Intervista esclusiva de “Il Bolscevico” al partigiano Giovanni Gerbi in occasione della presentazione a Ivrea del video “La rivoluzione che doveva venire. La rivoluzione che verrà”
“Sono stato, sono e sempre rimarrò comunista rivoluzionario per fare in Italia come nella Russia di Lenin e Stalin”
La storia dell'insurrezione di Santa Libera del 1946 contro l'amnistia concessa ai fascisti da Togliatti. Il PCI frenò la lotta rivoluzionaria degli operai e delle masse
“Solidarizzo con la lotta antimperialista dello stato islamico e dei suoi combattenti”
Dal nostro corrispondente del Piemonte
In occasione della presentazione del video “La rivoluzione che doveva venire. La rivoluzione che verrà”, prodotto e realizzato dal collettivo “Officinevideoindipendenti” di Milano in cui il bravo compagno Tonino ha saputo convogliare su video la storia dei partigiani che nel lontano agosto 1946, nel paese di Santa Libera, tra le province di Cuneo ed Asti, rimbracciarono i fucili contro la famigerata amnistia di Palmiro Togliatti che ridava la libertà e prestigiosi posti di potere a migliaia di fascisti che si erano macchiati delle peggiori nefandezze durante il ventennio mussoliniano a discapito di partigiani e comunisti.
L'Organizzazione biellese del PMLI ha colto l'occasione per intervistare a Ivrea (Torino), sabato 19 marzo, Giovanni Gerbi, l'ultimo partigiano sopravvissuto di Santa Libera, per coglierne le testimonianze storiche e politiche, che restano ancora attuali, e ottenere delle considerazioni sul movimento partigiano di quegli anni per giungere agli attuali movimenti di resistenza all’imperialismo internazionale.
Già all'inizio dell'intervista il compagno Giovanni mette in mostra il suo spirito diretto e franco chiedendo di cominciare l'intervista con le conoscenze ufficiali dei presenti, con tanto di vigorosa stretta di mano, affermando: “Ci si deve sempre presentare per ciò che si è - infatti io dico sempre - sono Giovanni Gerbi un comunista rivoluzionario, mi qualifico per quello che sono per non essere mai frainteso”.
Dopo la presentazione del compagno Gabriele Urban, quale Responsabile piemontese del Partito marxista-leninista italiano, e dei compagni simpatizzanti biellesi del PMLI Pier e Fabrizio, Giovanni Gerbi racconta: “Sono diventato antifascista nel 1944 perché amavo il popolo ed essendo figlio di operai ho capito che era una vergogna essere balilla. Da quel momento ho rinnegato totalmente l'ideologia fascista, tutto quello con cui mi avevano indottrinato a scuola, e tutto quello che circondava l’ideologia fascista e il duce, l’ho gettato nella spazzatura. Da quel rifiuto in poi sono seguite le torture, il carcere e le umiliazioni; poi nel 1945 la Liberazione che, se per tutta l'Italia è stato un momento di festa, per me è stato un traguardo triste in quanto mi hanno tolto le armi, mi hanno portato via il mio Sten (fucile mitragliatore, ndr) e ci hanno fatto accettare il compromesso con la borghesia di cui la tanto blasonata Costituzione del 1948 ne è l’emblema. La mia fortuna è stata quella di imbattermi nella 9a divisione Garibaldi 'Stella rossa' e conoscere un grande comunista, il comandante Giovanni Rocca, che seguiva tutti i distaccamenti partigiani della mia zona e faceva proselitismo per il PCI; parlava sempre della rivoluzione, quella con la erre maiuscola, che avrebbe inevitabilmente partorito un nuovo mondo socialista dove non ci sarebbero mai più stati sfruttamento dell'uomo sull'uomo, ingiustizie ed iniquità. Io sono rimasto immediatamente affascinato da quel programma politico anche perché, invece, guardandomi intorno, vedevo ovunque solo ingiustizie e sfruttamento. Infatti la famelica borghesia proprio sulla mia pelle, e su quella di chiunque mi circondava, faceva tantissimi soldi accumulando enormi ricchezze generate dal nostro sfruttamento nelle fabbriche di sua proprietà. Come dicevo la prima delusione è stata quando mi hanno ordinato di consegnare il mio Sten che durante la guerra mi aveva salvato la vita più di una volta. Ero talmente affezionato a quell'arma che, la notte seguente alla confisca dell’arma, sapendo dove fisicamente l’avevano collocata, sono andato a riprendermela per poi nasconderla in un posto sicuro.
