Nello spirito dell’8 Marzo
Rimuoviamo le cause dell’oppressione delle donne
di Monica Martenghi*
La Giornata internazionale delle donne fu istituita oltre un secolo fa per porre in modo permanente e a livello mondiale la questione drammatica e centrale dell’oppressione delle masse femminili.
Era infatti il 1910 quando la seconda Conferenza delle donne socialiste (ancora non era avvenuta la scissione fra marxiste-leniniste e socialdemocratiche) decise su proposta delle marxiste-leniniste russe ispirate da Lenin, l'istituzione di tale giornata da celebrare in una domenica di febbraio e marzo di ogni anno, nel ricordo delle 129 operaie morte a Chicago nell’incendio della fabbrica che occupavano.
Nel 1921 poi la Conferenza delle donne comuniste (oggi si direbbe marxiste-leniniste) decise che questa giornata fosse celebrata in tutto il mondo nella data dell'8 Marzo legandola alla prima manifestazione delle operaie di Pietrogrado contro lo zarismo nel 1917, preludio della grande Rivoluzione d'Ottobre.
Il movimento operaio per primo poneva così la questione storica e strategica della “necessità dell’emancipazione femminile come condizione indispensabile per l’emancipazione dell’intero proletariato e dell’intera umanità. Un processo epocale – come l'ha definito il nostro Segretario generale, compagno Giovanni Scuderi - che passa inevitabilmente dalla conquista del potere politico da parte del proletariato e dalla realizzazione del socialismo e del comunismo”.
La storia ha dimostrato che senza liberare le donne dalle catene dello sfruttamento capitalistico e dell'oppressione di sesso non vi può essere giustizia sociale, uguaglianza, libertà e democrazia per nessuno. La condizione della donna è la precisa misura del grado di sviluppo dell’intera società.
C’è ancora bisogno dell'8 Marzo
I motivi che spinsero a istituire l'8 Marzo sono oggi ancora del tutto validi e attuali. Perché nonostante tante conquiste economiche, sociali e civili costate decenni di lotte e di sangue, in tanta parte del mondo e anche in Italia, l'uguaglianza fra i sessi non è stata ancora realizzata nella pratica, spesso nemmeno sul piano formale.
Le donne non godono degli stessi diritti degli uomini sia nella giurisprudenza, né tanto meno sul piano materiale, economico, familiare e sociale. Ovunque nelle istituzioni, nelle professioni, nell'istruzione, nella famiglia esse sono ancora discriminate e subalterne all'uomo, prigioniere di un ruolo che le vuole soprattutto madri e mogli, oggetti sessuali, schiave della casa e della cura di tutta la famiglia dai bambini agli anziani, considerate lavoratrici ed esseri umani di serie B. E la loro condizione è resa ancora più pesante e insopportabile ora che la crisi economica e finanziaria del capitalismo, che ormai perdura da oltre 8 anni, aumenta la loro miseria e riduce drasticamente le risorse per i servizi sociali e assistenziali.
Esse pagano ogni giorno con indicibili sofferenze, fatiche, umiliazioni, mutilazioni e violenze e a volte con la loro stessa vita, il solo fatto di essere nate donne.
La condizione femminile in Italia
In Italia solo il 47% delle donne in età lavorativa ha un lavoro. La percentuale si ferma al 30,8% nel Mezzogiorno. In sostanza, sette donne su dieci al Sud non lavorano o lavorano a nero. Solo il 21,6% delle giovani donne del Sud lavora contro una media europea del 50,9%. Le lavoratrici sono occupate soprattutto nel terziario e in professioni a bassi redditio e specializzazione. Insieme ai giovani, rappresentano l'esercito, non per scelta, degli occupati a tempo determinato, stagionale e a part time.
