Nell'incontro di Roma
Renzi e il fantoccio iracheno Al-Abadi uniti per combattere l'IS
Al-Abadi: “vogliamo rafforzare gli investimenti e le società italiane”
Il 10 febbraio Renzi ha ricevuto a Palazzo Chigi il primo ministro del governo fantoccio iracheno, Haider Al-Abadi, in visita di Stato in Italia e in Vaticano. Un incontro passato piuttosto in sordina sulla stampa nazionale, che ha parlato più della gaffe occorsa durante il presentat-arm del picchetto d'onore, in cui il premier iracheno è stato appellato come “presidente dell'Iran”, che dei contenuti dei colloqui. Che invece non sono un fatto di ordinaria amministrazione, perché rafforzano la politica del governo italiano di totale appoggio economico, politico e militare al governo fantoccio di Al-Abadi, confermando l'invio di altre centinaia di militari italiani e aumentando il già elevato e pericoloso coinvolgimento del nostro Paese nella guerra allo Stato islamico.
Nella conferenza stampa a conclusione dell'incontro, a fianco di colui che chiamava confidenzialmente “il caro amico Abadi”, Renzi ha ribadito infatti “tutto il nostro sostegno al popolo e alle forze armate irachene impegnate in una lotta contro Daesh, contro terroristi senza scrupoli che devono sapere che perderanno la loro battaglia. L'Iraq, e con l'Iraq tutta la comunità internazionale, vincerà questa sfida e sarà in grado di farlo non soltanto attraverso il lavoro della coalizione internazionale, ma anche attraverso il lavoro delle nostre unità culturali, economiche e diplomatiche”.
“L'Italia - ha aggiunto il premier rivendicando orgogliosamente il ruolo militare di primissimo piano dell'Italia nel teatro mesopotamico - è uno dei paesi più impegnati nella coalizione internazionale contro Daesh. Abbiamo oltre 700 uomini delle nostre forze armate nella coalizione internazionale. Per numero e qualità siamo tra i più presenti nel paese. E oltre all'unità dell'esercito e delle forze armate, che ringrazio di cuore e a cui va il mio pensiero e quello di tutto il governo, fatemi ringraziare in particolar modo i carabinieri, che hanno fatto e stanno facendo addestramento delle forze di polizia irachene”.
Il maestro e lo scolaro
Renzi si riferiva ai 130 carabinieri di stanza a Baghdad impegnati a formare e addestrare la polizia irachena, e a tale proposito ha voluto sottolineare che proprio in questi giorni “è in corso il passaggio di consegne a Ramadi tra le forze armate irachene e le unità delle polizia irachene, molte delle quali addestrate dai nostri carabinieri: questo ci rende molto fiduciosi della loro capacità di riuscire ad affrontare la nuova fase”. Un modo per dire che la guerra contro l'IS in Iraq sta andando bene, con la riconquista di importanti città come Ramadi, e che ciò è in qualche modo merito anche dei militari italiani, pur non prendendo direttamente parte ai combattimenti sul terreno.
Da parte sua il premier Al-Abadi è stato al gioco, assicurando di non volere “altre forze che non siano irachene sul terreno. La coalizione internazionale ci aiuta nell'addestramento delle nostre forze aiutandoci in questo modo a lottare contro il terrorismo. Entro la fine dell'anno vogliamo porre fine alla presenza di Daesh in Iraq”. E accanto a un Renzi che, come un maestro che ascolta la lezione di uno scolaro diligente, annuiva solennemente e ripetutamente con la testa, il fantoccio di Baghdad ha ribadito come un mantra che “Daesh è una minaccia non soltanto nella regione ma anche nel mondo. Avete visto anche voi, Daesh usa il terrorismo psicologico e quindi dobbiamo cercare di far fronte a Daesh. Possiamo sconfiggere Daesh se andiamo avanti con questa collaborazione”.
Prima di lasciare la parola al premier iracheno Renzi aveva confermato il programma già annunciato dal governo di aumentare a breve il già nutrito contingente di uomini e mezzi presente in Iraq, che comprende l'invio di 450 militari a protezione della diga di Mosul e di un contingente di altri 130 uomini a Erbil, con compiti di protezione e di ricerca e cura di feriti, dotato di elicotteri sia da soccorso che da combattimento. “Abbiamo parlato dei prossimi lavori di consolidamento della diga di Mosul - ha sottolineato infatti il presidente del Consiglio - che sono assegnati alla italiana Trevi, leader mondiale nel settore. I due governi collaboreranno insieme per la sicurezza dell'area in chiave difensiva”. E ha aggiunto: “Ne avevamo già parlato con Obama e siamo convinti di poter fare un ottimo lavoro con gli amici del governo iracheno in logica di totale condivisione e collaborazione”.
