Rapporto Istat sul benessere italiano
Aumentano le disparità di classe, territoriali, di genere, lavorative e generazionali
Mentre il nuovo duce e i suoi tirapiedi si sperticano in annunci pubblicitari sulla ripresa dell'economia italiana, la terza edizione del “Rapporto Istat sul benessere equo e sostenibile italiano” dimostra che la crescita è misera e piuttosto sono aumentate vertiginosamente le disparità di classe, territoriali, di genere, lavorative e generazionali.
Il Rapporto, pubblicato a inizio dicembre, analizza il Benessere equo e sostenibile (Bes), riferendosi a 12 ambiti tematici: Salute, Istruzione e formazione, Lavoro e conciliazione dei tempi di vita, Benessere economico, Relazioni sociali, Politica e istituzioni, Sicurezza, Benessere soggettivo, Paesaggio e patrimonio culturale, Ambiente, Ricerca e innovazione, Qualità dei servizi.
Anzitutto, è evidente che il contenuto aumento del benessere non riguarda tutti, ma una fascia sempre più ristretta della popolazione. Per la stragrande maggioranza della popolazione si parla di sopravvivenza, la qualità della vita peggiora, insieme al benessere psicologico.
La cura della salute è uno dei settori in cui più forti si evidenziano le discriminazioni, soprattutto su base territoriale e generazionale. Il Mezzogiorno, per effetto della crisi e, diciamo noi, anche delle politiche antimeridionali dei governi che si sono succeduti, vede aumentare il proprio svantaggio nella speranza di vita in buona salute (55,4 anni di speranza di vita in buona salute per il Mezzogiorno contro 60 anni per il Nord). Le fasce di età più deboli in tutta Italia sono particolarmente colpite. Aumenta infatti l'incidenza della mortalità infantile e la difficoltà degli anziani a reddito basso di ricorrere a cure mediche.
Per quanto riguarda istruzione e formazione, ovunque nel Paese la classe sociale di provenienza continua a condizionare pesantemente la riuscita dei percorsi scolastici e formativi degli studenti. I figli di genitori con titoli di studio elevati o professioni qualificate abbandonano molto meno gli studi, hanno minori probabilità di diventare Neet. Sono i giovani meridionali delle classi sociali meno agiate ad accumulare lo svantaggio maggiore, che va imputato anche alle carenze del sistema scolastico, che favorisce per i giovani meridionali, soprattutto se appartenenti a proletariato e sottoproletariato, l’espulsione precoce dal sistema di istruzione e formazione.
Sul fronte del lavoro sono micidiali i divari di genere, che restano tra i più alti d'Europa. In Italia c'è il 69,7% di uomini occupati contro il 50,3% di donne. Per colmare tale divario si calcola che dovrebbero lavorare almeno 3 milioni e mezzo di donne in più di quante sono attualmente occupate. Per le donne che lavorano è peggiore la qualità del lavoro. Più degli uomini, le donne, in particolare quelle straniere, sono occupate nel terziario e in professioni a bassa specializzazione.
Ad accentuare la condizione di discriminazione e a peggiorare la condizione di vita femminile sul lavoro e in ambiente domestico, si aggiunge la contrazione dell’offerta di asili nido e servizi integrativi per la prima infanzia, ciò a causa della contrazione delle risorse a disposizione dei Comuni, diminuite dal 13,9% del 2011/2012 al 13% del 2012/2013.
L’altra disparità sul lavoro riguarda le fasce giovanili della popolazione. L'Italia continua a caratterizzarsi in Europa come uno dei Paesi in cui più rigida è l'esclusione dei giovani dal mercato del lavoro, a causa della difficoltà a trovare un lavoro e a mantenerlo. La condizione dei giovani è aggravata da una peggiore qualità del lavoro e dal timore della concreta possibilità di perderlo. Lo svantaggio aumenta ancor di più nel Mezzogiorno, l’unica area territoriale, in cui l’occupazione anche non qualificata continua a diminuire e dove è più bassa la qualità del lavoro.