Il caporalato torna a dilagare ed è un fenomeno che riguarda le lavoratrici italiane quanto quelle straniere. Si raccolgono fragole, uva e pomodori anche per dieci ore al giorno per 3 euro l'ora. Nel magazzini di confezionamento si arriva anche a 15 ore al giorno. Sembra essere tornati agli albori del capitalismo. Spesso, per lavorare, sono costrette anche a subire ricatti sessuali da parte dei caporali e dei padroni.
La disoccupazione femminile ufficiale è all'11,4%, il 19,8% nel Sud. La maggioranza delle donne, e sono quasi 10 milioni, è relegata in casa ad abbrutire nei lavori domestici e di cura dei familiari e magari ad arrotondare le entrate familiari con il lavoro nero e a domicilio.
Anche quando lavorano le donne guadagnano in media il 41% in meno dei lavoratori. La diseguaglianza economica con l'uomo è la regola a qualsiasi età. Le pensionate ricevono in media il 30% in meno dei pensionati. Il 78,2% delle pensionate riscuote meno di 750 euro al mese. La volontà del governo Renzi di metter mano alle pensioni di reversibilità rappresenta un ulteriore attacco alle condizioni economiche e di vita delle pensionate che rappresentano l'87% delle pensioni ai coniugi superstiti.
I tagli ai servizi, all'assistenza e alla sanità minano anche la salute delle donne. I consultori sono ormai quasi inesistenti, la prevenzione diventa un miraggio, si torna a morire di parto con sempre più frequenza, abortire legalmente e in sicurezza sta diventando impossibile visto che il 70% dei medici sono “obiettori di coscienza”. I “Centri antiviolenza” sono pochissimi, non finanziati e spesso lasciati in mano alle organizzazioni cattoliche.
Le donne sono quasi assenti o in netta minoranza negli organi decisionali: dalla magistratura, ai vertici dell'università e della scuola, negli enti pubblici. A livello delle istituzioni rappresentative borghesi, nonostante le varie leggi e raccomandazioni sul “riequilibrio della rappresentanza” le deputate sono il 30,8% e le senatrici il 28,2%, e sono appena il 7,1% dei presidenti di commissione alla Camera e il 14,3% al Senato. Renzi si vanta di aver nominato il 40% dei suoi ministri donne, ma nessuna è viceministro e le sottosegretarie sono appena il 28,6%. Solo il 18% dei consiglieri regionali sono donne. I sindaci donna non vanno oltre il 13,3% e in genere si tratta di piccoli o piccolissimi comuni.
Nel 2014 le donne uccise sono state 152, il 32% delle vittime totali. 117 di queste sono state causate in ambito familiare, soprattutto da parte di mariti e ex mariti, fidanzati, partner che intendono punirle perché hanno osato ribellarsi ai loro voleri. Il femminicidio è solo l'ultimo estremo stadio di un unico fenomeno che comprende forme odiose e barbare come lo stupro, lo stalking, gli sfregi, i sistematici pestaggi tra le mura domestiche. Un recente rapporto ISTAT rivela che una donna su tre in Italia è stata vittima di una qualsiasi forma di violenza fisica, sessuale e morale. Si tratta solo della punta di un iceberg, perché la maggior parte di queste violenze non vengono denunciate per paura o a causa della cultura borghese e cattolica dominante che fa prevalere sulla salute della donna e la sua integrità fisica, psichica e morale, la falsa quanto ipocrita “unità della famiglia”.
Le cause dell'oppressione femminile
La storia ha ormai dimostrato che la causa ultima e più profonda dell'oppressione della donna e della disparità fra i sessi è l'esistenza stessa del capitalismo e della sua cultura, morale ed etica borghese e cattolica. Perché è connaturale alle leggi economiche del capitalismo la doppia schiavitù della donna, salariale e domestica; perché è in questo modo che esso realizza il massimo profitto e tiene in piedi il suo sistema statale, culturale e sociale; perché è la famiglia borghese, e la donna che al suo interno ne è il caposaldo, la cellula economica di base del sistema capitalistico e il suo principale ammortizzatore sociale.