Dopo la Liberazione dal nazi-fascismo permanevano estese sacche di disoccupazione, ingiustizie e povertà per il popolo; in questo contesto avverto forte in me il secondo passaggio del mio risveglio politico che avviene proprio quando vengo assunto come operaio alla Way-Assauto, indotto FIAT, provando lo sfruttamento. Compresi per esperienza diretta che in fabbrica c'erano le stesse dinamiche di sfruttamento e violenza della dittatura fascista, uguali!
Arriviamo al 20 agosto 1946 quando inizia la rivolta di Santa Libera. Anche in fabbrica arriva la voce che i partigiani delle Langhe hanno ripreso in mano i fucili e sono saliti a Santa Libera. Io, naturalmente li seguii.
Santa Libera si rivelò un tentativo per portare avanti l'obiettivo della rivoluzione che in me non s'era mai sopito, io ho sempre e solo agito per la rivoluzione, per fare in Italia quello che fecero in Russia Lenin e Stalin, dare il potere al popolo. Però con l'esperienza di Santa Libera capii una grande verità, capii che il PCI non era comunista. Parzialmente me ne accorsi già in fabbrica quando la direzione (tutta composta da ex fascisti) aveva stabilito un rapporto 'particolare' coi comunisti della commissione interna. Capii che tale rapporto particolare si traduceva in volgari tangenti che servivano per la costruzione di un soggiorno in montagna, a Brusson, in Valle d’Aosta, praticamente interamente finanziato dai padroni.
Il fatto è ancora più grave perché bisogna comprendere un dato fondamentale ossia che se il padrone ti dà il padrone poi vuole. Infatti quando in fabbrica c'erano le lotte più dure, per migliorare le condizioni di lavoro degli operai, la dirigenza padronale convocava sempre e solo una determinata responsabile del sindacato, solo e sempre lei. Quando si metteva in mezzo tale dirigente sindacale lo faceva per gettare acqua sul fuoco della lotta e successivamente le cose non prendevano mai la piega giusta per le operaie e per gli operai ma sempre e solo per i padroni. Ho denunciato subito questi intrallazzi al direttivo provinciale della CGIL da cui ho ricevuto un sonoro 'Non può essere vero'. Anche i dirigenti locali del PCI hanno cercato di portarmi a miti consigli e allora io ho denunciato anche i dirigenti del PCI. Pensate che nessun dirigente della CGIL e del PCI ha preso le mie parti. Solo i miei compagni di lavoro, e soprattutto quelli del mio reparto che erano tutti bolscevichi, mi hanno difeso fino all'ultimo. Io ho proseguito sulla mia strada rassegnando le dimissioni da dirigente sindacale e dirigente del PCI. Sono ritornato a casa mia, senza incarichi di sorta, ma con la coscienza pulita per essere rimasto fedele ai miei ideali rivoluzionari e comunisti.
Tornando a Santa Libera le cose andarono come in fabbrica ossia la base dei partigiani, sinceramente comunisti, erano disposti a fare la rivoluzione riuscendo anche ad attirare la curiosità di altri partigiani sparsi per tutto il Piemonte e persino in Valle d’Aosta mentre il dirigente Armando Valpreda e Giovanni Rocca, che mi aveva insegnato l’onestà e ad essere sempre integro e fedele ai propri ideali, sottoscrissero la resa con la borghesia che furbescamente aveva fatto interloquire noi di Santa Libera coi famosi e stimati capi partigiani nazionali come Cino Moscatelli che ci disse 'Ragazzi, noi la pensiamo come voi ma ora non è il momento'. Pensate che astuta è stata la borghesia, mandò Cino Moscatelli a trattare! Comunque finì tutto quando accettammo la loro parola d’ordine 'Ragazzi tornate a casa' seguita dall’ottenimento di alcune concessioni formali”.
DOMANDA: Su questo argomento di coerenza ed integrità morale e politica vogliamo conoscere la tua opinione sul XX Congresso del PCUS, sul famigerato rapporto di Krusciov e sulla titanica lotta contro il revisionismo moderno condotta dal Presidente Mao.