Escalation in Iraq guardando alla Libia
Come uno spregiudicato giocatore d'azzardo Renzi punta dunque ad un'escalation del coinvolgimento italiano in Iraq nella guerra all'IS, sia sul piano quantitativo, con l'invio di altre truppe e mezzi, sia qualitativo, mettendo nel conto anche scontri diretti sul terreno con i combattenti dello Stato islamico, compreso il non ancora annunciato ma ventilato intervento “attivo” dei bombardieri Tornado usati per ora solo in funzione di ricognizione e segnalazione di obiettivi da bombardare, come dimostra l'invio di unità di ricerca e soccorso appoggiate da elicotteri da combattimento. E la protezione “difensiva” della diga di Mosul, che il leader iracheno ha definito “vitale” per l'approvvigionamento idrico della popolazione irachena e bisognosa di urgenti lavori di restauro e manutenzione, gliene fornisce il pretesto “legale”.
L'obiettivo inconfessato del nuovo duce con questo aumento dell'impegno italiano in Iraq è quello di accrescere il credito internazionale dell'Italia presso gli alleati, e in particolare presso gli Usa, che dopo aver invaso l'Iraq e distrutto il suo tessuto civile e sociale, riportandolo come diceva il criminale Bush “al medioevo”, ora hanno un disperato bisogno di sostenere il governo fantoccio di Al-Abadi per impedire che quel paese cada nelle mani dello Stato islamico.
E perché Renzi vuole accrescere il credito internazionale dell'Italia facendo leva sull'aumentato impegno in Iraq e nella guerra all'IS? In primo luogo per ottenere in cambio la guida italiana all'imminente intervento militare internazionale in Libia, che gli preme più di ogni altra cosa nel quadro del suo disegno neomussoliniano e neocolonialista verso l'ex colonia nordafricana, che rivendica come area di pertinenza e di espansione dell'imperialismo italiano. In secondo luogo per rafforzare la sua politica della “voce grossa” con l'Unione europea sulle questioni dei migranti e della “flessibilità” economica. E, non ultimo, anche per guadagnare punti in vista della partita per un seggio non permanente all'Italia nel Consiglio di sicurezza dell'Onu, che si aprirà tra qualche mese.
Invito a lucrosi affari in Iraq
La visita a Roma del fantoccio dell'imperialismo Al-Abadi rientra perciò in questo quadro, quasi un'appendice naturale al recente vertice internazionale anti-IS a presidenza italo-statunitense tenutosi a Roma e alla visita di Renzi in tre Stati Africani. Non manca tuttavia, accanto ai motivi politici e militari, anche il movente economico a questa visita, reso ancor più urgente per l'Iraq dal crollo del prezzo del petrolio: “Il prezzo del petrolio così basso deriva da mille ragioni di natura geopolitica e ha ripercussioni su tanti Paesi. Abbiamo convenuto sulla necessità che G7, G20 e comunità internazionale diano attenzione a Paesi come l'Iraq per aiutare la ripresa economica di questo meraviglioso Paese” ha detto Renzi, aggiungendo che “l'Italia è pronta a verificare anche con i suoi operatori economici di come aiutare l'Iraq”.
“Siamo felici della presenza delle aziende italiane in Iraq - gli ha risposto invitante il suo ospite - e ci auguriamo l’arrivo di altre aziende italiane in Iraq, vogliamo rafforzare la collaborazione e attirare nuovi investimenti. In Iraq ci sono 19 province, Mosul è solo una. Ce ne solo altre 18 in cui investire”. Ed è in questo quadro che Al-Abadi ha incontrato anche l'amministratore delegato dell'Eni, Claudio Descalzi, grande amico di Renzi, per discutere “delle prospettive di sviluppo del settore petrolifero in Iraq e delle attività di sviluppo del giacimento di Zubair”: un giacimento nei pressi di Bassora che è considerato uno dei più ricchi del Paese, con una produzione di 360 mila barili al giorno.
17 febbraio 2016