L'Arabia Saudita forma una coalizione di 34 paesi contro l'IS
Più volte il presidente americano Barack Obama ha sollecitato i governi alleati dei paesi arabi perché diano un magiore contributo alla guerra al terrorismo, leggi allo Stato isamico (Is), di quello promesso e scarsamente mantenuto nell'ambito della santa alleanza imperialista a guida Usa da parte tra gli altri di Arabia Saudita, Qatar e Emirati; per ultimo, il 14 dicembre, è stato il segretario alla Difesa Ashton Carter a scrivere a diversi membri della coalizione chiedendo uno sforzo aggiuntivo, se non nei raid aerei quantomeno nelle funzioni di intelligence, sorveglianza e addestramento truppe, ai Paesi del Golfo Persico. La risposta è giunta a tambur battente dall'Arabia Saudita che con un annuncio dato sulla Tv di stato ha annunciato la costituzione di una “alleanza militare islamica”, una coalizione di 34 paesi islamici africani e mediorientali contro il terrorismo.
L’obiettivo dichiarato della nuova alleanza militare è quello di “proteggere la nazione islamica dai mali provocati da tutti i gruppi e da tutte le organizzazioni terroristiche a prescindere dalla loro affiliazione o dal loro nome”, che si rendono responsabili di “uccisioni o che diffondo la corruzione nel mondo e mirano a terrorizzare gli innocenti”.
La Spa, l'agenzia stampa ufficiale di Riad, pubblicava l’elenco dei trentaquattro paesi che ne fanno parte; oltre all'Arabia saudita sono: Egitto, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Turchia, Giordania, Yemen, Bangladesh, Benin, Ciad, Togo, Gibuti, Senegal, Sudan, Malaysia, Pakistan, Sierra Leone, Somalia, Gabon, Guinea, Palestina, Comore, Costa d'Avorio, Kuwait, Libano, Mali, Mauritania, Marocco, Libia, Niger, Bahrein, Tunisia, Nigeria e Maldive. Altri 10, tra i quali l'Indonesia, sarebbero pronti a entrare.
La coalizione islamica sarà guidata da un centro con sede a Riad “che coordinerà le operazioni militari”; un centro simile a quello aperto di recente dalla Russia a Baghdad insieme arappresntanti siriani, iracheni e iraniani che non a caso non fanno parte del gruppo a guida saudita.
“Ci sarà un coordinamento internazionale con le maggiori potenze e le organizzazioni internazionali in Siria e Iraq. Non possiamo intraprendere operazioni senza coordinarci con la comunità internazionale”, sottolineava il ministro saudita della Difesa, Mohamed Bin Salman, che precisava come l’obiettivo sia quello di combattere “tutte le organizzazioni terroristiche, non solo lo Stato islamico. Oggi ogni singolo Paese musulmano combatte il terrorismo in modo individuale ed è quindi molto importante coordinare gli sforzi”. Ma successivamenrte il ministro degli Esteri saudita, Adel al-Jubeir, non escludeva un possibile intervento delle truppe di terra della nuova coalizione contro lo Stato islamico: “nessuna opzione è esclusa dal tavolo, dipende dalle richieste che dovessero giungere, dalla necessità di farlo e dalla volontà che le nazioni aderenti hanno di fornire sostegno in questa direzione”.
La nuova coalizione assomiglia a quella lanciata lo scorso 29 marzo al termine del vertice della Lega araba di Sharm el Sheikh dove i leader dei paesi arabi avevano deciso di creare una forza militare congiunta, una sorta di Nato sunnita, che avrebbe dovuto intervenire nella regione al posto delle coalizioni guidate dai paesi occidentali per far fronte alle minacce del terrorismo. Allora era da poco iniziato l'intervento militare a guida saudita nello Yemen in sostegno di Mansour Hadi, il presidente che aveva lasciato il paese dopo l'offensiva dei ribelli sciiti Houthi, sostenuti dall'Iran. Era un alleanza che si presentava al servizio dei sauditi nella loro contesa regionale con la maggiore potenza regionale avversaria, l'Iran sciita del presidente Hassan Rohani.
La crisi in Yemen sembra possa chiudersi con l'avvio di negoziati tra le parti e Riad sembra voler recuperare il terreno perso nella guerra in Siria e Iraq che nel frattempo ha visto l'ingresso pesante dell'imperialismo russo, di quello francese e a ruota il maggiore coinvolgimento di mezzi e soldati di Usa ma anche dell'Italia. La guerra all'Is diventa anche per i sauditi lo scopo anche per riaffermare le sue ambizioni egemoni nella regione.
Agli scontati commenti positivi arrivati da Washington si affiancavano quelli della Russia di Vladimir Putin: “in teoria si potrebbe trattare di un fenomeno 'positivo' ma prima di valutare bisogna vedere i dettagli” dichiaravano al Cremlino che già deve fare a gomitate per difendere lo spazio conquistato nella crisi regionale con i colpi dell'altra concorrente imperialista Turchia.
23 dicembre 2015