Scandalo del petrolio in Basilicata
Costretta alle dimissioni la ministra Guidi che aveva concordato con la Boschi l'emendamento Tempa rossa. Indagati il capo di stato maggiore della marina ed esponenti del PD
Coinvolti anche l'ufficio legislativo di Palazzo Chigi, il ministro Delrio e la sindaca di Augusta del M5S
Lo scandalo del petrolio esploso agli inizi di aprile in Basilica con una raffica di arresti e oltre sessanta avvisi di garanzia investe in pieno il governo del nuovo duce Renzi.
Gli atti dei tre filoni d'inchiesta su cui indaga la procura della repubblica di Potenza e in particolare le intercettazioni allegate alle indagini chiamano pesantemente in causa la ministra dello Sviluppo Economico Federica Guidi, costretta a dimettersi, la sua sodale alle Riforme, Maria Elena Boschi, e arrivano a scuotere i piani alti dell'ufficio legislativo di Palazzo Chigi a cominciare dal sottosegretario Luca Lotti, fidatissimo esponente del “giglio magico” e lo stesso Renzi che ha pubblicamente sfidato i magistrati rivendicando a più riprese la paternità dell'emendamento Tempa rossa inserito alla chetichella nella legge di stabilità 2015 su richiesta dei suoi amici petrolieri ai vertici di Eni, Total e Shell, e dei potentati economici e finanziari che lo sostengono e che si spartiscono la grande torta degli appalti pubblici.
Le inchieste chiamano in causa con gravi responsabilità politiche anche Il ministro alle Infrastrutture Graziano Delrio, la sindaca di Augusta (Siracusa) del Movimento 5 Stelle Cettina Di Pietro e buona parte del PD lucano a cominciare dall'attuale governatore Marcello Pittella, già sotto inchiesta da gennaio scorso per corruzione elettorale, per arrivare al sottosegretario alla Sanità Vito De Filippo, indagato dalla magistratura e già condannato a gennaio 2015 dalla Corte dei Conti al risarcimento di oltre 264 mila euro per la rimborsopoli lucana, e al vice ministro Filippo Bubbico indagato per abuso d'ufficio, che tra il 2000 e il 2013 quando erano al posto di Pittella in viale Vincenzo Verrasto hanno firmato gli accordi con Eni e Total e che ora, guarda caso, siedono su due poltrone del governo Renzi.
Del resto la stessa ministra Guidi in una lettera al Corriere della Sera ha ammesso che: "Tutti sapevano" e tutti erano “d'accordo” a cominciare dalla ministra Boschi.
Il primo filone d'inchiesta
Il primo filone d'inchiesta è affidato ai carabinieri del Noe e riguarda la criminale gestione del Centro Oli Eni di Viggiano. Gli arrestati sono sei: Rosaria Vicino, ex sindaco del PD di Corleto Perticara; Vincenzo Lisandrelli (coordinatore ambiente del reparto sicurezza e salute all’Eni di Viggiano), Roberta Angelini (responsabile Sicurezza e salute dell’Eni a Viggiano), Nicola Allegro (responsabile operativo del Centro oli di Viggiano), Luca Bagatti (responsabile della produzione del distretto meridionale di Eni) e Antonio Cirelli (dipendente Eni nel comparto ambiente). Il gip ha deciso il divieto di dimora per Salvatore Lambiase, dirigente della Regione Basilicata, e per Giambattista Genovese, all’epoca dei fatti vicesindaco di Corleto Perticara. Infine, il gip ha deciso la sospensione per sei mesi ciascuno dall’attività imprenditoriale per Vincenzo Clemente e Lorenzo Felice Rocco Marsilio.
Mentre gli indagati sono 37 in tutta Italia: nove dipendenti dell’Eni, una decina di imprenditori, quattro ex dirigenti dell’Arpab, funzionari regionali e della Provincia di Potenza, varie società del settore ambientale e due rappresentanti del Tecnoparco. Tutti accusati a vario titolo di aver smaltito illecitamente i rifiuti derivanti dall'estrazione del petrolio e di aver taciuto lo sforamento dei limiti delle emissioni e il conseguente disastro ambientale provocato in tutta la Val d'Agri.
