Terzo sciopero nazionale dei lavoratori del gruppo Eni
Oltre 3.000 gli operai in piazza a Roma
Contro la svendita di Versalis e in difesa del posto di lavoro
Oltre 3.000 i lavoratori in piazza SS. Apostoli a Roma il 19 febbraio scorso, provenienti da tutti gli stabilimenti e siti di Eni e Saipem con folte delegazioni da Gela, Porto Marghera, Porto Torres, Priolo e Ravenna, per la manifestazione nazionale in occasione dello sciopero generale di 8 ore indetto da Filctem-Cgil, Femca-Cisl, Uiltec-Uil. Hanno portato bandiere e striscioni in piazza per dire NO alla fuga di Eni dall’Italia, NO alla svendita di Versalis, e NO all’abbandono dei lavoratori di Saipem al loro destino.
E' il terzo sciopero dei lavoratori dell'azienda in poco più di due mesi che ha come primo obiettivo impedire la "svendita" di Versalis, la società della "chimica verde", appena ristrutturata. I sindacati hanno affermato che "Tutti gli impianti del gruppo si sono fermati e l'adesione ha superato il 90% (secondo l’azienda il 35%) del personale in servizio, al netto di quelli comandati per la sicurezza degli impianti”, nonostante il vigliacco tentativo di boicottaggio dell'Eni che ha mandato i suoi scagnozzi negli stabilimenti e nelle fabbriche a convincere i lavoratori delle ragioni aziendali.
Contemporaneamente i lavoratori a Porto Marghera hanno volantinato in strada per sensibilizzare la popolazione e davanti agli ingressi degli stabilimenti mentre un centinaio di lavoratori è partito all’alba, in pullman e treno, per unirsi alla manifestazione romana. È scattato invece alle 7 lo sciopero generale di otto ore degli operai del polo petrolchimico di Porto Torres, in linea con la protesta nazionale.
Sia il governo del nuovo duce Renzi che i padroni della chimica, dalla presidente Marcegaglia all’amministratore delegato Descalzi, fanno “orecchie da mercante”, e i lavoratori sono tornati in piazza compatti per sturargliele, in particolare al governo-padrone, perché "la filiera chimica, con la siderurgia e l'alluminio sono essenziali per il sistema industriale del Paese e in particolare per quello manifatturiero”. Infatti, lo Stato controlla il 30% di Eni che a sua volta controlla il 100% di Versalis, e adesso - l’operazione si potrebbe definire già in marzo - è decisa a svendere il 70% all'inaffidabile fondo statunitense Sk Capital.
Per il colosso dell'industria dell'energia italiano è un momento difficile: il crollo del prezzo del greggio ha costretto i vertici della società ad azioni drastiche per sostenere gli investimenti, mantenere i giacimenti esistenti e i lauti profitti. La legge capitalista del massimo profitto non concede regalie: alla “cessione”, leggi svendita e privatizzazione, di rami d'azienda, settori di attività non ritenuti più redditizi, quote di società controllate, corrispondono licenziamenti e supersfruttamento dei migliaia di lavoratori rimasti.
I sindacati, nei giorni precedenti allo sciopero hanno rivolto un invito al governo perché riapra il tavolo delle trattative, dopo che a fine gennaio il ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi, ha ribadito l'appoggio di Palazzo Chigi al progetto di cessione presentato dall'ad Claudio De Scalzi e non ai lavoratori, chiedendo a Renzi l'ingresso del Fondo Strategico della Cassa Depositi Prestiti, esattamente come ha fatto per Ilva.
A questo proposito, i sindacati hanno anche inviato una lettera-appello, firmato da 500 rappresentanti sindacali, al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in cui precisano come "la chimica di base è una infrastruttura che attraversa in lungo e in largo tutto il Paese ed è quindi di più di una azienda: è una delle dorsali su cui abbiamo costruito l'industria del Paese, mentre Eni vede una prospettiva in cui la chimica non c'è più, perché oltre la chimica abbandonerebbe anche la raffinazione". E poi affermano: "Non possiamo accettare e tollerare il più grande smantellamento mai operato nella storia della Repubblica italiana".
24 febbraio 2016