Come prevede il famigerato “Sblocca Italia”
Renzi svende gli immobili pubblici ai privati
Per Renzi il 2016 dovrà essere l'anno decisivo per completare la svendita del patrimonio immobiliare pubblico: agli inizi di gennaio l'Agenzia del Demanio ha annunciato di aver messo online, con la possibilità di “geolocalizzazione” su tutto il territorio nazionale attraverso strumenti come “streetwiew” di Google, l'intero patrimonio immobiliare dello Stato - edifici, palazzi storici, caserme, parchi, siti archeologici, terreni e quant'altro - corredati di valore commerciale, inserimento in progetti di valorizzazione e vendita, cantieri in corso e così via.
Si tratta di un patrimonio da capogiro, consistente in più di 32 mila immobili e 14 mila aree pubbliche, per un valore complessivo di circa 640 miliardi, tra cui il ministero dell'Economia e Finanze, come ha dichiarato il suo capo della Direzione finanza e privatizzazioni, Francesco Parlato, ha già individuato “circa 350 immobili , dal valore di circa 1,2 miliardi, potenzialmente conferibili a uno o più fondi immobiliari: vale a dire da svendere fin da subito agli speculatori interni e internazionali, sotto il pretesto di fare cassa e diminuire il debito pubblico.
Lo ha annunciato con grande giubilo, manco a dirlo, anche “l'Unità” renziana, che all'operazione denominata “Open Demanio”, ha dedicato un'intera pagina dell'edizione dell'8 gennaio (“Una vetrina online per il patrimonio di Stato”, sparava trionfalmente in testa il quotidiano diretto dall'ex trotzkista Erasmo D'Angelis), con ampio corredo di cartina della distribuzione del “tesoro degli italiani” in Italia, le succulente cifre dell'affare in grandi caratteri e le foto di alcuni edifici di pregio in vendita. Più un'ampia intervista al direttore dell'Agenzia del Demanio, Roberto Reggi, tutta tesa a mostrare che si tratta di “un'operazione di trasparenza” e che a beneficiarne potranno essere “non solo” i privati ma anche “i cittadini e le associazioni”, per “progetti di recupero degli spazi liberi ma inutilizzati”.
Le premesse per la colossale svendita erano già state create col famigerato decreto “Sblocca Italia” ideato da Renzi nel 2014, quello che con la scusa di rimuovere gli ostacoli burocratici alla ripresa economica e all'occupazione, dava il via alla cementificazione del territorio e alle grandi opere come alta velocità ferroviaria, autostrade, aeroporti, all'impianto di nuovi inceneritori considerati di “importanza strategica nazionale”, alle trivellazioni petrolifere, ai rigassificatori e, appunto, alla svendita del patrimonio immobiliare pubblico. Grazie anche a tutta una serie di deroghe alla legge per poter cambiare la destinazione d'uso degli immobili pubblici, agevolare gli interventi di ristrutturazione e detassare le transazioni di acquisto da parte dei privati.
Un piano che viene da lontano
Quello che Berlusconi, Tremonti, Monti e Letta erano riusciti a realizzare solo parzialmente sta quindi per essere completato dal nuovo duce Renzi, che con il censimento, la valorizzazione e l'immissione online dell'intero patrimonio demaniale, unitamente alla deregulation già attuata dallo “Sblocca Italia”, ha creato tutte le premesse per una sua veloce e massiccia svendita alla speculazione privata.
Per la verità le prime leggi in favore delle alienazioni di beni pubblici risalgono già ai governi di “centro-sinistra”, come denunciato anche da Salvatore Settis in un suo libro del 2002. Anche se la prima operazione effettiva fu tentata dal governo Berlusconi nel 2004, affidando 394 immobili pubblici alla società Investire immobiliare. Nel 2007 ci riprovò Tremonti creando un'apposita società, la Scip 2 (un nome che era tutto un programma), che però finì in deficit, così come la successiva società immobiliare, Fintecna. Alla fine, nel 2009, Tremonti trovò la soluzione, adottata anche dai governi successivi, utilizzando la Cassa depositi e prestiti (Cdp), con la creazione al suo interno di una società, la Sgr, alla cui testa mise un suo fedelissimo, Massimo Verazzani.