Se andiamo a considerare la condizione economica delle famiglie ci si presenta un quadro di radicate disparità. Il Mezzogiorno, oltre ad avere un reddito medio pro capite decisamente più basso di quello del Nord e del Centro, è anche il territorio con la maggiore disuguaglianza reddituale: il reddito posseduto dal 20% della popolazione meridionale con i redditi più alti è 6,7 volte quello posseduto dal 20% con i redditi più bassi, mentre nel Nord il rapporto è di 4,6.
Ciò ha ricadute particolarmente consistenti sulla vita della popolazione. Aumenta la deprivazione in tutta la penisola. Il 15% della popolazione maggiore di 16 anni (il 20,6% della popolazione del Sud) non può permettersi di sostituire gli abiti consumati, un quinto non può svolgere attività di svago fuori casa per ragioni economiche, un terzo non può permettersi di sostituire mobili danneggiati. La deprivazione riguarda anche i più piccoli: un bambino su 20 vive in famiglie che non possono permettersi giochi per tutti i figli; il 7,7% non può permettersi di acquistare libri extrascolastici. Il 10,5% non partecipa alla gita scolastica (il 16% al Sud), l’11% non dispone di uno spazio adatto per studiare.
Le disparità territoriali sono evidenti anche nella tutela del territorio e del patrimonio architettonico e culturale. Nel 2014, ogni 100 costruzioni autorizzate, ne sono state realizzate 17,6 abusive in tutta Italia, e più di 40 nel Mezzogiorno.
La spesa dei comuni per la gestione del patrimonio culturale è di 10,1 euro pro-capite a livello nazionale nel 2013, nel Mezzogiorno scende a 4,3.
Resta anche grave, soprattutto in alcune regioni del Mezzogiorno e dell’Italia centrale, la dispersione di acqua potabile dalle reti di distribuzione comunale, pari al 37,4% dei volumi immessi in rete in media nazionale.
Anche la mobilità delle persone sul territorio resta un punto dolente: i tempi per gli spostamenti e le difficoltà di accesso ai servizi essenziali lamentati dai cittadini non sembrano diminuire (in media 81 minuti nel Centro, 74 minuti nel Mezzogiorno).
Chiaramente il rapporto ci dice che è elevata la sfiducia nelle istituzioni e nei confronti di partiti istituzionali. La sfiducia riguarda tutte le zone del Paese senza apprezzabili variazioni di genere ed età. Inconfutabilmente le istituzioni borghesi infatti si sono dimostrate incapaci di risolvere alla radice le origini delle disparità, insite nell'accentuarsi della crisi, anzi le hanno inasprite. La crisi e le politiche che i governi centrale e locali hanno imposto all'Italia hanno gettato le fasce più deboli della popolazione in una condizione di deprivazione generalizzata, incrementando le differenze su base territoriale, di genere, di classe, di età.
Oggi l'Italia è un Paese sempre più diseguale, in cui i più deboli vanno sempre più a fondo e i più forti si arricchiscono. La verità è che il governo Renzi non ha a cuore il benessere delle masse e non si fa scrupolo di scaricare su di esse il peso maggiore della crisi economica. E ancor di più le disuguaglianze si accentueranno nei prossimi anni, quando le controriforme politiche, economiche del governo Renzi produrranno a pieno i loro velenosi frutti. Lottare per il benessere delle masse popolari significa anzitutto lottare contro il governo Renzi per affossare il Jobs Act, per garantire a tutti, a partire da donne e giovani, il lavoro stabile, a salario intero, a tempo pieno e sindacalmente tutelato la contro la "Buona scuola" e la sua impostazione selettiva e di classe, per garantire anche ai giovani proletari un'istruzione adeguata, contro il "Piano casa", per garantire a tutti il diritto ad un alloggio, contro lo "Sblocca Italia" che devasta il territorio italiano. Significa lottare per creare in tutto il Mezzogiorno una struttura economica simile a quella che possiede il Centro-Nord
Intanto tutte le forze politiche, sociali, sindacali, culturali e religiose democratiche, antimafiose e antifasciste cui sta a cuore il benessere delle masse popolati devono unirsi per cacciare Renzi.
23 dicembre 2015