Per le emissioni nocive dell'Ilva di Taranto
Sotto processo Vendola e i Riva
L'ex governatore della Puglia è accusato di aver fatto pressioni per ottenere un atteggiamento meno severo per l'azienda
Dopo il vergognoso annullamento “per errori procedurali” del primo processo dinanzi alla Corte d’Assise e il ritorno alla fase preliminare, il 28 febbraio il Giudice per l'udienza preliminare (Gup) Anna De Simone ha accolto la richiesta della procura di Taranto e rinviato a giudizio tutti i 47 imputati (44 persone e tre società) coinvolti a vario titolo nell'inchiesta “Ambiente Svenduto” inerente le emissioni nocive dell'Ilva nel capoluogo ionico.
Il nuovo processo inizierà il prossimo 17 maggio. Alla sbarra ci sarà fra gli altri l'ex governatore trotzkista della Puglia, Niki Vendola, accusato di concussione aggravata per aver fatto pressioni sul direttore di Arpa Puglia, Giorgio Assennato, affinché assumesse un atteggiamento meno severo nei confronti dei fratelli Riva, padroni dello stabilimento. Sulla base dei monitoraggi del 2009, infatti, Arpa Puglia aveva evidenziato “valori estremamente elevati di benzo(a)pirene” e di conseguenza proposto in una relazione “l’esigenza di procedere ad una riduzione e rimodulazione del ciclo produttivo dello stabilimento siderurgico di Taranto”. Ma, secondo la procura ionica, Vendola ha “fortemente criticato l’operato dell’Arpa, esprimendo al contempo disapprovazione, risentimento ed insofferenza” e in un incontro avvenuto il 22 giugno 2010 con alcuni dirigenti della regione e l’allora dirigente Ilva Girolamo Archinà, ha ribadito “che in nessun caso l’attività produttiva dell’Ilva avrebbe dovuto subire ripercussioni”.
A giudizio anche l'ex assessore e attuale deputato di Sel, Nicola Fratoianni, e il consigliere regionale PD Donato Pentassuglia, entrambi accusati di favoreggiamento personale nei confronti di Archinà.
Sul banco degli imputati saliranno anche Fabio e Nicola Riva, figli del padrone Emilio e proprietari dell’Ilva, accusati insieme all’ex direttore dello stabilimento Luigi Capogrosso, all’ex responsabile delle relazioni istituzionali Girolamo Archinà, all’avvocato del Gruppo Riva Franco Perli e ai cinque fiduciari che componevano il cosiddetto “governo ombra” di associazione per delinquere, disastro ambientale, avvelenamento di sostanze alimentari e omissione dolosa dei dispositivi e procedure di sicurezza contro gli infortuni sul lavoro. Fabio Riva e l’ex consulente della procura Lorenzo Liberti, inoltre, devono rispondere anche dall’accusa di corruzione in atti giudiziari per aver versato, secondo i pubblici ministeri, una tangente di 10mila euro per ammorbidire le perizie sull’Ilva.
Tra i 44 imputati finiti nuovamente a processo c'è anche il neopodestà di Taranto, Ippazio Stefano, accusato di abuso d’ufficio per non aver preso adeguate misure a tutela dei cittadini contro l'inquinamento; l’ex presidente della Provincia, Gianni Florido, accusato insieme all’ex assessore provinciale Michele Conserva e al responsabile delle relazioni esterne Ilva, Girolamo Archinà, di aver fatto pressioni su due dirigerti provinciali all'Ambiente per favorire l'apertura di una discarica in Ilva; Luigi Pelaggi (ex capo della segreteria tecnica del ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo), l'ex presidente Ilva ed ex prefetto Bruno Ferrante e Dario Ticali, ex presidente della commissione ministeriale che rilasciò l’autorizzazione integrata ambientale alla fabbrica.
Sotto processo anche tre società: Riva Fire, Riva Forni elettrici e Ilva spa che devono rispondere di illeciti amministrativi.
16 marzo 2016