Per spingere le dismissioni Tremonti incoraggiava le amministrazioni locali a disfarsi dei pezzi più pregiati per aggirare le restrizioni di bilancio imposte dal patto di stabilita. E anche Renzi, quando era sindaco di Firenze, è ricorso a questa tecnica che ha ben appreso per il futuro, quando la Cdp diretta allora da Franco Bassanini gli comprò il Teatro comunale per 23 milioni, che aveva chiuso ma non riusciva a vendere dal 2009, e che ora è oggetto di trattativa da parte di una società di cui fa parte anche la sua famiglia, per realizzarci un resort di lusso.
Il passo successivo del nuovo duce, dopo essersi impadronito di Palazzo Chigi, è stato quello di facilitare la svendita dei beni pubblici con lo “Sblocca Italia”, deregolamentandola e affidandola completamente alla Cdp, che possiede molta liquidità, essendo principale azionista di Poste italiane, ma che non essendo formalmente un'azienda pubblica non incide sul bilancio dello Stato: il quale vende a Cdp e incassa subito, mentre Cdp si occupa di valorizzare gli immobili, ristrutturandoli, cambiandone la destinazione d'uso e rendendoli appetibili ai privati, per poi immetterli successivamente sul mercato. A completare l'operazione Renzi ha provveduto a rinnovare tutti i vertici di Cdp, a cominciare dalla nomina a presidente di Claudio Costamagna, ex banchiere di Goldman Sachs e attuale presidente di Salini-Impregilo.
L'accelerazione di Renzi alle dismissioni
Ciononostante le cessioni non erano andate molto bene in questi quasi due anni di governo di Renzi. Tanto che invece del quasi miliardo e mezzo previsto dai governi Monti e Letta per il 2015 sono stati realizzati effettivamente circa 500 milioni. Colpa della crisi del mercato immobiliare, della lunghezza dei tempi per la valorizzazione degli immobili, della non disponibilità immediata di molti di essi, ancora in uso a enti pubblici e affittati a dipendenti e privati, e anche della dispersione del patrimonio demaniale, sparso tra migliaia di amministrazioni pubbliche in tutte le province e regioni d'Italia.
Ecco il perché dell'accelerazione voluta da Renzi nel censire, stimare e mettere online l'intero patrimonio pubblico, creando tutte le premesse per una sua più veloce svendita sul mercato, a partire da questo stesso anno. Non a caso, tramite il suo successore a Palazzo Vecchio, Nardella, il nuovo duce sta facendo di Firenze un laboratorio di sperimentazione di questa sua politica, con il dossier urbanistico “Florence city of opportunities” (ancora un nome che è tutto un programma), che praticamente offre alla speculazione interna e internazionale decine di edifici, anche storici, e aree edificabili, in cui rientrano partite lucrosissime come l'ampliamento dell'aeroporto di Peretola (appaltato agli amici Carrai & c.), il nuovo stadio, le nuove linee tranviarie, la destinazione di aree come l'ex ospedale psichiatrico di San Salvi, l'ex Manifattura tabacchi, l'inceneritore di Case Passerini, e così via.
Un piano, questo del nuovo duce, che occorre contrastare risolutamente, inserendo il tema della salvaguardia del patrimonio demaniale nelle lotte in corso contro la Tav, il Mose, il Muos, le trivellazioni petrolifere, gli inceneritori, ecc., per sensibilizzare l'opinione pubblica su questo scempio che il governo sta perpetrando in silenzio e incoraggiando la promozione di comitati locali in difesa dei beni pubblici, per impedirne la svendita alla speculazione privata e rivendicarne la fruizione esclusiva e gratuita da parte di enti pubblici, associazioni popolari cittadine e di quartiere.
20 gennaio 2016