Turchia
Retata di intellettuali che chiedono la pace con i curdi
Arrestati 19 professori universitari. Perquisizioni in case e uffici
Il 15 gennaio la polizia turca ha fermato 27 professori universitari, 19 dei quali sono stati arrestati perché avevano firmato un appello per una soluzione pacifica della guerra con i curdi e avevano criticato le operazioni militari decise dal governo di Ankara e tuttora in corso nelle regioni curde del sud-est del paese.
Gli arresti sono stati decisi dai magistrati che si occupano dell'inchiesta sui più di mille accademici che hanno firmato l'appello intitolato "Non saremo parte di questo crimine", ossia dell'offensiva militare contro i curdi, e per questo sono indagati in base alla legge che vieta la "propaganda per organizzazioni terroristiche" e a quella che punisce la "denigrazione della nazione turca".
La caccia ai firmatari del documento era stata lanciata dal presidente turco Erdogan che nei giorni precedenti gli arresti aveva definito l'appello alla pace come un "tradimento" e aveva equiparato gli accademici a una "quinta colonna" dei terroristi. Dopo l'intervento del presidente diversi accademici denunciavano di aver subito minacce attraverso i social media, al telefono e in messaggi lasciati alle loro università e successivamente perquisizioni della polizia nei loro uffici e abitazioni.
Diverse zone del sud-est della Turchia dove vive la popolazione curda sono sottoposte dal dicembre 2015 al coprifuoco totale che copre le operazioni di esercito e polizia contro il Movimento della gioventù patriottica rivoluzionaria, l'ala giovanile del Partito dei lavoratori del Kurdistan. La repressione turca è pesante in particolare in alcuni quartieri della città di Diyarbakir e nella città di Cizre; gli oltre 200 mila abitanti di quelle zone vivono di fatto sotto assedio con molte difficoltà a procurarsi il cibo e ricevere cure mediche, con frequenti interruzioni della fornitura di corrente elettrica e di acqua.
Da diversi mesi il presidente Erdogan è impegnato più nella repressione del popolo curdo e nel fronteggiare l'ingresso nella crisi regionale del collega imperialista Putin che nella guerra allo Stato islamico. E sul piano interno non tollera alcuna opposizione e dopo aver messo in carcere diversi giornalisti non allineati ha puntato il dito contro gli accademici pacifisti, accusandoli di commettere "lo stesso reato di coloro che compiono massacri".
La repressione del dissenso ha sollevato le proteste anche da parte della sezione turca di Amnesty International il cui responsabile ha denunciato che "le operazioni militari in corso sotto il coprifuoco stanno provocando enorme sofferenza e diffuse violazioni dei diritti umani. Le autorità turche dovrebbero dare ascolto a coloro che ne parlano, anziché arrestarli" e che "questi arresti assieme ai commenti del presidente Erdogan, lasciano intendere che la repressione in corso nelle zone curde del sud-est della Turchia si sta estendendo a chiunque osi criticare le attività del governo".
27 gennaio 2016