Nell'incontro con la Merkel a Berlino
Renzi rivendica maggior peso dell'imperialismo italiano nella direzione dell'UE e negli affari mondiali
Il premier tedesco appoggia le “riforme” del governo italiano a cominciare dal Jobs Act
Ormai il nuovo duce ha indossato la casacca del nazionalismo mussoliniano
Il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker in una lettera inviata a Renzi l'1 febbraio precisava che i contributi nazionali al fondo da tre miliardi di euro che l'Unione europea (Ue) ha destinato alla Turchia per l'emergenza profughi, o meglio per tenerseli in casa e non farli andare a giro per il continente, “non vengono tenuti in conto nel calcolo del deficit ai fini del Patto di stabilità e crescita”, sono quindi fuori dal calcolo dei parametri Ue da rispettare nel bilancio pubblico; Juncker sottolineava che la posizione di Bruxelles era nota già dallo scorso dicembre quando fu raggiunto l'accordo nel vertice tra i 28 Paesi membri mentre tutto quello che riguarda altre decisioni sulle richieste di flessibilità di bilancio per fronteggiare le uscite legate ai migranti verranno prese a “primavera, caso per caso ed ex post, sulla base delle spese fatte”. In altre parole la Commissione evidenziava che il principale problema posto dal presidente del consiglio italiano Matteo Renzi al vertice di Berlino del 29 gennaio con la cancelliera Angela Merkel, quando aveva auspicato una risposta entro una settimana sui margini di bilancio per le spese per i migranti, non esiste.
A dire il vero quello che interessa maggiormente a Renzi sembra essere la flessibilità di bilancio in quanto tale e non le singole voci, ovvero la possibilità di gestire con maggiore autonomia il bilancio statale, inchiodato dalla Ue alla regola del pareggio di bilancio. Tanto che a tambur battente non risponderà nemmeno alle precisazioni della Commissione, pur continuando a tener caldo il dibattito nei giorni successivi financo durante il suo viaggio in Africa, mentre nelle sue quotidiane incursioni sui social media sarà impegnato a glorificare l'azione del suo governo e a sostenere con piglio mussoliniano: “le cose sono cambiate. Le riforme sono leggi e dopo tre anni di recessione è tornato il segno più nei fondamentali economici. Possiamo tornare a fare il nostro mestiere, dunque (quale?, ndr). E il nostro mestiere è guidare l'Europa, non andare in qualche palazzo di Bruxelles a prendere ordini". Il nuovo duce gonfiava il petto e indossando la casacca del nazionalismo mussoliniano sosteneva che il suo ruolo per conto dell'imperialismo italiano è quello di guidare l'Europa e non quello di perdere tempo nei sordi, grigi e burocratrizzati palazzi di Bruxelles.
L'atteggiamento di Renzi era evidenziato dal New York Times
che nel giorno del vertice tra Merkel e Renzi a Berlino pubblicava pubblica un articolo che analizzando la strategia del governo italiano a Bruxelles sintetizzava così “il presidente del Consiglio italiano, punta ad avere un ruolo al tavolo del potere europeo”. “Tra tutti gli stati membri dell'Unione europea, l'Italia è importante ma non sempre influente”, affermava il Nyt, “Francia e Germania hanno tradizionalmente dettato l'agenda europea mentre l'Italia è sempre stata un patrner minore” ma ora il premier italiano vorrebbe rompere questa tradizione, perlomeno allargare l'asse franco-tedesco che ha storicamente guidato le decisioni del continente.
Con parole diverse ma dello stesso significato il concetto lo aveva già espresso chiaramente lo stesso Renzi in una intervista pubblicata il 27 gennaio dal quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung
quando aveva sostenuto che “se si cerca una strategia complessiva per la soluzione dei profughi, non può bastare se Angela prima chiama Hollande e poi chiama il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker, e io apprendo del risultato sulla stampa”. L'Europa non può essere guidata da Francia e Germania “perché Angela e Francois da soli non ce la possono fare, sarebbe bello se potessero risolvere tutti i problemi, ma non è così” sosteneva il confidenziale Matteo.
La cancelliera “l’ho conosciuta prima di diventare presidente del consiglio - ricordava Renzi - e già le presentai allora il piano di riforme necessario. Ora posso riferire a Berlino i passi fatti avanti. E posso parlare oggi da un’altra posizione, anche sulle divergenze”. Prima fra tutte “il comportamento della Germania che inizia ogni summit europeo innanzitutto con un bilaterale con la Francia”.
Lo scorso 18 dicembre, al Consiglio europeo a Bruxelles, Renzi aveva rimbeccato la Merkel perché aziende tedesche si erano comprate la gestione degli aeroporti della Grecia, svendute su direttiva della Ue e dei “falchi” della Germania per la crisi del debito, e quindi aveva affermato che “non potete raccontarci che state donando il sangue all’Europa, cara Angela”. Più sostanzioso lo scontro Roma-Berlino sui gasdotti verso la Russia, con la Germania che è in prima fila nelle sanzioni Ue a Mosca per le ingerenze in Ucraina ma che non ferma il progetto di raddoppio del gasdotto Nord Stream, che dovrebbe collegare la rete russa alla Germania attraverso il Mar Baltico. Bloccato al contrario il gasdotto South Stream che era destinato a portare il combustibile russo fino in Puglia passando per il Caucaso.
L'incontro del 29 gennaio a Berlino non ha certo risolto le contraddizioni tra i due paesi imperialisti, ha però permesso quantomeno una formale “riconciliazione”. La Merkel rimandava le questioni su migranti e flessibilità al dibattito con la Commissione e poteva aprire alle rivendicazioni di Renzi per un maggior peso dell'imperialismo italiano nella direzione dell'UE e negli affari mondiali accettando “di sentirci o vederci prima di ogni vertice europeo in modo da coordinare le nostre iniziative politiche”.
“C'è uno spirito europeo che ci unisce, nella consapevolezza e nella necessità della Ue”, affermava la cancelliera al termine del bilaterale. Definiva i colloqui "veramente amichevoli" e lodava il lavoro del governo italiano e le riforme messe in campo dal premier, a cominciare dal famigerato Jobs Act. “Il successo di queste riforme sarà un contributo importante all'Europa e all'Italia”, era il sigillo tedesco al “buon lavoro” di Renzi. Che ringraziava: “Grazie Angela, sono felice del fatto che grazie agli sforzi del popolo e del governo italiani sono qui con un elenco di riforme e risultati. L'Italia non è più il problema dell'Europa. Ha voglia di fare la propria parte come è doveroso che sia e come la storia del nostro paese ci impone”, l'ennesimo imperativo categorico richiamato dal nuovo duce che ha indossato la casacca del nazionalismo mussoliniano e con questa si pavoneggia in Europa e nel mondo.
Sullo stesso tasto batteva e ribatteva nel suo viaggio neocolonialista in Africa quando dalla capitale della Nigeria avvertiva: “Una delle mie priorità è dare più attenzione alle relazioni con l’Africa. L’Italia è un ponte geografico e politico con l’Africa”. Sembra proprio di sentir tuonare Mussolini quando rivendicava il ruolo di grande potenza dell'Italia contro “le democrazie plutocratiche e reazionarie dell'occidente”.
3 febbraio 2016