RISPOSTA:
La mia idea fissa era la rivoluzione proletaria ed io non ero disposto a scendere a compromessi su tale obiettivo. L'avvento di Krusciov lo vidi come un tentativo di rinnovamento ma, successivamente, compresi che fu un rinnovamento per la borghesia, per la restaurazione del potere borghese. Purtroppo lo compresi dopo perché all'inizio Krusciov parlava da comunista, asseriva di essere un sincero leninista e che avrebbe ulteriormente sviluppato il socialismo; in molti allora ci facemmo abbagliare dalla sua fumosa retorica. Mao è riuscito a non farsi abbindolare e proseguire sulla via del socialismo e della rivoluzione. Cercate di capire le masse popolari, si fidavano ciecamente dei dirigenti del PCI, per noi semplici comunisti piemontesi i dirigenti nazionali del PCI erano dei miti, dei simboli, delle donne e degli uomini che si erano fatti il carcere fascista e condotto la vittoriosa guerra di Liberazione, pendevamo dalle loro labbra, chi si sarebbe immaginato che in seguito avrebbero gettato gli ideali del comunismo per tornare tra le braccia del capitalismo? Le masse avevano fiducia nel socialismo, in Stalin. Pensate che il primo libro di politica che ho letto è stato il “Breve corso di storia del Partito comunista (bolscevico) dell’URSS” di Stalin che mi ha aperto un mondo, mi ha cambiato la vita, per sempre, accendendo in me il fuoco della rivoluzione proletaria (qui Giovanni si commuove, ndr).
D: Senti Giovanni la scorsa presentazione hai definito i miliziani dello Stato Islamico dei partigiani, puoi nuovamente definire la tua opinione sui movimenti islamici che attualmente combattono l'imperialismo?
R:
Il mio unico discrimine è tra tutti quelli che lottano contro l'imperialismo e le forze imperialiste. Chiunque combatta contro il potere delle rispettive borghesie nazionali è mio amico. Questo è il punto fondamentale. Io attraverso la stampa e la televisione borghese non posso sapere chi sono, come vivono e cosa dicono veramente i miliziani dello Stato Islamico. Però so che vengono costantemente bombardati dagli americani, dagli europei e dai russi che sono tutte potenze imperialiste che conquistano territori ed interi stati nazionali cui sottrarranno successivamente le ricchezze naturali. Per questo i partigiani dell’IS hanno tutta la mia simpatia ed io solidarizzo con loro. A me basta sapere che se, in qualunque parte del mondo si trovi, qualcuno è disposto a dare la propria vita nella guerra contro l'imperialismo, bene, questo è mio amico. È una discriminante netta contro l'imperialismo. Solo questo conta. Per esempio quando ho chiesto ai miei collaboratori chi eravate di preciso e mi hanno detto che eravate del PMLI ho subito risposto che siete miei amici e ho desiderato essere intervistato da voi perché ho la certezza che siete comunisti e anti-imperialisti!
D: Quali sono le tue coordinate per far tornare di moda il rosso e la lotta per il socialismo in una società capitalistica come la nostra dove la frantumazione della classe operaia, realizzata ad arte dalla borghesia, l'ha riportata a livelli premarxisti?
R:
Solo una cosa conta, la coerenza e l’esempio. Io in fabbrica dicevo sempre ai miei colleghi: compagni la fabbrica la stiamo facendo noi e prima di noi i nostri padri e prima ancora i nostri nonni; la fabbrica la portiamo avanti noi dunque la fabbrica dobbiamo gestirla noi. Questo è sempre e solo l'unico ragionamento da fare. Questo sul luogo di lavoro. Per ciò che riguarda l'esterno della fabbrica, nella società, dobbiamo affermare sempre e con decisione alle masse lo slogan “Compagni, noi vogliamo la rivoluzione!”. Senza rivoluzione la fabbrica e, soprattutto, il potere se lo tengono i padroni, la borghesia. Alle masse popolari bisogna parlare forte e chiaro, senza aver paura di usare mezzi termini, sempre dire chi sei e cosa vuoi! Così la gente vedrà e capirà. Io in fabbrica avevo la paga più bassa di tutti, venivo costantemente vessato dai capetti, hanno cercato di licenziarmi tre volte, gli operai non l'hanno mai permesso ed io sono rimasto in fabbrica 40 anni! Se tu sei coerente e dai l'esempio questo vale più di mille parole e le masse popolari ti seguiranno.
D: Ti ringraziamo Giovanni omaggiandoti del fazzoletto rosso del nostro Partito, della spilla dei Maestri, di una copia a colori del nostro settimanale “Il Bolscevico” e di alcune nostre pubblicazioni nella speranza di stabilire un rapporto costante e duraturo anche attraverso le pagine de “Il Bolscevico”.
R:
Io vi ringrazio per questa interessante intervista e sono sicuro che rimarremo in contatto.
23 marzo 2016