Verso la conferenza Onu di Parigi sul riscaldamento climatico
L’accordo Usa Cina sulle emissioni prefigura un vertice tutto interno al capitalismo
A pochi giorni dall’inizio della Conferenza dell’ONU di Parigi sul clima alla quale parteciperanno più di 190 paesi di tutto il mondo, prevista per il 30 novembre prossimo con l’obiettivo di raggiungere un accordo globale sulla riduzione dei gas serra, l’attenzione di tutti i media internazionali è stata concentrata dalla fine di settembre a celebrare l’accordo USA-Cina sul clima. Entrambi i paesi sono responsabili del 45% delle emissioni di CO2 del mondo; la Cina è attualmente il primo “emettitore” ma in prospettiva storica, è responsabile solo del 7,6% contro il 30% del totale che spetta agli USA. In questo contesto si inserisce la decisione dell’UE che ha recentemente deliberato il taglio del 40% delle emissioni di gas serra entro il 2030, avendo come base i dati del 1990.
Il socialimperialismo cinese ha dichiarato di voler portare entro il 2030 al 20% del totale (ora 10%) l’energia prodotta senza l’utilizzo di combustibili fossili; inoltre, considerando inappropriatamente il nucleare al pari delle rinnovabili, sostiene di poter sviluppare oltre 1.000 gigawatt di energia “pulita”. In ultimo, ma non per importanza, il presidente XI Jinping ha affermato che sono pronti ben 3 miliardi di dollari al supporto di iniziative “green” nei paesi in via di sviluppo che noi leggiamo come una ulteriore iniezione d’influenza economica neoimperialista del colosso asiatico, più che aiuti a soddisfare esigenze di progresso. Gli USA hanno invece annunciato di voler ridurre le emissioni di gas serra del 25-28% entro il 2025, sulla base dati 2005.
L’annuncio dell’avvenuto accordo è stato salutato da un plauso unanime; anche il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon ha speso parole al miele per elogiare quello che è stato definito come un “importante contributo all’accordo sul clima che sarà raggiunto a Parigi”. In realtà nell’accordo la riduzione annunciata da Obama prende come base il 2005, anno di massime emissioni, mentre la convenzione Onu sui cambiamenti climatici, ratificata anche dagli Usa, indica come anno di riferimento il 1990, quando le emissioni erano ben più basse. Inoltre, a guardar bene, la riduzione riguarderebbe solo il settore elettrico. Il risultato, secondo alcuni studiosi di settore, sarà che gli Stati Uniti al 2030 aumenteranno del 4% le loro emissioni rispetto al 1990, e altri paesi, visto l’esempio, hanno già annunciato simili “finte riduzioni”.
Anche un altro punto fermo degli accordi internazionali fin qui raggiunti qual è il limite dei 2 °C massimi di aumento delle temperatura media globale, desta perplessità poiché quello non è un limite fissato dai climatologi che costantemente lanciano l’allarme del riscaldamento globale; il livello in realtà si basa sulle stime dei costi rivenienti dal limitare le emissioni da combustibili fossili fatti dall’economista inglese Nicholas Stern, secondo le quali fermarci a 450 ppm è il limite massimo a cui ci si può spingere senza bloccare lo sviluppo economico mondiale. Di fatto una stima oltre la quale non può andare il modello di sviluppo e di produzione capitalistico e non un limite necessario per salvaguardare veramente il nostro pianeta, le risorse e la natura. Da un punto di vista climatologico, dunque, nessuno sa con certezza se sia un limite ragionevole o meno e nonostante i 450 ppm siano solo un compromesso aleatorio, l’unica certezza è che al momento le misure annunciate non arrivano al 60% di quanto necessario per non superare quel limite.
