Profughi assaltano le barriere tra Grecia e Macedonia
Il governo francese rade al suolo la baraccopoli di Calais

 
La Macedonia si era accodata alla decisione adottata dal vertice del 18 febbraio scorso dei capi della polizia di numerosi governi balcanici, a cui la Grecia non era stata invitata, di limitare a circa 580 il numero massimo giornaliero di migranti in entrata sul proprio territorio; un numero risibile rispetto al flusso che seppur non ai livelli dello scorso anno voleva dire di fatto la virtuale chiusura del varco di passaggio di frontiera con la Grecia, quello poco sopra la cittadina ellenica di Idomeni sulla strada di collegamento tra Salonicco e la capitale macedone Skopje. Il tutto in linea con la disumana politica dei muri contro i migranti decisa dall'Unione europea.
Il flusso dei migranti si strozzava nell'improvvisato campo di Idomeni dove si accalcavano in condizioni spesso disumane quasi 10 mila persone. Il governo macedone selezionava il passaggio dei profughi accettando solo quelli siriani mentre respingeva quelli di altre nazionalità o i cosiddetti migranti economici, come se fosse diverso morire sotto le bombe o di fame e povertà. La notte del 28 febbraio decideva che anche questo sistema di selezione non era sufficiente e apriva i cancelli per permettere il passaggio di circa 300 profughi e richiudeva la frontiera.
La mattina del 29 febbraio alcune centinaia di migranti iracheni e siriani armati di pali cercavano di abbattere il muro di filo spinato steso sul confine per protestare contro la chiusura della frontiera e la decisione del tetto massimo all'afflusso giornaliero dei rifugiati fissato dalle autorità macedoni. Una protesta sedata a colpi di lacrimogeni ma che se non altro portava alla riapertura della frontiera greco-macedone, seppur con la capacità di passaggio di un contagocce. Tanto che al 2 marzo i migranti accalcati in condizioni sempre più precarie sul versante greco della frontiera con la Macedonia in attesa di poter proseguire il viaggio verso il nord dell'Europa secondo le organizzazioni umanitarie hanno certamente superato le 10 mila unità, con i nuovi arrivi che avevano riempito in pochi giorni anche i tre nuovi campi da 2 mila posti allestiti dai militari greci vicino alla città di Idomeni.
Per una tendopoli che cresce lungo la via della disperazione di profughi e migranti verso il centro e il centro-nord dell'Europa ve ne è un'altra demolita dalle ruspe, quella di Calais sulle coste francesi della Manica dove sono bloccati circa 1.000 i migranti, secondo il governo di Parigi ma che sarebbero quasi 3.500 secondo le associazioni umanitarie; si tratta soprattutto di siriani, afghani e sudanesi bloccati dal muro di Cameron che non ne vuole nemmeno uno in Gran Bretagna.
Il tribunale amministrativo di Lille aveva decretato lo scorso 25 febbraio uno sgombero parziale del campo. Il governo Valls assicurava che a tutti i migranti cacciati dal campo sarebbe stata offerta una diversa sistemazione in container riscaldati e in centri d'accoglienza; una proposta respinta dai migranti e valutata tra l'altro come insufficiente dalle stesse ong che operano sul posto dato che il migliaio di posti letto offerti coprivano meno di un terzo dei bisogni reali. Quindi per la maggioranza dei migranti avrebbe dovuto significare la fine del viaggio.
La mattina del 29 febbraio migliaia di poliziotti in assetto antisommossa si sono presentati alla tendopoli scortando due ruspe e una ventina di operai che iniziavano a demolire decine di tende e baracche nella parte sud del campo. Proteste e attacchi dei migranti che si scontravano con gli agenti interrompevano momentaneamente le operazioni di sgombero.
Grazie a un "dispositivo di sicurezza rafforzato" messo in piedi dalla Prefettura, ovvero a un'ancora più massiccia presenza di polizia, le operazioni di demolizione continuavano nei giorni successivi.

9 marzo 2016