Regeni, delitto di Stato. Rompere con l'Egitto
Traccheggiare disonora l'Italia e fa il gioco del golpista fascista Al-Sisi

L'8 aprile, preso atto del fallimento dell'incontro che avrebbe dovuto essere “decisivo” per fare finalmente luce sulla morte di Giulio Regeni, con la delegazione della magistratura e del governo egiziani che si è presentata invece a mani vuote davanti al procuratore di Roma Pignatone e ai funzionari del Ros e dello Sco che l'avevano ricevuta a Roma, al governo italiano non è rimasta altra scelta che richiamare per consultazioni in segno di protesta l'ambasciatore italiano al Cairo.
Una misura dovuta che arriva comunque a più di due mesi di distanza dalla morte del giovane ricercatore friulano dell'università di Cambridge, rapito al Cairo il 25 gennaio dalla polizia segreta del dittatore Al-Sisi e barbaramente torturato per giorni nelle prigioni del regime fino a provocarne la morte, e il cui cadavere è stato fatto ritrovare il 3 febbraio sull'autostrada per Alessandria nel tentativo grottesco di simulare una morte per incidente stradale. In tutto questo tempo non si contano le versioni di comodo, le manovre di depistaggio e i tentativi di denigrazione della vittima messi in atto delle autorità egiziane: dal suddetto incidente stradale, subito apparso falso dati gli evidenti segni di tortura sul corpo, al tentativo di accreditare una presunta appartenenza di Regeni a non meglio precisati servizi segreti “stranieri”; dal tentativo di attribuire il delitto ai Fratelli musulmani, che lo avrebbero ideato per mettere in difficoltà Al-Sisi con i governi amici come quello italiano, al tentativo di far passare l'assassinio di Regeni per un delitto a sfondo omosessuale, oppure ventilando la sua uccisione per mano di una banda di spacciatori in quanto dedito all'uso di droghe, e così via.
Tutte invenzioni malamente improvvisate e palesemente false, cadute nel ridicolo internazionale una dopo l'altra, finché il regime fascista del Cairo ha tentato di chiudere la partita il 24 marzo con l'ultima e più sgangherata versione, quella dell'uccisione di Regeni da parte di una banda di cinque delinquenti comuni, “rapitori di professione”, guarda caso tutti uccisi in uno “scontro a fuoco” con la polizia (con tutta probabilità poveri capri espiatori eliminati a freddo), facendo ritrovare i suoi documenti e alcuni effetti personali nell'abitazione di uno di questi. La più falsa di tutte, perché non spiega quale interesse avrebbero avuto i “banditi” a torturarlo per giorni e a conservare i suoi documenti. E soprattutto perché in tutto questo tempo era apparsa più che evidente la reticenza, la mancanza di collaborazione e finanche l'arroganza e il disprezzo delle autorità egiziane nei confronti dei magistrati e degli investigatori italiani arrivati al Cairo, per giunta spiati giorno e notte dalla polizia del regime e costretti a tornare in anticipo a Roma a mani vuote.

Regeni come centinaia di altre vittime dei golpisti
Tutto questo per cercare di nascondere quello che appariva chiaro a tutti fino dal giorno della sparizione di Regeni, anniversario della rivolta di Piazza Tahrir di cinque anni fa che portò alla caduta del dittatore Mubarak, in una città messa sotto coprifuoco dai militari golpisti, terrorizzati dalla possibilità dello scoppio di manifestazioni di protesta, e in cui scorrazzavano le quadre della polizia segreta a caccia di oppositori da imprigionare e torturare.
Regeni, che già da tempo come si è poi saputo, era nel loro mirino per le sue ricerche sociologiche sui movimenti dei lavoratori egiziani, tanto che aveva confidato ad amici di sentirsi spiato e anche fotografato da sconosciuti ad un'assemblea, fu rapito in strada da una di queste squadre proprio quella sera e torturato fino alla morte dai servizi segreti di Al-Sisi per estorcergli nomi, luoghi di riunione e programmi degli oppositori. Torture talmente orribili e devastanti da far dire a sua madre di aver riconosciuto il figlio solo dalla punta del naso. Esattamente come è successo ad altre centinaia di giovani che sono stati e continuano ad essere rapiti, torturati e fatti sparire dal regime del Pinochet egiziano, da quando ha preso il potere con un golpe militare il 3 luglio 2013.
Se anche il cadavere di Regeni non è stato fatto sparire come gli altri è probabilmente perché c'è stato qualche imprevisto che lo ha impedito, o perché i golpisti hanno creduto di chiudere più facilmente la vicenda inscenando l'incidente stradale, piuttosto che tenere aperte sine die le indagini internazionali per la ricerca e il ritrovamento del giovane ricercatore italiano. Secondo le rivelazioni di una “fonte anonima appartenente alla polizia segreta egiziana” pubblicate da La Repubblica , acquisite agli atti dagli inquirenti romani pur senza dargli particolare credito (anche se riferiscono particolari delle torture che risultano corrispondenti all'autopsia), la decisione di far sparire il cadavere di Regeni seppellendolo in una buca nel deserto fu presa in un vertice tra lo stesso Al-Sisi, i più alti dirigenti dei servizi segreti e dell'Interno e la sua consigliera per la sicurezza nazionale. Decisione che successivamente fu cambiata inscenando l'incidente stradale quando un giornale pubblicò la notizia del “fermo di un occidentale”, che risultò poi essere invece un cittadino americano.
Che si tratti effettivamente di una fonte egiziana e veritiera, magari vicina ad ambienti militari interessati ad un cambio della guardia al Cairo, con un contro-golpe “morbido” incoraggiato, come circola da qualche tempo, anche dall'amministrazione Usa che starebbe prendendo le distanze dal regime di Al-Sisi, nessuno può dirlo, ma certo dipinge uno scenario del tutto verosimile della morte di Regeni, sicuramente molto più verosimile delle tante versioni fasulle e contraddittorie fornite dal regime.

