La vertenza contro il gruppo Caltagirone (“il Messaggero”) ha scatenato la protesta
Scioperano i poligrafici contro l'attacco al contratto nazionale
In edicola solo i giornali berlusconiani e poco altro
Erano veramente pochi i giornali in edicola venerdì 24 marzo. Lo sciopero nazionale dei lavoratori poligrafici ha bloccato l'uscita di quasi tutti i quotidiani. Una giornata importante che ha segnato un salto di qualità della lotta dei lavoratori per il rinnovo contrattuale del loro settore e contro i tentativi di destrutturare il contratto collettivo nazionale di lavoro (Ccnl). In una fase di grave crisi per i giornali e la carta stampata in generale, ancora una volta si cerca di scaricarne i costi e le conseguenze sui lavoratori. Da settimane si stanno svolgendo gli incontri per il rinnovo tra i sindacati e le associazioni padronali degli editori. Su questa trattativa però si è abbattuta la vertenza del gruppo Caltagirone che ha alzato il livello della mobilitazione e la risposta dei poligrafici, cioè di chi non è un giornalista ma contribuisce materialmente a trasferire sulla carta stampata gli articoli.
Il gruppo Caltagirone fa capo all'omonimo imprenditore siciliano Gaetano, il ricchissimo costruttore (più volte indagato) che possiede un grande impero nel settore edile e delle grandi opere e, appunto dell'editoria, dove detiene tra gli altri le testate Il Messaggero, il Mattino, il Gazzettino, Corriere Adriatico
più altri giornali e riviste minori. La vertenza inizia il 22 febbraio scorso, quando la dirigenza del Gruppo apre tre procedure di cessione di ramo d’azienda per le società dei quotidiani (smembrando dunque il gruppo in tre distinte srl: Servizi Italia 15, Stampa Napoli 2015 e Stampa Roma), proponendo ai 77 lavoratori coinvolti in una delle cessioni il passaggio al Ccnl Terziario, distribuzione e servizi, che applica condizioni nettamente peggiori rispetto all'attuale contratto dei poligrafici.
Il gruppo, spiega il Slc-Cgil, ha “la chiara intenzione politica di destrutturare il Ccnl, creando di fatto i presupposti di un dumping contrattuale, e di minare il faticoso lavoro degli ultimi due anni che le parti istitutive hanno fatto per riportare in equilibrio il Fondo di previdenza complementare contrattuale”. Il Slc sottolinea anche “il silenzio assordante della Federazione italiana editori giornali, che su questa vicenda prima o poi dovrà fare una scelta”. Un primo sciopero si è tenuto lunedì 21 marzo, e ha visto l’adesione pressoché totale dei lavoratori amministrativi e poligrafici dei quotidiani del gruppo e la mancata uscita degli stessi nelle edicole.
Gli editori della Fieg, alla vigilia del nuovo sciopero del 24 marzo, stavolta nazionale, hanno reagito con arroganza minacciando d'interrompere le trattative per il rinnovo contrattuale. Hanno scritto una lettera indirizzata alle organizzazioni sindacali di categoria di Cgil, Cisl e Uil dove si dice che “La politica della Fieg, in un momento di crisi del settore senza precedenti, è stata quella di accelerare il confronto sul rinnovo del contratto... in tale contesto la giornata di sciopero proclamata a fronte di una singola vertenza e che produrrebbe danni rilevanti a tutte le aziende editoriali, appare incompatibile con la linea politica sopra rappresentata. Riteniamo, pertanto, che la revoca dello sciopero proclamato sia condizione imprescindibile per la prosecuzione del percorso sin qui seguito”.
Non si è fatta attendere la risposta dei sindacati. ”Lo sciopero che abbiamo proclamato per il 24 non è per il mancato accordo sulla vertenza del Gruppo Caltagirone, ma sulla evoluzione che essa comporta rispetto alla tutela del Contratto collettivo di lavoro”. Lo precisano le segreterie nazionali Slc-Cgil, Fistel-Cisl, Uilcom-Uil, che, come i lavoratori poligrafici, hanno giustamente ravvisato un segnale per tutto il comparto decidendo di chiamare lo sciopero per tutti. Uno sciopero pienamente riuscito: solo i quotidiani di Berlusconi il Giornale, Libero
e il Foglio
sono usciti, tra l'altro in forma ridotta, alcuni giornali sportivi minori (ma non la Gazzetta dello sport
). In diversi quotidiani, oltre alla solidarietà espressa dai giornalisti, alcuni di loro si sono astenuti dal lavoro in segno di solidarietà con i poligrafici.