L’indagine è partita a febbraio dell’anno scorso, con un primo “blitz” dell’Antimafia che indagava per traffico illecito di rifiuti e si è via via allargata alle emissioni fuori legge.
L’inchiesta condotta dai Pm Francesco Basentini e Laura Triassi e dalla Pm della Direzione distrettuale antimafia Elisabetta Pugliese parte dai reflui di produzione. Sotto accusa è il trattamento delle acque che non si riescono a smaltire per reiniezione nel pozzo Costa Molina 2, in località Montemurro e vengono inviate all’impianto di depurazione di Pisticci per poi finire nel Basento e nel Mar Ionio. Il sospetto degli investigatori del Noe è che per anni questa componente sia sta trattata in maniera scorretta, alterando i codici Cer dei rifiuti per far passare le autobotti indenni dai controlli, trascurando così la presenza di elementi tossici non trattati che esponevano al rischio di contaminazione l’ambiente e i lavoratori del Tecnoparco Valbasento, la società mista pubblico-privata incaricata della depurazione delle acque.
L'affare Tempa Rossa
Su questo secondo fronte investigativo sono impegnati gli agenti della squadra mobile della Polizia di Stato che indagano sui loschi retroscena burocratici, amministrativi e legislativi che hanno portato all'autorizzazione del giacimento Tempa Rossa della multinazionale francese Total. Gli indagati sono 23, tra cui spicca il compagno dell'ex ministro Guidi, nonché commissario di Confindustria Siracusa, Gianluca Gemelli, indagato per concorso in corruzione e per millantato credito, che per il momento è riuscito a evitare il carcere perché il Giudice per le indagini preliminari (Gip) Michela Tiziana Petrocelli, ha respinto la richiesta di arresto spiccata dalla procura di Potenza.
Secondo l'accusa, che si è già appellata contro la decisione del Gip, Gemelli: "sfruttando la relazione di convivenza che ha col ministro allo Sviluppo Economico - si legge nella richiesta di arresto - indebitamente si faceva promettere e otteneva da Giuseppe Cobianchi, dirigente della Total" le qualifiche necessarie per entrare nella "bidder list delle società di ingegneria" della multinazionale francese, e "partecipare alle gare di progettazione ed esecuzione dei lavori per l'impianto estrattivo di Tempa Rossa". Inoltre amministratori locali chiedevano e ottenevano dalle società che stavano lavorando al progetto Tempa Rossa assunzioni e altri tipi di utilità.
Il coinvolgimento delle ministre Guidi e Boschi
E tra le prime cose che Gemelli "sfrutta" c'è proprio l'emendamento che assegnava alla Guidi, scrive il Gip, il "potere di concedere le opportune autorizzazioni alle società del settore petrolifero per tutte quelle opere ed infrastrutture che potevano agevolare la fase di stoccaggio e trasporto del materiale", eventualmente anche esautorando e aggirando i vincoli posti da talune amministrazioni locali quali quelli del comune di Taranto e della Regione Puglia che dopo lo scandalo dell'Ilva temevano il coinvolgimento in un nuovo disastro ambientale derivante dallo stoccaggio e dal transito del petrolio lucano attraverso il porto del capoluogo jonico per essere imbarcato nelle petroliere e esportato all'estero.
Il 5 novembre 2014 in una intercettazione la Guidi spiega al compagno: "Poi dovremmo riuscire a mettere dentro al Senato se... è d'accordo anche Maria Elena (ndr, il ministro Boschi) la... quell'emendamento che mi hanno fatto uscire quella notte". L'obiettivo, spiega ancora il ministro a Gemelli è "rimetterlo dentro alla legge... con l'emendamento alla legge di stabilità, e a questo punto se riusciamo a sbloccare anche Tempa Rossa (la concessione su cui aveva interesse Total e quindi le società di Gemelli, ndr) ehm, dall'altra parte si muove tutto".
Il progetto Tempa Rossa, si legge in un documento dell’Arpa Puglia, “consiste nella realizzazione di due nuovi serbatoi di stoccaggio di capacità geometrica complessiva pari a circa 180.000 metri cubi, il prolungamento del pontile esistente, l’integrazione dell’impianto di recupero vapori esistente e la realizzazione di una stazione di pre-raffreddamento del greggio, al fine di raggiungere la capacità di movimentazione greggio pari a 2,7 milioni di tonnellate l’anno”.
