Lavorava grazie ai boss nel feudo del latitante Messina Denaro
Arrestato l'imprenditore antiracket del calcestruzzo
Il business dei cantieri e del cemento depotenziato frutta alle mafie un miliardo l'anno
Dal nostro corrispondente della Sicilia
Vincenzo Artale, membro del collegio dei probiviri di un'associazione antiracket, simbolo “antimafia” del trapanese, ma allo stesso tempo boss della locale cupola mafiosa, è stato arrestato nell'ambito dell'indagine "Cemento del Golfo". L'inchiesta è stata coordinata dalla Dda (Dipartimento distrettuale antimafia) di Palermo, guidata dal procuratore Francesco Lo Voi. Avviata nel 2013, dopo una serie di attentati a imprenditori edili e del movimento terra, ha portato alla luce come le forniture di cemento in provincia di Trapani siano state monopolizzate da Cosa nostra, attraverso l’azienda dell'insospettabile imprenditore.
Nel 2006 Artale aveva denunciato alcuni esattori del pizzo e immediatamente era stato proclamato “imprenditore coraggio” e osannato come simbolo dell'antimafia. Era riuscito persino ad incassare 250mila euro di indennizzo dal Fondo di solidarietà, previsto per le vittime di estorsione ed usura. Ma l'imprenditore, mentre giudicava severamente il comportamento dei membri dell'associazione antiraket, usandola poi come copertura, faceva affari con i boss e scalava progressivamente i gradini dell'associazione criminale, fino ad entrare nella cupola mafiosa di Castellamare, enclave storica delle cosche trapanesi, dirette dal latitante Matteo Messina Denaro.
Protetto dalla mafia, Artale diventa velocemente il boss del cemento nella provincia di Trapani. Le ditte appaltatrici di lavori pubblici o privati erano costrette con minacce e intimidazioni a rifornirsi di cemento dall'imprenditore.
Artale è finito in carcere insieme a Mariano Saracino, 69 anni, boss di Castellamare del Golfo, Vito Turriciano, 70 anni, Vito e Martino Badalucco, padre e figlio, con l'accusa di associazione mafiosa, estorsione aggravata, danneggiamento aggravato, fittizia intestazione aggravata, frode nelle pubbliche forniture e furto.
Il suo cemento, imposto con le minacce del boss, Mariano Saracino, già condannato per essere stato il "cassiere" della cosca di Castellammare e prima il "ministro delle Finanze" della cupola provinciale guidata da Messina Denaro, sarebbe stato utilizzato pure per le opere pubbliche, come il viadotto Cavaseno di Alcamo, in provincia di Trapani, lungo la Palermo-Mazara del Vallo e il cimitero di Castellammare.
Ma le indagini hanno messo in evidenza preoccupanti elementi, come dice anche il procuratore capo Francesco Lo Voi: "Alcuni lavori potrebbero essere stati eseguiti con calcestruzzo depotenziato. Si tratta di opere pubbliche e private. Alcuni appalti già ultimati, altri da completare". Il giro di affari sul calcestruzzo depotenziato non è ancora definito, ma si potrebbe aggirare intorno al miliardo di euro.
"E' una storia emblematica, questa - dice il procuratore aggiunto Teresa Principato, impegnata nelle indagini per la ricerca del superlatitante della provincia di Trapani, Matteo Messina Denaro - ancora una volta le intercettazioni hanno svelato che l'antimafia di maniera può diventare uno schermo perfetto per mascherare scalate imprenditoriali all'ombra della mafia".
E' l'ennesimo simbolo dell'antimafia che finisce nel ciclone di un'inchiesta giudiziaria, dopo i più noti Montante, Helg, Costanzo. Ormai è chiaro che la strategia della mafia è di infiltrare l'antimafia per coprirsi con essa e lavorare indisturbata. Il che dimostra l'estrema vitalità dell'organizzazione mafiosa, in grado di rigenerare un nuovo sistema clientelare, di estendere quella “zona grigia” in cui si muovono insieme e a loro agio mafiosi, politicanti borghesi e antimafiosi da chiacchiera, giudici, poliziotti, finanzieri, padroni d'industria, colletti bianchi, affaristi.
Tra le pieghe di questa storia, emerge certamente come la testa della mafia si trovi proprio nell'alta finanza, nei circoli dell'industria, dell'agricoltura, del terziario e nelle istituzioni, che oggi indossano la maschera dell'antimafia, ma agiscono esattamente come i filomafiosi aperti e dichiarati.
Evidentemente il regime renziano con la sua ostentata antimafia di facciata a tutti i livelli delle istituzioni borghesi ha dato l'esempio più chiaro di come svuotare di contenuti concreti la lotta alla mafia per farla diventare solo un nome a cui attaccare un'etichetta: vedasi Mattarella, ad esempio, un cognome che copre la devastazione filomafiosa del governo Renzi, e Crocetta che ha dato in pasto la Sicilia a Confindustria infiltrata dalla mafia.
6 aprile 2016