L'accordo sulla riduzione dei comparti tra Aran (governo) e sindacati è negativo per i lavoratori
Rinnovare subito il Contratto del Pubblico impiego

Il 5 aprile è stato firmato l'accordo tra l'Aran e i sindacati confederali per la riduzione dei settori nel pubblico impiego. Questa era un pre-condizione posta dal governo per aprire qualsiasi trattativa per il rinnovo contrattuale fermo oramai da quasi 7 anni. L'Aran è l'agenzia che rappresenta il governo in sede di contrattazione collettiva con la controparte sindacale dei lavoratori della pubblica amministrazione. La definizione dei vari settori era rimasta immutata negli ultimi anni anche perché i contratti pubblici sono stati bloccati dal governo fin dal lontano 2009 con il preciso scopo di fare cassa e risparmiare milioni di euro sulle spalle dei lavoratori pubblici.
I sindacati hanno firmato l'accordo sugli accorpamenti dichiarando che in questo modo il governo non avrebbe avuto più alibi per sottoscrivere il rinnovo contrattuale. Non si è trattato di togliere di mezzo un semplice alibi, bensì di dare il via ad una operazione gravida di conseguenze negative per tutti i lavoratori del pubblico impiego. Il presidente dell’Aran, Sergio Gasparrini, è più che soddisfatto e ne sottolinea i vantaggi per il governo: “saremo chiamati a rinnovare quattro contratti nazionali ogni 3 anni, mentre in passato dovevamo farne 22 in quattro anni, visto che c’erano due tornate biennali, più un’altra decina relativi ad enti che avevano un contratto dedicato”. Una delle principali conseguenze è proprio la durata del contratto che, sempre a causa del già citato blocco, era rimasta ferma a 4 anni più una contrattazione intermedia sul salario ogni due anche se, come abbiamo visto, il governo ne ha prorogato la durata a suo piacimento. Comunque sia adesso la vigenza è stata portata, sia per l'aspetto normativo che per quello salariale, a 3 anni come nel settore privato.
Cgil-Cisl e Uil parlano d'intesa positiva che porterebbe a sviluppi innovativi mentre in realtà è un primo passo verso l'attuazione della controriforma Brunetta (governo Berlusconi) del 2009. La continuità tra vecchi e nuovi governi su questo fronte è del tutto evidente: il tandem Renzi-Madia si muove sulla stessa linea tracciata dal duo Berlusconi-Brunetta. L'accorpamento del settore pubblico era uno dei punti principali della controriforma dell'ex ministro di provenienza craxiana, conosciuta con l'eloquente definizione di privatizzazione della Pubblica amministrazione. Il governo del nuovo duce Renzi ha intenzione di ripartire da lì.
Con il rinnovo dei contratti sarà possibile applicare le famigerate fasce che alimenteranno iniquità e ingiustizie destinando i soldi di tutti a una minoranza. Non a caso la Madia esalta continuamente la meritocrazia e l'efficienza riecheggiando i vecchi slogan di Brunetta contro i “fannulloni”, ma a rimetterci saranno i lavoratori che trovandosi in amministrazioni o aziende pubbliche disastrate, colpite dai tagli o di zone più povere del nostro Paese si troveranno ad avere meno soldi in busta paga senza averne la benché minima colpa. Con gli accorpamenti il governo rivendica la riduzione del numero dei dirigenti ma inevitabilmente colpirà anche il resto del personale della pubblica amministrazione.
Dagli undici comparti ne usciranno quattro: Funzioni Centrali, Funzioni Locali, Sanità, Istruzione e ricerca. Sostanzialmente sono state accorpate le Amministrazioni centrali e fuse quelle relative all'Istruzione, gli altri due settori rimangono immutati. Da questa riorganizzazione rimane però esclusa la Presidenza del Consiglio che farà reparto a sé. In questo modo il Governo avrà maggiori possibilità di manovra nel gestire il personale, la flessibilità, la mobilità e gli spostamenti di sede anche a lunghe distanze che sono tutti cavalli di battaglia della controriforma della pubblica amministrazione che porta la firma dell'attuale ministra Madia.
Anche il modello contrattuale sarà stravolto, con una parte comune a tutto il settore pubblico e una parte cosiddetta speciale di comparto, magari demandando, tra una deroga e l'altra, alla contrattazione di secondo livello. In questo modo si taglieranno numerose voci del salario accessorio andando verso quella semplificazione che in soldoni significa perdita economica per i lavoratori. La stessa rappresentanza sindacale sarà stravolta perché le organizzazioni che adesso superano la soglia del 5%, che nel pubblico consente la rappresentanza e i diritti come permessi e distacchi, diluite in comparti più grandi si ritroveranno al di sotto. Ma a loro il governo concederà il “diritto di tribuna” che non conta niente. “Queste sigle - precisa il presidente dell’Aran - avranno diritto di presenza ai tavoli negoziali, senza avere diritto di parola o godere delle prerogative sindacali”.
Ricordiamo che il governo è stato costretto a muoversi da una sentenza della Corte Costituzionale, che risale a ben 9 mesi fa, la quale ha dichiarato illegittimo il blocco dei contratti pubblici, altrimenti esso sarebbe continuato. Ma adesso Renzi e i suoi ministri stanno cercando di ritorcere il giudizio della Consulta contro i lavoratori. Da una parte aggirando la sentenza con una offensiva elemosina, stanziando per il rinnovo la cifra di 300 milioni di euro per il 2016 che divisa per il numero dei dipendenti pubblici porterebbe a un aumento (se uguale per tutti) di 8 euro mensili. Dall'altra ridando slancio alla privatizzazione della pubblica amministrazione.
In questo contesto vanno visti i continui attacchi ai dipendenti pubblici che sono dipinti come la causa del malfunzionamento della macchina statale distogliendo l'attenzione dalle reali cause che sono anzitutto i continui tagli alle risorse finanziarie da parte di tutti i governi che stanno mettendo in ginocchio interi settori pubblici come la sanità e la scuola. Il governo Renzi non si ferma nemmeno davanti al diritto di sciopero, estendendo la già restrittiva assegnazione di “servizi pubblici essenziali” perfino a chi lavora nei siti turistici.
In questi anni di blocco contrattuale i lavoratori del settore pubblico hanno perso quasi 5mila euro. I sindacati non possono accettare un'elemosina di otto euro come quella proposta dal Governo ma devono pretendere un rifinanziamento per il rinnovo del contratto che possa garantire aumenti adeguati, respingere le privatizzazioni e rivendicare la stabilizzazione dei precari e il bando di nuovi concorsi, specie nei settori dove c'è più urgenza di nuovo personale come nella sanità.
 
 

13 aprile 2016