Un crimine del regime fascista di al-Sisi, grande amico di Renzi
Assassinato al Cairo il giovane ricercatore Regeni
Ucciso con un colpo alla testa dopo 7 giorni di sevizie
Rompere le relazioni diplomatiche con l'Egitto
Il ministro degli Interni egiziano Magdi Abdel Ghaffar il 9 febbraio in una conferenza stampa al Cairo respingeva qualsiasi accusa contro le sue forze di polizia per la morte di Giulio Regeni, il giovane ricercatore italiano assassinato nella capitale e il cui corpo era stato ritrovato il 3 febbraio sul ciglio della strada verso Alessandria. Regeni "non è mai stato arrestato. Vi sono troppe voci riprese sulle pagine dei giornali che insinuano il coinvolgimento delle forze di sicurezza nell'incidente", dichiarava Ghaffar "non accettiamo che si facciano false insinuazioni, questi non sono i metodi degli apparati di sicurezza dello Stato". Che invece sono noti per sequestrare, incarcerare, torturare, uccidere e far sparire i cadaveri degli oppositori, senza procedere nemmeno a un formale arresto. Come sono stati palesi i tentativi della polizia di fornire false informazioni e depistaggi sulle cause della morte del giovane, dall'incidente stradale al delitto a sfondo sessuale.
Dall'inizio del 2014, secondo la Commissione Egiziana per i Diritti e le Libertà, sono state almeno 120 le morti in carcere riconducibili a maltrattamenti e violenze da parte degli agenti penitenziari mentre in un rapporto diffuso nel luglio 2015, Human rights watch segnalava centinaia di sparizioni, soprattutto di oppositori politici, attivisti e giornalisti scomodi per mano delle autorità egiziane. Nel corso del 2015, l'Egyptian Commission for Rights and Freedom, organizzazione indipendente egiziana ideatrice della campagna Stop Enforced Disappearance, ha registrato oltre 1.700 scomparsi, una media che supera i quattro al giorno. Molti "spariscono" nella rete di centri di detenzione segreti, detenuti senza che nessuno sappia dove sono, senza la formalizzazione delle accuse e senza il diritto all’assistenza di un avvocato, dove vengono interrogati e spesso torturati. Un numero cresciuto tra l'altro dopo che il generale Magdi Abdel Ghaffar, un veterano dei servizi di sicurezza egiziani, è diventato ministro dell’Interno lo scorso marzo.
In questa rete potrebbe essere finito Regani "scomparso" nel centro del Cairo il 25 gennaio, il quinto anniversario dell'inizio della rivolta di piazza Tahrir che riuscì a porre fine al regime di Mubarak, oggi sostituito a tutti gli effetti da quello di Al Sisi.
Nei giorni dell'anniversario della rivolta ci sono state nella capitale egiziane oltre 6.000 perquisizioni, retate e qualche migliaio di arresti fra i membri dell'opposizione, denunciava Human Rights Watch, di 490 dei quali non ci sono ancora notizie. Probabilmente Regani è finito in una di queste retate, certamente torturato e ucciso come risulta dalle brutali lesioni rilevate nella prima autopsia condotta in un ospedale italiano al Cairo. Non finirà tra i desaparecidos e il suo cadavere sarà abbandonato sulla strada tra il Cairo e Alessandria probabilmente in seguito alle proteste per la sua sparizione.
In una intervista dell'8 febbraio il ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni affermava che "non ci accontenteremo di verità presunte, vogliamo che si individuino i reali responsabili e che siano puniti in base alla legge". "L'Egitto è un nostro partner strategico - ribadiva il ministro - e ha un ruolo fondamentale per la stabilizzazione della regione. Questo non ci ha mai impedito di promuovere la nostra visione del pluralismo e dei diritti umani. Qui però ci troviamo di fronte a un problema diverso, cioè il dovere dell'Italia di difendere i suoi cittadini e pretendere che, quando essi sono vittima di crimini, i colpevoli vengano assicurati alla giustizia. Questo dovere vale tanto più nei rapporti con un Paese alleato come l'Egitto", guidato dal generale golpista al Sisi, grande amico del presidente del consiglio italiano Matteo Renzi.
Renzi è stato da subito tra i più forti sostenitori di al Sisi; dopo il golpe del 3 luglio 2013 che depose il presidente islamista Mohammed Morsi e l'investitura del generale a presidente con le elezioni del 26 maggio 2014, Renzi è stato il primo leader occidentale a volare al Cairo il 2 agosto successivo a stringergli la mano.
In una intervista dell'8 luglio 2014 a al Jazeera
Renzi affermava che "in questo momento l’Egitto può essere salvato soltanto dalla leadership di al Sisi, questa è la mia opinione personale. Sono orgoglioso della nostra amicizia e lo aiuterò a proseguire nella direzione della pace perché il Mediterraneo senza Egitto sarà senza dubbio un posto senza pace". Il 2 agosto era al Cairo, in qualità di presidente di turno dell'Unione Europea, e ripeteva che "abbiamo non solo il piacere e l'amicizia di una storica collaborazione fra i nostri due paesi, ma un destino comune e la mia presenza qui riconosce alla leadership egiziana un ruolo cruciale per la stabilità dell'area e il futuro delle nuove generazioni".
Non era quindi un caso che Al Sisi per la sua prima visita ufficiale nella Ue sia passato prima di tutto da Roma il 24 novembre 2014 e che il successivo 13 marzo 2015 Renzi sia stato l'unico premier del G7 presente al forum economico di Sharm el Sheikh, dove affermava che "sosteniamo la sua visione, la sua lotta alla corruzione e il suo lavoro per la stabilità. L'Egitto può andare avanti in un processo di consolidamento istituzionale. L'Egitto affronta le crescenti minacce del terrorismo, rimanendo attaccati al rispetto della libertà. La stabilità dell'Egitto è la nostra stabilità, non soltanto per questa area del mondo. Apprezziamo la leadership e la sagezza di al-Sisi, soprattutto per quanto riguarda la Libia. Rinnovo l'impegno dell'Italia a lavorare con lei per portare avanti una soluzione alla crisi siriana e alla crisi libica".
Il legame tra l'Italia imperialista di Renzi e il regime fascista di Al Sisi è sempre più stretto, viaggia anche sul rafforzamento degli scambi economici tanto che fra non molti giorni l'Italia attraverso l'Eni firmerà con l'Egitto un accordo per lo sfruttamento di un giacimento di gas nel Mediterraneo, un contratto che vale 7 miliardi dollari solo per i primi 3 anni. È uno dei legami necessari a sostenere tra l'altro le ambizioni interventiste italiane in Libia. La vicenda dell'assassinio del giovane ricercatore italiano ha se non altro messo in primo piano questo sporco legame e indicato che occorre al contrario rompere le relazioni diplomatiche con l'Egitto.
10 febbraio 2016