Avrebbero percepito i gettoni di presenza “in maniera fraudolenta”
Indagato per truffa aggravata più della metà del Consiglio comunale di Messina
Coinvolti tutti i gruppi consiliari tranne la lista Accorinti

 
Sono 23, su un totale di 40, i membri del Consiglio comunale di Messina che sono finiti nei registro degli indagati con l'accusa di avere percepito i gettoni di presenza “in maniera fraudolenta” come si legge testualmente nell'ordinanza del Giudice per le indagini preliminari di Messina, Maria Militello: in quanto consiglieri attestavano falsamente la loro partecipazione a numerose riunioni consiliari, alle quali ovviamente non partecipavano ma che venivano comunque retribuite sotto forma di gettone di presenza.
Per dodici di loro - Carlo Abbate, Pietro Adamo, Pio Amodeo, Angelo Burrascano, Giovanna Crifò, Nicola Salvatore Crisafi, Nicola Cucinotta, Carmela David, Paolo David, Fabrizio Sottile, Benedetto Vaccarino e Daniele Santi Zuccarello - il giudice ha emesso la misura cautelare, ed è la prima volta che accade in Italia, dell'obbligo di firma davanti a un funzionario della Polizia municipale sia prima che dopo lo svolgimento dei lavori consiliari.
Tutti i 23 indagati sono ritenuti, a vario titolo, responsabili dei reati continuati di truffa aggravata, falso ideologico commesso da pubblico ufficiale in atti pubblici e abuso d’ufficio.
Gli altri 11 consiglieri, per i quali non è stato preso alcun provvedimento cautelare, sono Carlo Cantali, Nino Carreri, Andrea Consolo, Libero Gioveni, Pietro Iannello, Rita La Paglia, Maria Amelia Perrone, Nora Scuderi, Donatella Sindoni, Santi Sorrenti e Giuseppe Trischitta.
I 23 politici coinvolti nella truffa appartengono a tutti gli schieramenti politici rappresentati in Comune - Pd, Ncd, Udc, Forza Italia, Il Megafono-Lista Crocetta, Partito democratici riformisti, Movimento Siamo Messina, Articolo 4 e Movimento Progressisti Democratici - tranne che alla lista civica “Cambiamo Messina dal basso” del sindaco Renato Accorinti.
Le indagini, promosse dal procuratore aggiunto messinese Vincenzo Barbaro, hanno accertato che il meccanismo fraudolento era piuttosto semplice: poiché nel dicembre del 2013 l’indennità mensile massima è aumentata a 2.184 euro, raggiungibile solo con un minimo di 39 presenze mensili nelle varie commissioni, agli inquirenti è subito balzato agli occhi che, guarda caso, proprio da tale data 23 consiglieri su 40 avevano sistematicamente e per tutti i mesi raggiunto la soglia minima delle 39 presenze sia attraverso le commissioni, sia apponendo la sottoscrizione in sostituzione del capo gruppo, frutto di un preventivo accordo tra delegante e delegato per massimizzare la fruizione dei gettoni di presenza.
A questo punto, a partire dal mese di novembre del 2014, il PM Vincenzo Barbaro ha fatto piazzare delle telecamere direttamente nelle sale di Palazzo Zanca, dove hanno sede il Consiglio e le sue varie commissioni, dimostrando che i suoi sospetti erano tutt'altro che infondati, in quanto meno della metà dei consiglieri, la cui presenza risultava dai verbali, partecipava effettivamente alle sedute, mentre gli altri restavano pochi minuti, o addirittura pochi secondi, per poi uscire dall'aula.
Gli indebiti gettoni di presenza sono costati al Comune di Messina più di un milione di euro solo nell'ultimo anno, e questo fatto, unito alla sistematicità delle condotte dei politici coinvolti, ha fatto scrivere al Giudice per le indagini preliminari che da tali azioni “traspare una spregiudicatezza e una non comune inclinazione a delinquere di tutti gli indagati”.
Le intercettazioni telefoniche e ambientali hanno poi accertato che, a dimostrazione che la truffa era sistematica e strutturata, vari consiglieri comunali, in virtù di un mutuo accordo, firmavano in sostituzione di un consigliere dello stesso gruppo o del capogruppo, senza essere però minimamente muniti di delega scritta da parte del delegante.
La Procura di Messina poi sta ancora indagando su un effetto collaterale dell'inchiesta, che dal punto di vista economico non è meno importante, ovvero gli oneri riflessi, cioè le varie somme che l’amministrazione comunale ha pagato, a titolo di risarcimento, alle varie aziende delle quali sono dipendenti alcuni consiglieri comunali in quanto, sospettano i magistrati, i consiglieri che si recavano fittiziamente in commissione ed uscivano immediatamente potrebbero aver ingannato anche le aziende dalle quali dipendono in quanto, per legge, costrette a dar loro il giorno di libertà, risarcito, però, dal Comune e, se le varie commissioni si concludevano anche un solo minuto dopo la mezzanotte, i consiglieri, sempre per legge, avrebbero avuto la possibilità di rimanere a casa, con l’azienda risarcita dal Comune.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

16 dicembre 2015