Renzi primo sponsor del dittatore egiziano
Ma è altrettanto certo che se costoro si sono potuti permettere di farsi impunemente beffe finora della ricerca della verità, della famiglia Regeni e dell'intero nostro Paese è anche perché il governo Renzi e i mass media di regime glielo hanno tacitamente e vergognosamente lasciato fare: e questo in nome dell'”amicizia” tra i due governi e personale tra Renzi e Al-Sisi, degli affari miliardari che intercorrono tra i due paesi (l'Italia, con 5 miliardi l'anno di interscambio e investimenti per 10 miliardi è il secondo partner commerciale dell'Egitto dopo la Germania) e della stretta alleanza militare nel quadro della guerra al comune nemico, lo Stato islamico.
Renzi è stato il primo e il più entusiasta tra i capi occidentali a riconoscere e stringere legami politici ed economici col golpista fascista Al-Sisi, che ha incontrato già tre volte. Nell'incontro di un anno fa a Sharm el Sheikh, in nome della comune guerra all'IS in Libia, arrivò sfacciatamente a lodarlo e accreditarlo come un campione della democrazia, con queste disgustose parole: “L'Egitto affronta le crescenti minacce del terrorismo, rimanendo attaccato al rispetto della libertà. La stabilità dell'Egitto è la nostra stabilità, non soltanto per questa area del mondo. Apprezziamo la leadership e la saggezza di Al-Sisi, soprattutto per quanto riguarda la Libia. Rinnovo l'impegno dell'Italia a lavorare con lei per portare avanti una soluzione alla crisi siriana e alla crisi libica”.
Da quando il corpo di Regeni è stato “ritrovato”, sia il nuovo duce che il suo ascaro Gentiloni non hanno fatto altro che ripetere come un mantra che “non ci accontenteremo di meno che della verità”, guardandosi bene però da mettere sotto accusa il governo egiziano e minacciare una qualunque azione concreta per indurlo ad ammettere le sue palesi responsabilità. E i mass media del regime neofascista vassalli di Renzi gli hanno retto il sacco con la loro indifferenza, arrivando fino al punto, come ha fatto il renziano neo direttore de La Repubblica , Mario Calabresi, di offrire una compiacente tribuna al boia egiziano per spargere le sue lacrime di coccodrillo e le sue ipocrite promesse ai genitori di Regeni, assicurandoli che avrebbe fatto di tutto per scoprire e punire i colpevoli. E come avrebbe potuto, dal momento che era proprio lui il capo della banda di torturatori e assassini?

