Per l'esplosione dell'oleodotto Iplom
A Genova disastro ambientale colposo
Non è la prima volta che succede: l'ultimo incidente risale al 2012, ma questa volta è un disastro ambientale. Nella prima serata del 17 aprile alle 20 cede un tubo sotterraneo dell’oleodotto della raffineria IPLOM, che ha sede a poca distanza da Borzoli, quartiere ovest di Genova. L'acqua del torrente Fegino diventa immediatamente nera, perché la rottura avviene nel pieno delle operazioni di pompaggio. Il petrolio arriva al torrente Polcevera e persino in mare. Molte persone che abitano nei paraggi si sentono male a causa dei miasmi e almeno una di loro deve ricorrere alle cure ospedaliere, alla faccia di quanto l'azienda scrive in merito di prevenzione di incidenti gravi sulla prima pagina del suo sito: “sulla base delle stime effettuate gli effetti dagli scenari incidentali identificati nel Rapporto di sicurezza della Raffineria non comportano danni a persone o cose nell’abitato...”.
I Vigili del Fuoco tentano di limitare il danno, sistemando panne di contenimento lungo le sponde del Fegino e del Valpolcevera, ma la diga cede a causa della pioggia e il petrolio continua a sversarsi nei torrenti e in mare.
Si susseguono comunicati e versioni contraddittori. Alle foto e alle denunce della popolazione che rivelano la vera entità del disastro ambientale si contrappone il solito atteggiamento negazionista e superficiale delle istituzioni borghesi, in testa il governatore della Liguria, Giovanni Toti, FI, che tenta di imbonire la popolazione: “A Genova il peggio è passato, l’emergenza sta finendo e le coste liguri sono al sicuro dal rischio petrolio. Le panne assorbenti hanno sostanzialmente impedito che in mare uscisse altro prodotto. Il fiume è lavato dal 90% dell’idrocarburo uscito dal tubo”. Sulla stessa linea del partito del neoduce, il ministro per le Infrastrutture Graziano Delrio, PD, che parla di “un’emergenza a bassa intensità”.
Ma la situazione è ben più grave di quella rivelata dalle omertose istituzioni borghesi. Il presidente di Legambiente ligure, Santo Grammatico, segnala che l’intero ecosistema della zona più vicina alla condotta è stato spazzato via. Gli alvei del rio Penego e di un tratto del rio Fegino, asciutti al momento dell'incidente, si sono imbevuti di petrolio. Gli orti e i frutteti nelle vicinanze subiranno gravi conseguenze, così le riserve idriche potrebbero risultare inquinate dal petrolio penetrato nel sottosuolo. La situazione per la popolazione non è così rosea come la presenta il goveratore. “Ne avremo per un anno – denuncia un operaio, addetto alla bonifica – come rimuovi il petrolio da una parte, lo ritrovi dall’altra”. Nonostante le panne assorbenti, una buona parte del'olio, arrivata alla foce del Polcevera, si è riversata in mare. Il greggio ha causato una moria di pesci e uccelli. Inutile dire che ne pagheranno le conseguenze anche il turismo e la pesca sostenibile, settori economici particolarmente importanti nella zona. Sospinta dal vento la chiazza, eufemisticamente definita “iridescenza” dalle incompetenti autorità, si sta spostando verso ovest, inquinando il litorale. Ha già percorso oltre 12 miglia, dirigendosi verso il Santuario Pelagos, Area Specialmente Protetta di Interesse Mediterraneo, compresa nel territorio francese, monegasco e italiano, dove i mammiferi marini sono protetti.
L'impianto è stato posto sotto sequestro dal sostituto procuratore di Genova, Alberto Landolfi, che ha aperto un'indagine per disastro colposo. La produzione dell’oleodotto sarà ferma fino al 6 maggio. Per 240 dei 252 operai, che rischiano giornalmente la salute e l'incolumità a causa di impianti spesso obsoleti e privi di sicurezza, ci sarà la cassa integrazione.
Il sindaco arancione di Genova, Marco Doria tende a tirarsi fuori dalla vicenda, mostrando il tesserino di presunto ecologista. Non è sufficiente aver votato “Sì” al referendum sulle trivelle per declinare ogni responsabilità. E non è neanche sufficiente costituirsi parte civile nel processo che presumibilmente avverrà. Doria è sindaco d Genova dal 2012, l'anno in cui un altro importante incidente era avvenuto alla IPLOM. Il problema è che nessuno si è curato abbastanza della prevenzione. Nessuno ha controllato abbastanza. E Doria non ha svolto fino in fondo il suo dovere. Altro problema è la gestione complessiva del territorio di Genova, particolarmente delicato per la sua particolare posizione geografica, per il dissesto idrogeologico che lo caratterizza, per la presenza di impianti pericolosi e obsoleti e per la mancanza pressoché totale di interventi di messa in sicurezza, che competono alle amministrazioni. Cosa ha fatto Doria?
Poi è anche chiaro che questo disastro va rimediato con i soldi della IPLOM. Il problema però è ben più vasto. Come ha già detto il PMLI nel suo documento sul referendum relativo alle trivelle, non è pensabile che “la lotta su questo fronte possa limitarsi alla sola soluzione referendaria tanto più visto l’esito tutt’ora disatteso dell’altro grande referendum, quello sulla ripubblicizzazione dell’acqua, enormemente partecipato e stravinto”. La lotta, che è praticamente tutta da cominciare, implica di “archiviare quantomeno l’idea di un modello energetico bicentenario basato sui combustibili fossili e scegliere finalmente le fonti rinnovabili che, oltre ad essere meno nocive per l’ambiente e il clima, rappresentano una potenziale opportunità per l’occupazione e per l’innovazione tecnologica”, ma questo è un obbiettivo da conseguire, passando per l'abrogazone di tutte le parti dello “Sblocca Italia” cucite su misura per le multinazionali dell’energia e per i petrolieri stessi da Renzi, che non a caso su Genova sta tacendo ostinatamente.
27 aprile 2016