Obama: “Ankara ha il il diritto di difendere lo spazio aereo”
La Turchia abbatte un caccia russo perché “aveva sconfinato”
I paesi imperialisti uniti contro l'Is ma divisi per assicurarsi le spoglie della Siria e le zone di influenza nella regione
Il 28 novembre il presidente russo Vladimir Putin dopo aver firmato il decreto che vieta l'importazione di alcuni tipi di prodotti turchi e introduce divieti e limitazioni alle attività delle organizzazioni facenti capo ad Ankara, vietava alle aziende russe di assumere lavoratori turchi dal prossimo primo gennaio, sospendeva i voli charter tra i due Paesi e ordinava a agenzie e operatori turistici di non vendere pacchetti di viaggi verso la Turchia. Dall'1 gennaio 2016 sarà inoltre ripristinato il regime dei visti tra Russia e Turchia. Queste sanzioni hanno una durata "provvisoria", entreranno in vigore con la pubblicazione del decreto e resteranno valide finché non saranno cancellate dal governo russo. Il decreto di Putin è l'ultimo atto della crisi tra i due paesi aperto il 24 novembre dall'abbattimento di un aereo russo sul teatro di guerra siriano. Una crisi grave, seppur tenuta finora su toni bassi ma dagli sviluppi non ancora prevedibili perché dimostra che i paesi imperialisti sono uniti contro l'Is ma divisi per assicurarsi le spoglie della Siria e le zone di influenza nella regione; Russia e Turchia sono due fra i protagonisti della partita.
I venti di guerra tra alleati imperialisti nei cieli del Medio Oriente sono soffiati molto forte il 24 novembre allorché il premier turco, Ahmet Davutoglu, dava l'ordine di abbattere il jet russo Sukhoi Su-24 che secondo Ankara aveva sconfinato lungo la frontiera con la Siria "per 17 secondi" e ignorato ripetuti avvertimenti di andarsene. Per il ministero della Difesa russo il Su-24 si trovava in territorio siriano e era stato abbattuto da un F16 turco mentre tornava alla base aerea di Khmeimim, nei pressi di Latakia, e cadeva in territorio siriano nel villaggio di Yamadi.
La versione turca era accreditata dagli alleati Nato; "gli accertamenti di diversi alleati hanno confermato la versione della Turchia", spiegava il segretario Nato, Jens Stoltenberg, che comunque lanciava un appello alla "calma e alla de-escalation" e sottolineava la necessità di "rafforzare il meccanismo per evitare questi incidenti nel futuro".
Ai militari Nato rispondeva Viktor Bondarev, capo di Stato maggiore dell’aeronautica russa, che sosteneva come F16 fossero pronti a colpire tempo prima del passaggio dei jet russi che erano impegnati in territorio siriano a colpire le basi delle formazioni cecene e dei ribelli turcomanni contrari al regime di Assad e sostenuti da Ankara. Già alcuni giorni prima l'ambasciatore russo ad Ankara era stato convocato per dare spiegazioni dei bombardamenti di Mosca sui villaggi turcomanni.
Secco il commento del presidente russo Vladimir Putin che definiva l'azione "una pugnalata alle spalle" e avvertiva che "avrà conseguenze tragiche nei rapporti tra Russia e Turchia". Intanto saltava la visita a Ankara del ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov prevista per il 25 novembre.
I rapporti tra Mosca e Ankara erano andati peggiorando nel tempo in particolare dopo la decisione di Putin di intervenire militarmente in Siria a difendere Assad e per mantener il controllo delle zone dove ha le basi; pestando i piedi a Erdogan e alle ambizioni egemoniche locali dell'imperialismo turco. Nel recente G20 di Antalya, in casa di Erdogan, Putin aveva accusato che "i jihadisti dell'Is sono finanziati da persone provenienti da 40 Paesi, tra cui anche membri del G20", puntando il dito in particolare sulla Turchia; "La Russia non sta combattendo davvero l'Is in Siria, sta uccidendo turcomanni e siriani a Latakia", rilanciava Erdogan dopo l'abbattimento del jet di Mosca.
Nel contenzioso tra i due galletti imperialisti interveniva Barack Obama affermando che "la Russia deve spostare l'obiettivo dei suoi interventi" per colpire l'Is e non i ribelli anti-Assad mentre Ankara "ha il diritto di difendere il proprio territorio"; era il segnale che l'imperialismo americano stava col presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Anche se poi il 30 novembre a Parigi, alla conferenza sul clima, chiedeva a Turchia e Russia di "trovare un percorso diplomatico per risolvere la questione", perché "abbiamo tutti un nemico comune e voglio essere sicuro che, insieme alla Turchia, alleato Nato, stiamo concentrando la nostra attenzione a garantire che l'Is non sia più una minaccia". Le questioni legate alla spartizione delle spoglie della Siria e delle zone di influenza nella regione dovrebbero venire solo dopo. Facile a dirsi più difficile a farsi.
2 dicembre 2015