Gli imperialisti americani e russi uniti nel bombardare l'IS, divisi per spartirsi la Siria e il Medioriente
La Nato pronta a intervenire in Libia
Putin minaccia di usare armi nucleari. Capo Pentagono: Siamo in guerra
Gettata da tempo ogni maschera diplomatica gli imperialisti fanno ormai a gara a chi soffia di più sul fuoco che incendia tutto il Medio Oriente e il sud del Mediterraneo: dopo i proclami di guerra e i forsennati bombardamenti ordinati da Hollande sulla Siria, sulla cui scia si è subito buttato il britannico Cameron, ora sono il nuovo zar Putin e il capofila imperialista occidentale Obama ad alzare la voce, con proclami e minacce guerrafondaie che preannunciano una nuova e più pericolosa escalation del conflitto nella regione.
Il 9 dicembre, commentando soddisfatto a “Russia Today”
il lancio di missili da crociera da un sottomarino nucleare russo di nuova generazione incrociante nelle acque del Mediterraneo contro Raqqa capitale dell'IS, Putin ha sottolineato intenzionalmente come quel tipo di missili possano trasportare sia testate convenzionali che nucleari, aggiungendo poi con aria volutamente minacciosa: “Naturalmente non è necessario quando si combattono terroristi e, spero, non ce ne sarà mai bisogno”.
Il giorno precedente il ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu, aveva annunciato che per la prima volta lo Stato islamico era stato colpito da missili lanciati da un sottomarino lungo le coste siriane nei pressi di Cipro, aggiungendo a mo' di rassicurazione che dell'attacco erano stati preavvertiti sia gli Stati Uniti che Israele. Anche il ministro degli Esteri russo, Lavrov, ha cercato di smussare precisando che “non c'è necessità di usare l'atomica: ce la possiamo cavare con le armi convenzionali, cosa che corrisponde a pieno alla nostra dottrina militare”: con ciò ribadendo, più che attenuare, la minaccia del presidente russo.
Confronto ravvicinato Usa-Russia
Quasi contemporaneamente all'avvertimento di Putin, il segretario alla Difesa americano Ashton Carter, in un'audizione davanti al Congresso Usa, annunciava un'escalation dell'intervento militare contro l'IS, con l'invio di elicotteri Apache, forze speciali, armi, munizioni e “consiglieri militari”, in particolare per riconquistare la città di Ramadi, giustificandolo come una risposta alla minaccia dello Stato islamico a tutto l'Occidente prima ancora che al Medio Oriente: “La realtà è che siamo in guerra. Questo è quello che sentono le nostre truppe perché combattono l'IS ogni giorno”, ha detto senza mezzi termini il capo del Pentagono.
Dunque da una parte l'imperialismo americano e quello russo sembrano convergere nell'aumentare lo sforzo militare per combattere il nemico comune, lo Stato islamico. Tant'è vero che anche a livello diplomatico stanno manovrando insieme per far approvare al Consiglio di sicurezza dell'Onu una risoluzione, che ricalca la bozza di un provvedimento contro Al Qaeda del 1999, per bloccare le fonti di finanziamento all'IS. Ma dall'altra si fronteggiano a distanza, anzi sempre più da vicino, e si lanciano avvertimenti nell'ambito della rivalità che li oppone a livello strategico, in particolare riguardo alla spartizione della Siria e del Medio Oriente, sulla quale hanno interessi, vedute e alleanze diverse e in molti casi opposti. Per non parlare del confronto politico, economico e militare durissimo che li oppone sulle frontiere orientali dell'Europa.
Ecco allora che lo spettro dell'uso di armi nucleari nel teatro mediorientale, più che diretto contro l'IS sembra un avvertimento lanciato agli Usa e ai suoi alleati nella regione, in primis la Turchia aderente alla Nato, dopo l'abbattimento del caccia russo ordinato da Ankara. E dopo l'occupazione di territorio iracheno da parte di truppe e carri armati turchi, con la Russia che appoggia le proteste del governo di Baghdad contro lo sconfinamento turco. Simmetricamente, l'annuncio americano di essere “in guerra” con l'IS e dell'invio di elicotteri e truppe speciali in Siria e Iraq vuole essere anche un monito e un argine a Putin a non allargarsi troppo in queste due regioni, che considera territorio di caccia esclusivo dell'Occidente. Mentre, contemporaneamente, gli Usa continuano a completare l'accerchiamento della Russia col recente invito al Montenegro a entrare nella Nato e preparando l'adesione anche di Bosnia, Georgia e Macedonia.
Si avvicina anche l'intervento in Libia
Come se non bastasse, le minacce di un'escalation dell'intervento imperialista si stanno allargando dal Medio Oriente anche al sud del Mediterraneo, dopo le notizie su un presunto ridislocamento strategico dello stato maggiore dell'IS dalla Siria alla Libia a causa dei continui bombardamenti sullo Stato islamico. Ecco allora il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, dichiarare in un'intervista ad un gruppo dei più importanti quotidiani europei; tra cui per l'Italia “la Repubblica”,
che l'Alleanza atlantica è pronta a intervenire militarmente in Libia.
Stoltenberg ha respinto la tesi che la Nato non sia coinvolta nella guerra contro l'IS in Siria e Iraq, sottolineando che l'alleanza è già presente in quelle due regioni, e anche in Giordania e Tunisia, facendo assistenza e addestramento militare e con l'intelligence e forze speciali; per non parlare della Turchia, membro Nato, che fornisce basi di partenza ai bombardamenti sullo Stato islamico e dove l'alleanza gestisce direttamente le batterie di missili Patriot. Quanto alla Libia, dove lo Stato islamico sembra intensificare la sua presenza, “ci teniamo pronti ad assistere un governo nazionale, se ce ne farà richiesta”, ha precisato Stoltenberg.
Ossia, la Nato è pronta ad un altro intervento militare come quello del 2011 per abbattere Gheddafi, solo che ammaestrata dal fallimento politico e militare di quella missione che ha gettato quel paese nel caos ora si muove più cautamente e cerca di precostituirsi uno scenario politico favorevole per il dopo intervento, cercando di favorire un'intesa tra le forze anti IS per la costituzione di un governo unico filo occidentale.
Lo stesso cerca di fare per conto proprio anche la Russia, che tenta di inserirsi nel gioco facendo leva sulle ambizioni italiane verso la sua ex colonia. E a questo scopo Putin cerca di blandire il nuovo duce Renzi, appoggiando la sua politica interventista che rivendica il ruolo guida dell'Italia nella coalizione internazionale contro lo Stato islamico in Libia. Non a caso lo stesso Lavrov, arrivando in Italia per partecipare alla Conferenza di Roma sulla Libia, ha dichiarato a “la Repubblica”
che “Il Califfato vuole fare di Sirte una filiale di Raqqa. Per l'Italia è un problema serio. Noi siamo pronti ad aiutarvi”. E ha rivelato che “Putin e Renzi ne parlano da più di un anno in tutti i loro incontri”.
16 dicembre 2015