Verso Parigi 2015. Cochabamba e le accuse al capitalismo
Con queste premesse, mosse per mano dei due principali paesi responsabili del cambiamento climatico, tante associazioni diverse per storia, cultura, obiettivi e ragioni sociali, in Italia e in tutto il mondo, guardano con fiducia alla conferenza di Parigi con un unico obiettivo: contrastare i cambiamenti climatici dando vita a una coalizione aperta a tutti quelli che condividono l'obiettivo di costruire iniziative e mobilitazioni comuni e diffuse, così da raggiungere la massima sensibilizzazione possibile sulla lotta ai cambiamenti climatici.
Al centro degli obiettivi individuati dalla Coalizione Italiana per Parigi 2015 (sorta da un insieme di oltre 50 associazioni ambientaliste italiane), quello di favorire la conversione del modello agricolo verso il biologico valorizzando il contributo dell'agricoltura alla riduzione delle emissioni, per bloccare il programma governativo di sviluppo delle trivellazioni, per avviare la costruzione nei diversi settori industriali di un modello produttivo che acceleri la transizione energetica in corso, garantendo i livelli occupazionali, per un futuro pulito, efficiente e rinnovabile.
Anche a livello mondiale l’argomento è al centro di un grande dibattito culturale, sociale e politico; testimonianza ne è anche il “Vertice dei popoli sull’ambiente” che si è tenuto a Cochabamba, in Bolivia nella metà dell’ottobre scorso che ha denunciato in maniera chiara e forte che la responsabilità del cambiamento climatico è totalmente da attribuirsi al capitalismo. Fra i punti fondamentali del documento, la necessità di adottare un nuovo modello globale senza consumismo, guerre, mercantilismo, capitalismo ed imperialismo ma proiettato verso la costruzione ed il consolidamento di un nuovo ordine mondiale basato sul “viver bene” ed il no secco all’aumento del debito estero dei paesi del sud del mondo.
Nonostante una carta di tante buone intenzioni e di preziose e giuste denunce verso il capitalismo e l’imperialismo, perfino alcuni suoi promotori si chiedono, pur rimanendo possibilisti, se il vertice di Parigi potrà soddisfare certe richieste. Parla così il sindaco di Bogotà, delegato per la Colombia:” Abbiamo proprio bisogno del discorso politicamente corretto dell’ONU? Meglio sarebbe convocare a Parigi le moltitudini dell’Europa, dell’Africa, dell’Asia e rilanciare una nuova Comune, come quella di Parigi in cui è nata la parola socialismo. Oggi è cominciata una nuova era e a Parigi può esserci una nuova opportunità.”
Naturalmente sappiamo bene che tutti i richiami al socialismo sono strumentali poiché nei paesi dell’America latina, ed in particolare in quelli che hanno avuto un ruolo di primo piano nella Conferenza come Venezuela, Bolivia, Uruguay e Colombia, il socialismo è al momento un miraggio anche nelle rivendicazioni di quei partiti che lo utilizzano nel proprio vocabolario. Rimangono interessanti comunque alcune denunce dirette senza giri di parole agli effettivi responsabili del riscaldamento globale e delle rapine energetiche dei già poveri paesi del sud del mondo, quali sono il profitto al centro di una economia capitalista ed imperialista.
Seguiremo con attenzione l’evolversi dei lavori anche se siamo certi che le aspettative ostentate dai capi di governo del sud del mondo non potranno avere soluzione alla conferenza di Parigi poiché è proprio il capitalismo che ha bisogno di continuare a legittimarsi con l’avallo di tutti i governi, ivi inclusi quelli che egli rapina ed affama con l’imperialismo. Le premesse quindi delineano l’ennesima grande parata di grandi proclami e scarsi risultati, che ha come scopo principale quello di mantenere costanti i rapporti internazionali e sociali, e subalterni i numerosi paesi in “in via di sviluppo”, al pugno di paesi capitalistici industrializzati imperialisti. La soluzione anche sul tema dell’ecologia e dell’ambiente esiste e si chiama socialismo, quello reale che si basa sul marxismo-leninismo-pensiero di Mao; il che non è certo materia trattabile alla conferenza ONU di Parigi.
25 novembre 2015