Per cercare di uscire dalla grave crisi di sovrapproduzione che soffoca il sistema produttivo
Il governo capitalista cinese taglierà 6 milioni di posti di lavoro
Protestano in piazza i minatori di Anyuan
Il ministro cinese per le risorse umane e la sicurezza sociale, Yin Weimin, in una conferenza stampa dell'1 marzo dichiarava che 1,3 milioni di operai del settore del carbone e 500.000 operai delle acciaierie potrebbero perdere il lavoro. Un pesante colpo per i lavoratori, circa il 15% degli addetti del settore, ma solo un acconto di un progetto più ampio che prevede la distruzione fino a 6 milioni di posti di lavoro.
"L’economia sta affrontando delle pressioni abbastanza forti verso il basso e alcune aziende stanno affrontando delle difficoltà nel settore produttivo ed operativo che potrebbero causare una riduzione del numero dei lavoratori impiegati”, affermava il ministro. Che nei fatti annunciava un nuovo giro di ristrutturazioni, in particolare nelle aziende statali, quelle poche sopravvissute ai precedenti tagli.
Tanto per fare un esempio nelle ristrutturazioni compiute dal governo di Pechino in soli cinque anni, tra il 1998 e il 2003, gli "esuberi" furono ben 28 milioni. Gli anni successivi sono stati quelli della spaventosa crescita economica a due cifre, fino alla frenata determinata dall'ultima crisi, l'attuale grave crisi di sovrapproduzione che soffoca il sistema produttivo e dalla quale cerca di uscire la Cina di Xi Jinping. Scontando la crescita di scioperi e proteste dei lavoratori in tutta la Cina.
Secondo quanto affermato recentemente dal vice-ministro dell’industria Feng Fei la Cina deve tagliare la produzione di acciaio grezzo fino a 150 milioni di tonnellate e 500 milioni di tonnellate di eccedenze di produzione di carbone nei prossimi 3-5 anni, tagli della sovrapproduzione in ben sette settori, tra cui quello del cemento, del vetro e delle costruzioni navali. Si salverebbe solo l’industria dell’energia solare per le ancora reali potenzialità di crescita. Tradotto in termini di posti di lavoro si calcola che fino a sei milioni di lavoratori verrebbero licenziati.
I lavoratori di Anyuan, del Gruppo minerario di Pingxiang, già negli ultimi mesi avevano subito la riduzione del salario a poco più di 140 euro mensili; la direzione delle miniere aveva deciso unilateralmente la chiusura dei pozzi per diversi giorni durante la recente festa di Capodanno e annunciato l'interruzione della produzione per un periodo di due settimane, in alcune miniere nel corso del mese di marzo. All'annuncio da parte del governo dei nuovi tagli occupazionali nel settore l’impresa mineraria locale di proprietà statale annunciava licenziamenti e una ulteriore riduzione dei salari a 65 euro al mese.
Il 29 febbraio alcune centinaia di lavoratori per protesta contro i tagli occupazionali e salariali scendeva in strada a Anyuan e bloccavano il traffico. Il 2 marzo erano almeno 10 mila gli operai provenienti da tre miniere che sfilavano per la città con striscioni con scritte come "gli operai vogliono sopravvivere".
La lotta dei minatori di Anyuan è diretta contro le decisioni del governo di Li Keqiang che sull'eliminazione delle sopravvissute aziende statali vuole costruire la sua politica di rilancio dell'economia della superpotenza socialimperialista cinese.
16 marzo 2016