Si sono susseguiti governi di “centro-destra” e di “centro-sinistra” ma la politica familista e antifemminile dominante non è mai cambiata nella sostanza.
Come i suoi predecessori, Craxi e Berlusconi, anche il nuovo Mussolini Renzi, ha fatto propria la linea femminile mussoliniana fondata sulla triade "dio, patria e famiglia" che giustifica pienamente sul piano ideologico, culturale e morale la subordinazione sociale, familiare e coniugale delle donne.
Questa cultura borghese antifemminile e oscurantista è supportata da una martellante campagna del papa, del Vaticano e delle alte gerarchie ecclesiastiche che continuano a imporre allo Stato e all'intera società italiana, credente e non, la famiglia cattolica come unico e universale modello di famiglia. Persino il cosiddetto papa “illuminato” e “progressista” Bergoglio, il 12 febbraio scorso, nel pieno della discussione sulla legge sulle unioni civili, in una “Dichiarazione comune” firmata a Cuba assieme al Patriarca Kirill di Mosca e di tutta la Russia, ha colto l'occasione per ribadire che “la famiglia è il centro naturale della vita umana e della società” e che essa “si fonda sul matrimonio, atto libero e fedele di amore di un uomo e di una donna”.
Fra l'altro su questo terreno il papa ha trovato un nuovo inatteso alleato nell'imbroglione arcirevisionista Marco Rizzo che intervistato da Radio Vaticana si è detto fermamente contrario alla “maternità surrogata”.
E' in nome di questa famiglia che il Senato, grazie anche all'inconsistenza dell'opposizione della sinistra PD e di Sel nonché all'opportunismo del Movimento 5 stelle, ha varato in prima lettura, attraverso un ennesimo voto di fiducia, una legge sulle “unioni civili” che invece di garantire gli stessi diritti delle coppie sposate ed eterosessuali alle famiglie di fatto e omosessuali, compreso il diritto di matrimonio, di adozione e quant'altro, riafferma quanto di più retrivo, oscurantista, omofobo e reazionario è contenuto nella Costituzione, nella legislazione e nella cultura borghese e cattolica a proposito di famiglia e di rapporti fra i sessi. Secondo questa legge le coppie omosessuali e quelle di fatto non possono essere considerate delle vere e proprie famiglie con uguali diritti, risorse e possibilità delle famiglie cosiddette “naturali”. Tanto meno hanno il diritto di far nascere e crescere dei figli. Oltretutto alla fine è stata stracciato persino l'articolo 5 che riconosceva il diritto seppur parziale di adottare il figlio del proprio partener. Significativo a questo proposito il commento del ministro degli Interni, nonché presidente del NCD, Angelino Alfano: “Abbiamo impedito una rivoluzione contro natura”.
Il nuovo duce Renzi, che è stato costretto a varare questa legge solo per tacitare i continui richiami europei, è riuscito così a soddisfare pienamente le pretese della destra borghese e dei settori più reazionari e oscurantisti, presenti massicciamente anche all'interno del suo partito, del Vaticano e della Conferenza episcopale italiana (Cei).
La legge sulle “Unioni civili” è quindi da respingere. Occorre rivendicare l'estensione di tutti i diritti del matrimonio, compreso quello sulle adozioni, alle unioni civili e alle famiglie di fatto. Anche la “maternità surrogata”, liberamente scelta dalle donne e non a scopo di lucro, deve essere permessa e legalizzata. Alle coppie LGBTI deve essere riconosciuto il diritto di matrimonio. Noi marxisti-leninisti respingiamo la concezione retriva e cattolica sancita nella Costituzione, frutto di un inaccettabile compromesso raggiunto nel '48 fra la DC e il PCI revisionista. Non si tratta semplicemente di darne un'interpretazione più moderna e aperta, l'articolo 29 che recita: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”, va semplicemente abrogato. Deve essere riconosciuto il diritto all'adozione del figlio del partner.
