Sotto l'egida dell'Onu
Formato il governo di “accordo nazionale” libico mentre lo Stato islamico guadagna terreno
L'Italia di Renzi pronta a capeggiare un intervento armato di una coalizione imperialista contro l'IS
"Mi congratulo con il popolo libico e il Consiglio presidenziale per la formazione del governo di accordo nazionale. Esorto l'HoR, il parlamento insediato a Tobruk, a riunirsi prontamente" e "ad approvare il governo", scriveva l'inviato speciale dell'Onu per la Libia Martin Kobler il 19 gennaio. Non mancava la conferma del lieto evento da parte del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni che con un tweet esultava: "Dopo una notte di trattative è arrivato il varo del nuovo governo libico da parte del consiglio presidenziale libico". "Un passo avanti in una situazione ancora fragile", commentava aggiungendo: "Ora serve ok parlamento". Quello che sei giorni dopo non arriverà da parte di Tobruk che rinviava ancora quello che oramai sembra questione di giorni, l'intervento militare imperialista in Libia su richiesta del nuovo governo per sostenerlo in particolare contro l'avanzata dello Stato islamico (Is).
Il governo nato sotto l'egida dell'Onu in base all'accordo firmato nel dicembre scorso in Marocco da alcuni rappresentati dei due parlamenti, quello di Tobruk, riconosciuto dai paesi imperialisti, e quello islamista di Tripoli è presieduto dal premier designato Fayez al Sarraj; un governo composto da 4 vicepremier e 32 ministri.
L'esecutivo di concordia nazionale libico era in attesa di avere il via libera dal parlamento di Tripoli ma è prima inciampato sul voto negativo di quello di Tobruk. Il 25 gennaio la Camera dei Rappresentanti libica votava a larga maggioranza contro la fiducia all'esecutivo con 89 voti contrari sui 104 presenti. Il premier libico designato avrebbe tempo fino a fine gennaio per presentare un nuovo governo.
La ragione della bocciatura dell'esecutivo sembra legata all'applicazione dell'articolo 8 dell'accordo politico del dicembre scorso che attribuisce al "Consiglio di presidenza" guidato da al-Serraj le "funzioni di Comandante supremo dell'Esercito libico". La carica di ministro della Difesa era ambita, se non pretesa dal generale Khalifa Haftar, l'attuale ministro della Difesa del governo di Tobruk, ex agente della Cia e lunga mano del vicino generale Al Sisi, il presidente egiziano. La carica della Difesa risultava depotenziata se la funzione di comandante supremo è nelle mani del presidente del consiglio.
Il parlamento di Tobruk negava la fiducia al governo Sarraj ma approvava comunque l'accordo politico cercando solo di "congelare" il passaggio dei poteri militari dal generale Khalifa Haftar al premier Fayez al Sarraj.
Il voto contrario del parlamento di Tobruk sbarra per ora la strada alla possibilità di una richiesta di intervento militare da parte del governo libico. Scalpitano Francia e Gran Bretagna, persino gli Usa finora tenutisi apparentemente in secondo piano e scalpita ancora di più Palazzo Chigi che certificava come l'Italia fosse "pronta ai raid contro l'Isis". Fonti governative assicuravano che "ogni azione degli americani è concordata con noi. L'Italia è pronta ad azioni militari: se sarà necessario, agiremo con i nostri alleati, su richiesta del governo e nel quadro dettato dalle risoluzioni dell'Onu". Tiravano il freno al ministero della Difesa dove precisavano che "non è previsto nessun intervento militare dell'Italia in Libia, se non richiesto dal nascente governo libico", in ogni caso, "l'intervento non sarà mai della sola Italia, ma della coalizione internazionale di cui l'Italia farà parte. Al momento nulla è previsto". Per dirla con le parole del premier Renzi "l’Italia c’è e farà la sua parte", alla guida dell'intervento imperialista.
Non appena arriverà la tanto attesa richiesta di intervento i paesi imperialisti potranno mettere in atto le misure già studiate per la difesa dei pozzi petroliferi il cui controllo recentemente è "minacciato" dall'avanzata delle forze dell'Is. Dalle basi di Sirte i soldati dello Stato islamico hanno attaccato i pozzi di petrolio di Ras Lanuf e al Sidra e quelli di petrolio e di gas di Sabratha, vicino a Tripoli.
27 gennaio 2016