Aver condiviso ed esteso la lotta a livello nazionale è stato sicuramente un successo, nonostante molti lavoratori si trovino sotto la scure di possibili licenziamenti e in molti quotidiani, come la Repubblica
e l'Unità
, siano stati minacciati i giornalisti cercando di costringerli a svolgere lavori di competenza dei poligrafici nel tentativo di far uscire le edizioni cartacee, mentre quelle on-line, seppur parzialmente, sono state comunque aggiornate. Evidentemente si è consapevoli, come ha detto Riccardo Ferraro della Slc-Cgil Lazio “che tutti gli altri editori stanno alla finestra, e aspettano che questa operazione vada in porto, (quella dei Caltagirone, ndr) magari per poterla riprodurre”.
Del resto non è un mistero il tentativo generalizzato di rendere coloro che lavorano nell'editoria, dai giornalisti ai poligrafici, dei lavoratori precari e con bassi salari. Da una parte direttori super pagati anche se i loro quotidiani sono sempre meno letti, dall'altra tecnici addetti alla stampa, impiegati amministrativi, ma anche inviati sempre più freelance
e a tempo determinato. In Italia la diffusione dei quotidiani è sempre stata tra le più basse d'Europa. I giornali più venduti, sia nelle copie cartacee che digitali sono il Corriere della sera, il Sole 24 ore
e la Repubblica
intorno alle 3/400 mila copie giornaliere. In 10 anni le vendite si sono dimezzate. Molte copie restano invendute: il manifesto
ha il record, tre copie su quattro finiscono al macero.
La crisi del settore è sempre più forte e l'avvento di Internet e del digitale sta aggravando ulteriormente la situazione. Ma Internet non è la spiegazione di tutto. Ricerche approfondite rilevano come il calo delle vendite non sia compensato dalla lettura delle notizie sulla rete. L'informazione sempre più piatta e uniforme (compresa quella sul web), senza voci critiche, il linguaggio di addetti ai lavori da una parte, o quello di titoli sensazionalistici dall'altra, unito alla crisi economica che fa risparmiare anche sull'acquisto dei giornali, concorrono al calo delle vendite dei quotidiani. La risposta dei gruppi editoriali è, appunto, l'attacco alle condizioni di lavoro dei loro dipendenti e la concentrazione in poche mani di tutto il settore per limitare i danni e mantenere le quote di mercato, creando immancabilmente il monopolio dell'informazione e l'omologazione delle opinioni.
In questi mesi stiamo assistendo a grandi manovre nel settore. Prima l'acquisizione della Rizzoli da parte di Mondadori (controllata da Berlusconi) che ha creato un colosso con il controllo del 35% del mercato dei libri e delle riviste, adesso la fusione tra 2 dei maggiori quotidiani italiani, la Repubblica
e la Stampa
. Quest'ultima operazione darà vita a un polo che controllerà il 20-23% circa del mercato italiano della carta stampata, con una posizione di leadership sul mercato digitale, infrangendo tra l'altro la legge 67/1987 che stabiliva nel 20% il limite massimo del controllo dei quotidiani in Italia per un unico gruppo. Chissà perché non si è levata una sola voce da chi deve vigilare sulle leggi antitrust.
In questo modo un'altra importante fetta dell'informazione sarà al servizio del nuovo duce e del capitalismo in salsa renziana. Oramai in quasi tutti i mass-media regna l'omologazione più completa, al servizio dei governanti in modo così sfacciato da far invidia alle “veline” di mussoliniana memoria. Renzi aspira a far diventare il PD il “partito della nazione”, una specie di partito modello il PNF mussoliniano, a cui affiancare un “quotidiano della nazione”, magari sparso su più testate, che passi direttamente le notizie gradite al governo.
30 marzo 2016