In cambio di appalti, assunzioni e favori
A Quarto la camorra ha votato il M5S
La corruzione è connaturata al sistema capitalista e alle istituzioni parlamentari borghese
I vertici del M5S hanno coperto il criminale patto con il clan polverino
Meno di un anno fa, nel maggio 2015, in occasione della campagna elettorale per le comunali, i boss politici del M5S, Roberto Fico (presidente della Commissione di Vigilanza Rai) e Luigi Di Maio (vicepresidente della Camera) che proprio in Campania hanno il loro feudo elettorale, coniarono addirittura lo slogan "liberiamo Quarto dalla camorra" per ingannare le masse popolari e carpire il loro voto a sotegno della candidata pentastellata Rosa Capuozzo che vinse le elezioni con il 70,7 per cento dei voti validi sia pure su una percentuale di votanti di appena il 43,79%.
Una vittoria che oggi, alla luce degli sviluppi giudiziari, appare a dir poco inquietante in quanto è stata ottenuta coi voti determinanti raccattati dal consigliere grillino in odore di camorra, Giovanni De Robbio, che ha fatto il pieno di preferenze grazie ai suoi accordi con la camorra. Non a caso il comune di Quarto è stato sciolto per ben due volte per infiltrazioni camorristiche nel 1992 e nel 2013 e tutti sanno che il clan dei Polverino controlla in modo capillare tutto il territorio ed è in grado di condizionare pesantemente perfino l'esito delle elezioni. Ciononostante, Grillo, Casaleggio, Fico, Di Battista e Di Maio esultavano per la “straordinaria vittoria ottenuta nel primo Comune a cinque stelle in Campania” e promettevano “cinque anni incredibili dove l'onestà finalmente, in un Comune sciolto per irifiltrazioni camorristiche, entra dalla porta principale insieme a tutti i cittadini di Quarto. Oggi il Comune diventa di tutti, farà l'interesse della cittadinama e non più dei privati e dei malavitosi”.
Nel giro di soli sette mesi la realtà che si presenta davanti alle masse popolari di Quarto è ben diversa. Dal 23 dicembre De Robbio è ufficialmente indagato per voto di scambio e tentata estorsione nei confronti della stessa Capuozzo con l’aggravante del metodo mafioso. Secondo gli inquirenti il recordman di preferenze grillino, in cambio dei voti per essere eletto in consiglio comunale, ha promesso all'imprenditore in odore di camorra, Alfonso Cesarano, legato a doppio filo al clan Polverino, la gestione del campo sportivo comunale e un contatto costante e diretto con l'amministrazione comunale per eventuali altri favori, appalti e utilità fra cui la promessa di assumere in Comune il figlio del boss piddino Mario Ferro, (anche lui indagato) e ottenere la nomina del geometra Giulio Intemerato a consulente del Comune per i condoni edilizi.
Agli atti dell'inchiesta ci sono anche alcune intercettazioni da cui emerge in maniera inequivocabile il mericimonio fra esponenti del M5S e il clan Cesarano.
“Comincia a chiamarlo. Ha preso 890 voti, è il primo degli eletti. Noi ci siamo messi con chi vince, capito?” intima per telefono il primo giugno 2015 Cesarano, titolare fra l'altro delle pompe funebri utilizzate per il funerale dei Casamonica a Roma. “Si deve portare a votare chiunque esso sia, anche le vecchie di ottant’anni. Si devono portare là sopra, e devono mettere la X sul Movimento 5 Stelle – insiste Cesarano - L’assessore glielo diamo noi praticamente. E lui ci deve dare quello che noi abbiamo detto che ci deve dare. Ha preso accordi con noi. Dopo, così come lo abbiamo fatto salire così lo facciamo cadere”.
Pressato dal suo padrino politico, De Robbio comincia a ricattare la Capuozzo mostrandole la foto aerea di un abuso edilizio relativo all’abitazione ereditata dal marito, dove la coppia vive.
“Agli inizi di ottobre - ha cercato di giustificarsi la Capuozzo davanti agli inquirenti - il De Robbio venne da me a casa, mi mostrò una foto aerea di casa mia che aveva sul cellulare. Lo stesso mi disse che c’era un problema urbanistico riguardante la mia abitazione ma che dovevo essere meno aggressiva, non dovevo scalciare, dovevo essere più tranquilla con il territorio”.
Un ricatto in perfetto stile mafioso teso a condizionare l'approvazione del Piano urbanistico comunale e le decisioni della giunta sulla gestione dello stadio cittadino e le nomine dell’assessore ai cimiteri e all’urbanistica. Un ricatto di cui la Capuozzo dice di aver informato ripetutamente i massimi vertici del M5S, primi fra tutti i boss campani Fico e Di Maio, che invece di intervenire e denunciare il mercimonio invitano la sindaca ad “Andare avanti e di lavorare tranquillamente”. Per quasi un mese Grillo e il direttorio pentastellato cercano di insabbiare lo scandalo e difendono a spada tratta la Capuozzo tant'è che in un post del 6 gennaio affermano fra l'altro: “I voti raccolti dall’ex consigliere non sono stati determinanti e l’indagato è già stato espulso”. Ma nel giro di una settimana, di fronte all'indignazione della base e all'incalzare dell'inchiesta, Grillo e il vertice M5S sono costretti a una rocambolosca marcia indietro decretando l'espulsione della Capuozzo dal Movimento che però a stretto giro di posta ha già fatto sapere di non avere nessuna intenzione, insieme ai suoi consiglieri, di mollare la poltrona.
Tutto ciò mentre sullo sfondo imperversa la guerra per bande e lo scambio di accuse fra il M5S e il PD a chi è più corrotto e compromesso con la mafia. La contesa riguarda l'ex consigliere del PD Ferro che teneva in contatti fra il M5S De Robbio e Cesarano. Secondo gli inquirenti l'imprenditore in un primo momento aveva rivolto la sua attenzione sul candidato piddino. Ma poi in seguito alla pronuncia del Consiglio di Stato che ha escluso la lista PD dalle comunali del 31 maggio scorso, Cesarano e il clan Polverino decidono di cambiare cavallo e scelgono il Movimento 5 Stelle.
Ciò conferma che le istituzioni rappresentative borghesi, centrale e locali, sono irriformabili, sono esse stesse fonti di corruzione e del dilagare del potere mafioso; mentre a tirare le fila sono sempre i soliti potentati economici e mafiosi indipendentemente da chi va al governo. I fatti confermano che anche il M5S che doveva essere il partito della legalità e della trasparenza non appena ha messo piede dentro le istituzioni è finito nel pantano di mafiopoli. Esattamente come l'ex PCI revisionista ora trasformato nel PD di Renzi, che allora si vantava di essere il partito dalle “mani pulite” e ora è finito per diventare il partito dei tangentisti, dei corrotti e dei mafiosi.
13 gennaio 2016