Da parte della Corte Costituzionale
Via libera ai referendum sulla durata delle trivellazioni in mare
I No Triv annunciano ricorso sui quesiti bocciati dai giudici
Battuto Renzi che voleva impedire il referendum
Il popolo italiano deciderà con un referendum la durata delle attività petrolifere in mare. La Corte Costituzionale ha infatti dichiarato ammissibile il sesto quesito referendario sulle trivellazioni che contesta la norma secondo la quale le autorizzazioni di estrazione ad oggi rilasciate debbano essere fatte salve “per la durata di vita utile del giacimento”. Per i promotori del referendum, infatti, l’emendamento introdotto dal governo alla Legge di Stabilità 2016 nel tentativo di eludere il quesito, permette che i titoli già rilasciati restino validi in attesa di tempi migliori, nei quali riprendere a perforare. Inizialmente i quesiti referendari proposti da 9 Regioni italiane, erano sei. In un primo tempo la Corte di Cassazione li aveva accolti tutti ma il governo furbescamente lo scorso dicembre ha introdotto una serie di norme nella legge di Stabilità col fine di eludere i quesiti referendari stessi, non andando però così a fondo nelle modifiche come avrebbero voluto i promotori ed oltre 200 associazioni ambientaliste No Triv.
Ad oggi, oltre all’approvato e ai tre quesiti superati con la legge di Stabilità, ne rimangono due ancora insoddisfatti che riguardano principalmente le norme in materia di ricerca di idrocarburi ed il Piano delle Aree che obbliga lo Stato e i territori a definire quali siano le aree in cui è possibile avviare dei progetti di trivellazione. Su questi due temi i comitati No Triv annunciano battaglia e l’intenzione di sollevare un conflitto di attribuzione di fronte alla Consulta per trascinare in giudizio il Parlamento, in quanto le modifiche apportate al decreto Sblocca Italia in questi attraverso la legge di stabilità restano elusive.
Se le Regioni promotrici e i movimenti anti-trivelle vincessero la loro battaglia sull’unico referendum in dirittura d’arrivo, dall’abrogazione referendaria deriverà un vincolo per il legislatore che non potrà rimuovere il divieto di cercare ed estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia e l’obbligo per il ministero dello Sviluppo economico di chiudere definitivamente i procedimenti in corso, finalizzati al rilascio dei permessi e delle concessioni.
Renzi e le reazioni del mondo ambientalista
Il nuovo duce Renzi non è dunque riuscito a evitare il referendum sul petrolio, nonostante il tentativo mal riuscito di eludere i quesiti con alcune modifiche inserite nella legge di stabilità di fine dicembre. La conferenza stampa “Sì al referendum per tutelare ambiente, turismo, pesca e futuro dell’Italia”, alla quale hanno partecipato i Verdi e vario associazionismo ambientalista, ha chiesto che il referendum si tenga insieme al primo turno delle prossime elezioni amministrative. L’accorpamento del voto referendario con la tornata elettorale sarebbe motivato da ragioni economiche e, per loro stessa ammissione, in secondo luogo si faciliterebbe la partecipazione dei cittadini alle urne, evitando “trucchi” da parte del governo per non far raggiungere il quorum referendario. In realtà questa proposta a noi pare più avere il fine contrario; e cioè quello di utilizzare proprio il quesito referendario su di un tema ambientale così sentito e partecipato, proprio per far raccogliere voti per i partiti alle amministrative. E’ significativo il dato che dei sondaggi che pochi giorni fa avrebbero attribuito la vittoria antitrivelle al 67%; ed è anche per questo che Renzi ha fatto carte false, in tutti i sensi, per scongiurare questo pericolo. Greenpeace, Legambiente, Marevivo, Touring Club italiano, Wwf e le altre 200 associazioni del fronte No Triv, accolgono con gioia il giudizio della Consulta. “Questa sentenza ci dà lo spunto per rilanciare richieste chiare al governo: rigetto immediato e definitivo di tutti i procedimenti ancora pendenti nell’area di interdizione delle 12 miglia dalla costa e una moratoria di tutte le attività di trivellazione off shore e a terra, sino a quando non sarà definito un Piano energetico nazionale”, poi steccano duro su Renzi che “Pur di assecondare le lobby dei petrolieri, aveva promosso forzature inaccettabili, come la classificazione delle trivellazioni come “opere strategiche”, e dunque imposte”. Non sarà comunque facile, e per questo servirà una mobilitazione quanto più larga possibile, raggiungere il quorum del 50 per cento dei votanti più uno per rendere valida la consultazione.
I limiti del referendum
Attraverso il referendum, di fatto, il popolo italiano potrà chiedere di archiviare un modello energetico bicentenario basato sui combustibili fossili e scegliere finalmente le rinnovabili che ad essere amiche dell’ambiente e del clima rappresentano una straordinaria opportunità per l’occupazione e l’innovazione. È senz’altro una notizia positiva constatare tanta e così convinta partecipazione su temi così importanti per il futuro dei popoli e del pianeta. Intanto la petizione dei Verdi per salvare le Tremiti e Pantelleria dalle trivelle ha superato le 62.000 firme raccolte. Sicuramente dal referendum uscirà un messaggio chiaro. Del resto andò così anche nel 1987, all'epoca del primo referendum sul nucleare in cui formalmente si discuteva solo di incentivi ai Comuni che accettavano le centrali e degli investimenti dell'Enel all'estero, ma di fatto si votava su una politica energetica che aveva una larghissima maggioranza parlamentare e che uscì battuta dal voto popolare. Chiaro dal punto di vista dei contenuti, questo referendum è però meno netto dei precedenti dal punto di vista degli schieramenti politici: basta scorrere la lista dei nove Consigli regionali che hanno proposto i quesiti per rendersi conto che il fronte del no alle trivelle è assolutamente trasversale; stavolta in gioco ci sono innanzitutto gli interessi locali, sostenuti innanzitutto dal’associazionismo e dai comitati. Sono essi portatori di una più ampia visione generale dello sviluppo energetico che finisce nel “tirare per la giacchetta” gli organismi istituzionali ed una parte dei partiti di governo e di opposizione che in realtà sostengono a carattere nazionale una politica energetica nazionale ancora incompatibile anche con i vaghi propositi della recente conferenza sul clima delle Nazioni Unite, sulla carta da tutti sottoscritti. Naturalmente la semplice soluzione referendaria non ci convince completamente, tanto più all’indomani dell’altro grande referendum sulla ripubblicizzazione dell’acqua, enormemente partecipato e stravinto dai promotori ma ancora oggi disatteso ed inapplicato.
27 gennaio 2016