“Torturato e ucciso come un egiziano”
Evidentemente Renzi e Al-Sisi, con le loro reciproche e concertate meline, contavano di lasciar passare il tempo e mandare tutto al dimenticatoio, o almeno guadagnare tempo fino a trovare una ennesima versione di comodo che potesse finalmente passare per buona nell'opinione pubblica. E forse ci sarebbero anche riusciti, se non ci fosse stato il forte e nobile intervento dei genitori di Regeni, in particolare della madre, a ridestare lo sdegno dell'opinione pubblica e metterli con le spalle al muro.
In quel drammatico intervento pubblico presso il Senato che ha scosso il Paese, respingendo con sdegno la tesi egiziana del “caso isolato”, ma facendo invece un paragone col nazifascismo e accusando gli assassini di Giulio di averlo “torturato e ucciso come fosse un egiziano”, Paola Deffendi accusava di fatto lo stesso regime militare di aver commesso su Giulio un delitto di Stato come nei confronti di altri centinaia di martiri di quel paese. E concludeva dicendo di aspettarsi finalmente un “intervento forte” del governo italiano, nel caso l'incontro fissato ad aprile con la delegazione egiziana non avesse dato ancora una volta frutti, minacciando in caso contrario di rendere pubbliche le foto del corpo straziato del figlio: come hanno fatto prima di lei la madre di Aldrovandi e la sorella di Cucchi, facendo sì che si accendessero i riflettori su questi due casi troppo frettolosamente archiviati dallo Stato complice dei loro assassini.
Il fiero intervento della madre di Giulio non solo risvegliava l'attenzione dell'opinione pubblica italiana e internazionale, ma incoraggiava anche la madre del giovane martire egiziano Khaled Said, ucciso dalla polizia, a inviarle un video di solidarietà a nome di tulle le madri dei giovani torturati e fatti sparire dal regime. Da allora Giulio Regeni è diventato sui social-media egiziani un'icona della resistenza popolare al regime, mostrando a tutto il mondo il vero volto sanguinario della dittatura militare, finora volutamente ignorato dall'Occidente “democratico”, e che l'opposizione al boia Al-Sisi è ancora viva in quel paese.
É così che tra i due governi, alla vigilia dell'incontro “decisivo” di Roma, ha cominciato a farsi strada l'ultima versione di comodo per chiudere lo scottante caso, quella di una iniziativa di una fazione dei servizi segreti che avrebbe commesso il delitto all'”insaputa” di Al-Sisi, o per uno “sbaglio” o magari per screditarlo e sabotare i buoni rapporti con l'Italia: la morte di Regeni - “un caso isolato”, lo definiva infatti la stampa egiziana - sarebbe quindi avvenuta “per errore” durante un interrogatorio troppo “rude”. Versione accreditata guarda caso anche da L'Unità di Renzi, ma che richiedeva necessariamente l'individuazione di qualche capro espiatorio, almeno ai piani bassi dei servizi segreti militari egiziani, disposto a sacrificarsi.

Una misura dovuta ma non sufficiente
Ma evidentemente nessuno dev'essere disposto a farlo, visto che la delegazione egiziana, che aveva annunciato la consegna di un dossier di 2 mila pagine, si è presentata con un brogliaccio di appena una trentina, di nessun nuovo valore indiziario e soprattutto senza i tabulati telefonici e le registrazioni video richieste. Anzi, si rifiutava sfrontatamente di consegnarli anche per il futuro perché ciò avrebbe violato la “privacy” dei cittadini egiziani! Tanto da costringere il governo, sentito il procuratore Pignatone che al termine dell'incontro si era dichiarato assolutamente insoddisfatto, a richiamare per consultazioni come si è detto l'ambasciatore al Cairo, Massari.
Ma questa misura, minima e per di più presa in ritardo, non può assolutamente bastare, e non si deve abbassare l'attenzione e la mobilitazione popolare affinché sia fatta piena luce su questo delitto di Stato, reso giustizia alla famiglia Regeni e tutelato l'onore dell'Italia. Troppo stretti sono infatti i legami personali e troppo alti gli interessi in gioco tra il nuovo duce italiano e il boia egiziano perché non ci sia il rischio che il governo si fermi a questa misura formale, o poco altro, e ricominci a traccheggiare facendo il gioco del golpista fascista Al-Sisi.
Occorre invece interrompere subito tutte le relazioni diplomatiche e tutti gli accordi economici, politici e militari con il governo egiziano, promuovere azioni in tutte le sedi internazionali per accusarlo di violazione dei diritti umani e applicargli le relative sanzioni e pretendere che altrettanto facciano le autorità della UE. Anche per evitare comode scappatoie al dittatore egiziano, visto che paesi come Francia, Germania e Gran Bretagna, che già gli forniscono armi e ambiscono a incrementare i loro affari con quel governo, ne approfitterebbero per occupare gli spazi lasciati dall'Italia, vanificando così le sanzioni e continuando a sostenere Al-Sisi.
 
 
 

13 aprile 2016