La banda neofascista di Renzi cancella la Costituzione del '48
Il parlamento approva definitivamente la controriforma piduista e fascista del Senato
Compatti per il sì gli ascari verdiniani, vota a favore anche l'imbelle e parolaia sinistra del PD. Le opposizioni parlamentari escono dall'aula quando parla il nuovo duce e non partecipa al voto
Uniamoci per affossarla al referendum di ottobre

In un'aula mezza vuota per l'assenza delle opposizioni parlamentari che l'avevano disertata in segno di protesta, la banda neofascista di Renzi, con l'aggiunta dell'imbelle e parolaia sinistra del PD e degli ascari verdiniani, si è approvata il 12 aprile alla Camera in via definitiva la controriforma costituzionale neofascista e piduista firmata Boschi, che cancella il Senato della prima repubblica democratica borghese e realizza l'affossamento definitivo della Costituzione del 1948 per completare il regime neofascista, come prescritto nel piano della P2 di Gelli. Un percorso già iniziato da Craxi e perseguito per vent'anni da Berlusconi, e adesso portato a compimento dal nuovo duce Renzi.
Una controriforma nata dal patto piduista del Nazareno tra Renzi e Berlusconi, che cambia ben 43 articoli della Costituzione e che è stata imposta con la prepotenza dal governo a un parlamento nero di nominati dalle segreterie dei partiti, eletti con una legge elettorale dichiarata incostituzionale dalla Consulta, e zeppo come nessun altro di corrotti, mafiosi e voltagabbana. E che, in combinato con la legge elettorale ultramaggioritaria Italicum fascistissimum, cambia anche la forma di governo, istituendo surrettiziamente il presidenzialismo nella forma del premierato.
Essa infatti assegna poteri di tipo mussoliniano al presidente del Consiglio, perché grazie al premio di maggioranza e al ballottaggio, con appena il 20-25% dei voti degli aventi diritto, il candidato premier del partito vincente può arrivare a disporre della maggioranza assoluta dei seggi in parlamento. E perché con la nuova Costituzione fascista il premier assume un ruolo nettamente predominante sul parlamento, grazie alla soppressione del bicameralismo perfetto, alla riduzione del Senato ad organo decorativo formato da consiglieri regionali e sindaci in gran parte da lui nominati e controllati, ma dotati comunque di immunità parlamentare, e grazie alla fiducia votata dalla sola Camera ridotta a passacarte del governo, obbligata ad approvare le leggi del governo entro 70 giorni. E senza contropoteri di bilanciamento, poiché anche i giudici costituzionali, il presidente della Repubblica, il vicepresidente e i membri non togati del Consiglio superiore della magistratura sarebbero eletti dal partito vincente.
Non solo, ma grazie alla controriforma del Titolo V della Carta, il governo del premier si riprende anche il potere decisionale su tutta una serie di materie oggi di competenza delle Regioni, come le politiche energetiche e ambientali, e ogni altra materia considerata di prevalente interesse nazionale. Ciò significa per esempio che con la nuova Costituzione il referendum sulle trivelle non avrebbe neanche potuto essere presentato, e che il governo Renzi non avrebbe neanche avuto bisogno dell'emendamento Boschi-Guidi su Tempa Rossa per fare un regalo alle lobby petrolifere.

Ancora l'asse Renzi-Napolitano
Il giorno avanti il nuovo Mussolini si era presentato in aula per pavoneggiarsi in diretta tv e intestarsi quello che ha definito “un passaggio storico per il nostro Paese”: “La storia parlamentare italiana parlerà a lungo di questa giornata”, ha esultato Renzi dai teleschermi che lo inquadravano sempre in primo piano senza lasciar vedere i banchi vuoti delle opposizioni che per l'occasione avevano abbandonato l'aula. Non mancando di associare alla sua festa, come “padre nobile” della controriforma piduista, il rinnegato Giorgio Napolitano (“un senatore a cui dobbiamo tutto”), già pensando evidentemente di farne l'icona della sua campagna per il Sì al referendum di ottobre.
Da parte sua l'ex inquilino del Quirinale, che non ha mai smesso quei panni istituzionali, lo ha ringraziato bacchettando quanti osano opporsi alla controriforma fascista e piduista: “Gli allarmi per la democrazia e per la libertà sono usati al solo fine di bloccare un rinnovamento da lungo tempo atteso e dalle parti più diverse considerato necessario. Che giunge già con grave ritardo”, ha detto infatti in una lunga intervista al megafono ufficioso di Renzi, La Repubblica.
Renzi ha negato di voler trasformare il referendum in un plebiscito su se stesso, ma in realtà ha confermato che se quest'ultimo dovesse bocciare la sua “più importante riforma” egli ne trarrebbe “le conseguenze”. Una formulazione vaga che può voler dire tutto e niente, ma sufficiente a minacciare il “tutti a casa”, cioè lo scioglimento delle Camere e le elezioni anticipate con l'Italicum (che conta di avere in tasca per luglio) in caso di sconfitta. E quindi ha confermato di voler proprio fare di questo referendum un plebiscito su sé stesso.

Affossare la controriforma e cacciare Renzi
Del resto il nuovo duce aveva già annunciato di considerare questo referendum “la madre di tutte le battaglie”, e di volerlo vincere con una campagna per il Sì martellante e capillare che intende condurre personalmente, senza risparmio di mezzi e “porta a porta”, per la quale ha assoldato appositamente il guru americano delle campagne elettorali di Obama e di Cameron, e con l'appoggio di tutti i suoi supporter dell'economia, della finanza e dei mass media, sul modello dei comitati per la Leopolda. Facendo leva su slogan demagogici come il taglio dei “costi della politica” e della lotta tra il partito del “cambiamento” contro il partito dei “conservatori”, della “casta”, dei “professoroni” e dei “gufi”: questa è la narrazione furbesca con la quale Renzi conta di vincere il referendum.
Il 18 aprile una delegazione del Comitato per il No nel referendum costituzionale , guidata dal presidente prof. Alessandro Pace, e del Comitato contro l’italicum ha depositato in Cassazione il quesito con la richiesta di referendum, come previsto dall’articolo 138 della Costituzione, dando così ufficialmente il via alla raccolta delle 500 mila firme necessarie e alla campagna referendaria. Campagna a cui anche il PMLI è pronto a dare tutto il suo contributo affinché si concluda vittoriosamente come nel 2006, con l'affossamento della controriforma fascista e piduista Renzi-Boschi sotto una valanga di NO.
Fermo restando, però, che per noi questa battaglia non può essere rinchiusa negli asfittici limiti della difesa della Costituzione borghese del 1948, che del resto non esiste più essendo già stata fatta a brandelli dal regime neofascista, e che il miglior modo di sbarrare il passo all'avanzata del nuovo Mussolini e della sua controriforma costituzionale neofascista resta sempre quello della lotta di massa e di piazza, per cacciarlo via insieme al suo governo filopadronale, piduista e interventista, prima che riesca a consolidare il suo potere e restare a Palazzo Chigi per altri vent'anni.
 
 
 

20 aprile 2016