Rapporto Adepp sulla previdenza privata
Professionisti sempre più poveri
L'Adepp, l'associazione delle casse di previdenza private che tutelano gli iscritti agli albi professionali, nel suo V rapporto pubblicato lo scorso 15 dicembre ha certificato quanto la crisi del sistema capitalista iniziata nel 2008 abbia colpito duramente non soltanto le masse popolari, ma anche un settore che fino a dieci o venti anni fa era ritenuto dai più estremamente redditizio e al riparo da qualsiasi crisi: quello delle libere professioni.
Il reddito medio dei professionisti, secondo le analisi dell'Adepp, è diminuito in termini reali - ossia considerando il valore al netto dell'inflazione - del 18,35% tra 2007, prima del deflagrare della crisi, e il 2014, anno per cui è disponibile l'ultimo aggiornamento, e si attesta attualmente in media, sempre in termini reali, a 28.960,02 euro annui. La flessione, si spiega nel rapporto, è dovuta soprattutto agli effetti erosivi della crescita dei prezzi, perchè i guadagni (nel 2014 il reddito nominale si si ferma 34.549,30 euro annui) non hanno fatto fronte all'avanzata dei prezzi, minando la capacità di spesa della categoria.
E' ciò che di fatto è avvenuto anche nella stragrande maggioranza dei comparti produttivi, dove il mancato rinnovo dei contratti collettivi ha determinato la perdita del potere effettivo dei salari.
Il numero dei professionisti, iscritti alle casse di previdenza che l'Adepp rappresenta, è costantemente salito negli anni, fino ad arrivare nel 2014 a 1.469.637 professionisti, aumentati del 20% nel decennio che va dal 2005 al 2014, ossia oltre 50mila iscritti in più ogni anno, per cui si tratta di una presenza ormai numericamente importante a livello sociale. In tale numero poi sono compresi sia coloro che svolgono esclusivamente una attività professionale in modo totalmente autonomo (ad esempio notai, avvocati, commercialisti, la maggior parte degli architetti e degli ingegneri) sia coloro che, pur iscritti al relativo albo professionale, svolgono attività dipendente (ad esempio giornalisti, medici e infermieri), e lo studio dell'Adepp non manca di sottolineare come le maggiori difficoltà economiche le incontrino coloro che fanno parte del primo gruppo menzionato, ossia i professionisti che esercitano in regime di piena autonomia.
E' la tendenza graduale, per una notevolissima percentuale di professionisti, di scivolare in uno stato di vera e propria povertà, che si manifesta sotto la forma di guadagni sempre minori e incerti, l'assenza di qualsiasi ammortizzatore sociale, l'obbligo di versamento di contributi pensionistici minimi non legati al reddito (che, solo per fare un esempio, per gli avvocati sono di quasi 3.700 euro l'anno) e le incognite pensionistiche comuni a tutti gli altri lavoratori.
Sono sufficienti a tal proposito due dati relativi a professioni un tempo ritenute estremamente redditizie e che ora presentano aspetti di estrema contraddittorietà: i notai e gli avvocati.
I primi, nonostante in Italia siano circa solo 5.000, hanno visto scendere dal 2007 al 2014 i loro redditi di circa il 45%, ma con profonde contraddizioni all'interno della categoria, in quanto i più penalizzati sono i professionisti che esercitano nelle piccole città dove il crollo del mercato immobiliare ha tolto loro la maggior parte dei loro redditi, derivanti dai rogiti degli atti immobiliari.
Gli avvocati, dal canto loro, hanno visto un calo dei loro redditi nello stesso periodo di circa il 18%, tanto che ormai alcuni ordini forensi, come quelli di Roma, Milano e Bari, hanno creato Onlus per sostenere gli avvocati travolti dalla crisi, finanziate con il cinque per mille della dichiarazione dei redditi. Il calo dei redditi degli avvocati, pur se di gran lunga più contenuto rispetto a quello dei notai, ha inciso però su una platea di gran lunga più vasta, perché in Italia ci sono circa 230mila avvocati, e la crisi ha semmai creato un divario insanabile tra la maggioranza dei professionisti - soprattutto trentenni e quarantenni e anche donne, che fanno fatica a sopravvivere a causa degli alti costi degli affitti degli studi, degli oneri previdenziali e della sempre maggiore difficoltà a riscuotere i loro onorari dai loro clienti - e una minoranza di avvocati legati a studi professionali di punta che supportano la media e grande imprenditoria, i quali al contrario non non hanno conosciuto crisi. Tutto questo spiega perché negli ultimi due anni oltre seimila giovani avvocati si sono cancellati dagli albi professionali in Italia, e alcune stime prudenti ritengono che a breve si raggiungerà la soglia delle diecimila cancellazioni.
Attualmente - a conferma delle drammatiche contraddizioni interne alla categoria, contraddizioni che la crisi ha ampliato - oltre il 50% del reddito complessivo prodotto dall’avvocatura va ad appena l’8,6% per cento della categoria mentre il restante 91,4% degli avvocati deve dividersi l’altra metà del fatturato.
E' chiaro che le contraddizioni ormai insanabili del sistema capitalista, dopo aver generato all'interno della classe operaia una situazione di crescente disoccupazione di massa e - contemporaneamente - di perdita di tutele e di diritti per i lavoratori, dopo aver spazzato via centinaia di migliaia di piccole aziende e avvantaggiato al contempo i grandi operatori economici, si sta ripercuotendo anche nel mondo delle libere professioni creando miseria e precarietà crescenti tra questi lavoratori.
10 febbraio 2016