E’ il 5 novembre 2014 quando Gianluca Gemelli, conversando con il ministro, “apprendeva da costei – scrive il giudice – che sarebbe stato reinserito nella legge di stabilità un ‘emendamento”. L’emendamento chiedeva di estendere la semplificazione dell’autorizzazione unica anche alle “opere necessarie al trasporto, allo stoccaggio, al trasferimento degli idrocarburi in raffineria, alle opere accessorie, ai terminali costieri e alle infrastrutture portuali”. Era stato inserito nel testo originario del decreto “Sblocca Italia” e bocciato alle ore 5 del giorno venerdì 17 ottobre 2014 durante la discussione in commissione parlamentare”. Il ritocco normativo, poi effettivamente approvato nella legge di stabilità, secondo gli inquirenti sarebbe stato di “estremo interesse per la Total soprattutto in relazione al progetto Tempa Rossa”, che in effetti è citata nella relazione tecnica del provvedimento.
La Guidi riferiva in proposito: “E poi dovremmo riuscire a mettere dentro al Senato se… è d’accordo anche “Mariaelena” (il ministro Maria Elena Boschi, annotano gli investigatori) la… quell’emendamento che mi hanno fatto uscire quella notte, alle quattro di notte …! Rimetterlo dentro alla legge… con l’emendamento alla legge di stabilità e a questo punto se riusciamo a sbloccare anche Tempa Rossa. .. ehm ...dall’altra parte si muove tutto!”.
Alla domanda di Gemelli “se la cosa riguardasse pure i propri amici della Total”, si legge ancora nell’ordinanza, “clienti di Tecnimont (“quindi anche coso … anche … va be’, i miei amici de… i clienti di Broggi”), la Guidi replicava: “eh, certo, capito? … certo … te l’ho detto per quello!”).
Immediatamente dopo il colloquio con la Guidi, Gemelli chiama Cobianchi di Total, al quale “riportava la notizia della volontà del governo di inserire nella Legge di Stabilità – in discussione al Senato – l’emendamento che avrebbe sbloccato Tempa Rossa”. Ecco la conversazione riportata nelle carte: “La chiamo per darle una buona notizia. Si ricorda che tempo fa c’è stato casino, che avevano ritirato un emendamento … ragion per cui c’erano di nuovo problemi su Tempa Rossa. Pare che oggi riescano ad inserirlo nuovamente al Senato… ragion per cui se passa, e pare che ci sia l’accordo con Boschi e compagni…. è tutto sbloccato…”.
Dunque, altro che “emendamento utile all'interesse strategico nazionale”, come sostiene Renzi. Il vero obiettivo del progetto Tempa Rossa era quello di soddisfare i desiderata di Shell e Total presentati direttamente e in prima persona negli uffici di Palazzo Chigi e delle ministre Guidi e Boschi affinché provvedessero a far ottene alle due compagnie petrolifere tutti i permessi e le concessioni necessarie per esportare il petrolio estratto in Lucania stoccandolo e imbarcandolo nel porto di Taranto. E per farlo era necessario costruire tutti gli impianti e le infrastrutture utili al trasporto e stoccaggio del greggio nel capoluogo jonico ivi compreso l'ampliamento del porto di Taranto e il prolungamento della sua banchina per consentire alle petroliere di potersi rifornire di greggio.
Insomma una girandola di appalti e di interessi miliardari a cui i vari “quartierini” che gravitano intorno a Renzi e ai suoi ministri erano molto interessati.
Gemelli, oltre a condividere gli interessi della Total nel progetto Tempa Rossa, con la sua società Industrial Tecnical Service Srl, nata nel 2006, si occupa di formazione specialistica del management nell’ambito delle attività di costruzione, avviamento e manutenzione di impianti chimici, petrolchimici, petroliferi, e di produzione di energia. L’azienda con una sede logistica a Siracusa e Augusta, è presente anche all’estero, come si legge nel sito web della compagnia, a partire dalla greca Atene alla nigeriana Abuja passando per Porte Noire nella Repubblica del Congo.
