Acqua: Gela come Messina". Stessa situazione a Caltanissetta. Ad Enna, l'erogazione è ferma da sei giorni. Il fango ha intasato il potabilizzatore della diga Ancipa. A secco anche i comuni di Aidone, Agira, Calascibetta, Cerami, Gagliano, Leonforte, Nicosia, Nissoria, Piazza Armerina, Sperlinga, Troina, Valguarnera e Villarosa.
La responsabilità di Crocetta e Renzi
Cosa insegna il caso Messina? In primo luogo che le istituzioni borghesi vanno completamente nel pallone quando si tratta di risolvere i problemi concreti. Sono una manica di avvoltoi appollaiati sulla poltrona solo per rubare danaro pubblico.
In secondo luogo insegna che la gestione privatistica del settore ha mostrato di essere un inefficiente intreccio di interessi, protetto dalle leggi dello Stato che hanno favorito i disservizi e l'incuria delle strutture idriche. All'abbandono del pubblico, si è sostituito il nulla, l'incuria totale delle strutture affidate ai privati, unicamente interessati al profitto. La privatizzazione ha portato inevitabilmente a una perdita di competenze amministrative pubbliche, di conoscenze tecniche, di efficienze, di cura degli impianti un tempo pubblici.
Viene da lontano il problema, certo. La crisi idrica siciliana è un mostro ormai secolare mai sconfitto dalle istituzioni borghesi e che all'improvviso sferza colpi di coda micidiali. Questo è vero. Ciò però non significa che le istituzioni borghesi che siedono oggi sulle massime poltrone non abbiano responsabilità consistenti.
Crocetta, governatore siciliano del PD si difende: “Responsabilità politiche per l'emergenza a Messina? "Nessuno cerchi di scaricare su Roma e sulla Regione incompetenze letali e mancati interventi che dovevano essere fatti in passato”.
In verità, Crocetta che non può più appellarsi a scuse: governa da tre anni esatti.
E' passato abbastanza tempo perché risolvesse il problema e non lo ha fatto, ciò significa che non ha voluto, ferma restando la sua abissale incompetenza, che non ha pari nello scenario infame dei governatori siciliani.
E che dire dell'irrisolta crisi idrica a Gela, che lui da sindaco ha amministrato dal 2002 al 2009?
Crocetta è responsabile, non foss'altro perché non si cura del dissesto idrogeologico siciliano che sta inghiottendo paesi, autostrade e ora reti idriche, perché non stanzia fondi per il monitoraggio, la cura e la manutenzione ordinaria e straordinaria del nostro territorio, non combatte la disorganizzazione, non si cura di predisporre un piano per fronteggiare lo sbriciolamento delle opere pubbliche, o ex-pubbliche siciliane che stanno cadendo a pezzi, da ospedali a viadotti, ad acquedotti a scuole.
Ma c'è un'altra questione politica: il logorroico chiacchiericcio inconcludente che ha contraddistinto il Crocetta della crisi messinese si inserisce nella battaglia ideologica sul governo del settore idrico, che il caso Messina ha aperto, o per meglio dire rinfocolato, come ci si poteva aspettare.
Abbiamo visto più interventi in questi giorni a sostegno della legge truffa 455/2015 "disciplina in materia di risorse idriche”, recentemente approvata in Sicilia, che si sono trasformate in difese dell'operato di Crocetta. Ma il punto è che questa legge, checché ne dica il Manifesto
trotzkista, non garantisce la gestione ”pubblica” del settore, anzi viene incontro agli indirizzi di politica privatistica sia del governo Renzi che dell'UE. E' una legge che protegge e ripropone lo stesso sistema che ha messo in ginocchio il settore. E quando Crocetta attacca la gestione municipalizzata di Messina, come di altri comuni siciliani, che si sono rifiutati di consegnare le strutture ai privati sta rivelando ancora una volta il suo appoggio al sistema privatistico e la volontà di punire e ricattare chi si oppone alla privatizzazione.
E' stato anche grazie al lui e al suo partito se i comuni in gestione municipalizzata sono esclusi dai finanziamenti pubblici e non potranno utilizzare i 700 milioni di euro stanziati da CIPE e UE, proprio perché una clausola impone che vengano assegnati solo se le reti sono state cedute ai privati.
E' un sistema ricattatorio esteso a tutta la Sicilia. Ad esempio Ragusa non ha mai ceduto le reti ai privati. Nel comune si registra una dispersione del 75% dell'acqua immessa nelle condotte. Il comune non può intervenire perché non ha ceduto le reti ai privati e non viene finanziato da Stato e Regione. Stesso discorso a Messina. Nell'accordo quadro del 2005 erano previsti nella provincia e nella città interventi per ben 92 milioni di euro. Messina non ha ceduto ai privati, ha preferito una gestione di “stampo medievale”, come l'ha definita il governatore, “affidata a una azienda municipalizzata": adesso sono fatti loro.
Ma dopo 20 giorni di emergenza tutta l'arroganza di questo sistema rattoppato e antipopolare è stata messa a nudo e i governi Renzi e Crocetta hanno dovuto stanziare 2 milioni di euro, per un’emergenza che durerà 180 giorni. Ma il meccanismo rimane lo stesso che ha generato il disastro: privati, superpoteri speciali, deroghe a tutto spiano.
Renzi è colpevole perché non si è mai speso per monitorare il dissesto idrogeologico e la crisi idrica che si stanno allargando a macchia d'olio in Sicilia, ma anche nel martoriato Mezzogiorno. Il suo unico interesse è quello di foraggiare ai massimi livelli questo corrotto, dispendioso, inefficace, rapace, antiecologico ed antipopolare sistema privatistico di gestione delle risorse naturali, del territorio, delle strutture di pubblica utilità, favorendo in maniera ostinata e criminale le lobby delle “grandi opere” che assorbono come un buco nero tutti i fondi, sottraendoli alla cura del territorio, al risanamento idrogeologico, alla risoluzione della crisi idrica.
Noi chiediamo la ripubblicizzazione senza compromessi del settore idrico in Sicilia, cosa che comporta una legge che sciolga Sicilacque e ricostituisca l'EAS, come il parlamento siciliano può fare, dato che la Sicilia ha competenza esclusiva in materia di risorse idriche, che metta fine al regime commissariale, che contenga norme organiche e finanziamenti per la difesa e il risanamento del suolo e delle risorse idrogeologiche e ricostituisca gli ATO secondo un nuovo schema tecnico che sia funzionale alle esigenze della popolazione e che preveda e finanzi società di diritto pubblico per gestire il servizio e vieti di stabilire riscatti di qualsiasi entità a carico degli enti pubblici siciliani per la rescissione di contratti con privati.
Chiediamo inoltre che il nuovo duce la smetta di stare sull'albero a “cinguettare” e si impegni a predisporre un piano urgente per risolvere la crisi idrica a Messina e in Sicilia e il dissesto idrogeologico del Sud, stornandovi i fondi previsti per gli inutili e dannosi progetti del Ponte e del Tav.
11 novembre 2015