Rimuovere le cause dell'oppressione
Se il capitalismo è la causa dell'oppressione della donna, va da sé che l'unico modo per rimuoverla è combatterlo e raderlo al suolo. E così facendo distruggere le fondamenta di tutta la sua sovrastruttura ideologica, culturale, morale, etica, giuridica e istituzionale che perpetua nei secoli la subordinazione e la discriminazione della donna. Solo il socialismo può cambiare davvero l'Italia e dare il potere politico al proletariato. Solo il socialismo e poi il comunismo eliminando lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, il dominio dell'uomo sulla donna e le classi sono in grado di realizzare la piena e concreta uguaglianza fra i sessi.
Nell'immediato per strappare le masse femminili alla schiavitù domestica e alla prigione della famiglia borghese occorre impugnare con forza le due grandi battaglie strategiche per il lavoro e la socializzazione del lavoro domestico. Queste due battaglie sono le leve principali dell'emancipazione femminile. Ciò significa innanzitutto e nell'immediato battersi per un'occupazione stabile, a tempo pieno, a salario intero e sindacalmente tutelato per tutte le donne e per imporre la costruzione di una fitta rete di servizi sociali, sanitari e scolastici pubblici in tutto il territorio nazionale, a partire dal Mezzogiorno.
Significa anche rifiutare e combattere la cultura e la morale borghese e cattolica dominante, riappropriandosi della concezione proletaria della donna e della famiglia e rilanciando a livello di massa, nelle fabbriche, nelle piazze, nelle scuole e nelle Università, la battaglia per la parità fra i sessi e l'emancipazione femminile.
Oggi lavorare per rimuovere le cause dell'oppressione delle donne significa anche combattere per spazzar via il governo del nuovo duce Renzi che ha spostato a destra l'asse della politica governativa su tutti i piani, sta completando il regime neofascista preconizzato dalla P2 e realizzato da Berlusconi e seguendo le orme nazionaliste, guerrafondaie, neocolonialiste e interventiste di Mussolini, coinvolgendo l'Italia nelle guerre imperialiste per la spartizione del Medio oriente e del mondo.
Le prossime elezioni amministrative del 12 giugno offrono alle masse femminili sfruttate e oppresse e a tutti coloro che aborrono il fascismo, la guerra imperialista, il capitalismo e aspirano all'emancipazione e al socialismo un'occasione per punire il governo centrale e i governi locali, nonché tutte le altre liste borghesi in corsa, comprese il Movimento 5 stelle e quelle che si pongono a sinistra del PD, perché anch'esse sono al servizio del capitalismo, scegliendo di astenersi (disertando le urne, oppure annullando la scheda o lasciandola in bianco).
Mentre per quanto riguarda il referendum del 17 aprile contro le trivellazioni le donne devono essere in prima fila andando a votare per fargli ottenere il quorum e per votare Sì.
Con perenne riconoscenza auguriamo Buon 8 Marzo alle militanti e alle simpatizzanti del nostro Partito!
Buon 8 Marzo militante a tutte le masse femminili sfruttate e oppresse del nostro Paese, comprese le migranti. A tutte loro assicuriamo che il PMLI mai smetterà di battersi per la loro piena e concreta parità con l'uomo in ogni campo fino alla loro completa emancipazione. Più forze proletarie, ragazze, donne rivoluzionarie si uniranno a noi come militanti, simpatizzanti, amiche, più il PMLI potrà essere all'altezza di questo immenso e strategico compito.
Viva l'8 Marzo!
Viva l'emancipazione delle donne!
Spazziamo via il governo del nuovo duce Renzi e la sua politica guerrafondaia, interventista e neocolonialista!
Viva l'Italia unita, rossa e socialista!
Con i Maestri e il PMLI vinceremo!
* Responsabile della Commissione per il lavoro femminile del CC del PMLI
2 marzo 2016