La ITS vanta anche diverse commesse in supporto agli impianti di estrazione petrolifera off shore in Nigeria, mentre per conto dell’americana Exxom Mobile supervisiona i servizi di costruzioni degli impianti in Belgio.
Il terzo filone d'inchiesta
Il terzo fronte investigativo, che per competenza potrebbe lasciare la procura di Potenza e approdare in Sicilia, riguarda le indagini sulla realizzazione di un pontile nel porto di Augusta. Tra gli indagati figura anche il capo di Stato maggiore della marina, Giuseppe De Giorgi, ideatore dell'operazione Mare Nostrum contro i migranti e stimatissimo dal Quirinale e Palazzo Chigi. L'ammiraglio è indagato con l'accusa di associazione a delinquere finalizzata al traffico di influenze e per concorso in abuso d'ufficio. Gli inquirenti hanno scoperto un perverso sistema "do ut des" in grado di assicurare "vantaggi convergenti" ai componenti di una vera e propria associazione a delinquere composta da De Giorgi, dal compagno dell'ex ministro Guidi, Gemelli, dal presidente del Collegio dei Revisori dei conti della stessa Camera di Commercio di Roma nonché capo ufficio bilancio della Difesa, consulente del ministero per lo Sviluppo Economico e ex direttore generale della Ragioneria di Stato, Valter Pastena, dal collaboratore della Camera di Commercio di Roma, il cosiddetto “facilitatore” Nicola Colicchi, uomo di De Giorgi in Finmeccanica e assiduo frequentatore dei piani alti del palazzo, e dall'imprenditore Pasquale Criscuolo: 57 anni e vari incarichi in Confindustria, detiene una galassia di imprese operanti nel settore (F.lli Criscuolo, Criscuolo Eco- Petrol service, ConsorzioMiva, Tesal, Outsourcing, Tecnologia & Ambiente, Cori).
L'inchiesta nasce da alcune intercettazioni telefoniche sull'utenza di Gemelli il quale, tramite Colicchi, entra in contatto con Pastena e De Giorgi e pressa la ministra Guidi per ottenere una concessione per la costruzione di un pontile militare all'interno del porto di Augusta. La Polizia oltre a perquisire la casa di Gemelli, nei giorni scorsi si è presentata anche negli uffici dell'Autorità portuale di Augusta per acquisire gli atti di 450 concessioni, 65 delle quali si riferiscono al deposito di prodotti petroliferi.
Gemelli per mettere le mani sugli appalti per la costruzione del nuovo pontile nel porto di Augusta e renderlo idoneo all'attracco delle navi petroliere, preme attraverso Colicchi sul governo affinché venga rinnovato il mandato al suo amico Alberto Cozzo, commissario dell'Autorità del porto di Agusta.
Mentre De Giorgi è soprattutto interessato agli oltre 5 miliardi di euro stanziati col varo della “Legge Navale” per l'ammodernamento della “flotta umanitaria italiana” con grandi vantaggi e commesse milionarie per Fincantieri, Finmeccanica e l’industria dell’acciaio.
In un primo momento il ministro Delrio sembra titubante sulla riconferma di Cozzo. Ma quando sul conto cominciano a circolare voci su un dossier confezionato da un carabiniere con alcune foto in cui Delrio, all'epoca sindaco di Reggio Emilia partecipa ai festeggiamenti del santo patrono di Cutro (Crotone) città gemellata col capoluogo emiliano viene ritratto a braccetto con alcuni boss della 'ndrangheta, Delrio cambia parere e cede alle pressioni di Ivan Lo Bello, vice presidente di Confindustria, ma soprattutto mentore e ex socio di Gemelli. Non solo. In una intervista a “La Repubblica” dell'8 aprile Delrio ammette di aver ricevuto pressioni per la conferma di Cozzo anche dalla sindaca di Augusta del Movimento 5 Stelle Cettina Di Pietro.
Comunque sia la riconferma di Cozzo all'autorità portuale di Augusta va a buon fine e la “bella notizia” viene entusiasticamente annunciata da Colicchi e De Giorgi in una intercettazione agli atti.
13 aprile 2016