Tenendo alta la bandiera rossa del 1° Maggio
Lottiamo per abbattere il capitalismo e conquistare il socialismo e il potere politico da parte del proletariato

di Andrea Cammilli*
Buon Primo Maggio alle lavoratrici e ai lavoratori. Che sventoli alta la bandiera rossa della Giornata Internazionale dei Lavoratori. Sono passati 126 anni dalla prima volta in cui i lavoratori di tutto il mondo celebrarono questa Giornata, di festa ma soprattutto di lotta, per rivendicare in un primo momento la riduzione dell'orario di lavoro giornaliero a 8 ore e in seguito per un generale miglioramento delle loro condizioni di vita, fino a giungere a rivendicare una nuova società che sostituisse il capitalismo, abolendo lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Crediamo sia sempre utile ricordare le origini di questa ricorrenza, nata dal grembo del movimento operaio e dalla sua lotta contro lo sfruttamento capitalistico e per l'emancipazione sociale. Fu la Seconda Internazionale, che raggruppava un variegato fronte di partiti e organizzazioni operaie (ancora non c'era stata la scissione tra riformisti e rivoluzionari) a indire nel 1889 e a cominciare dall'anno successivo il 1° Maggio come giorno in cui i lavoratori di tutte le nazioni mettessero in piazza la loro forza e le loro rivendicazioni.
 

Origine, carattere, significato
 
Non c'entrano un bel nulla con questa ricorrenza i governanti borghesi e i capitalisti, anzi è stata istituita proprio contro di loro. Sono da rigettare le tesi di chi vuole dipingerla come una festa interclassista, la “festa dei produttori”, intendendo in questo modo una giornata che celebra tutti quelli che partecipano al processo di produzione capitalista, sia gli sfruttatori che gli sfruttati di questo processo, travisando completamente e volontariamente qual è lo spirito di classe della Giornata Internazionale dei Lavoratori. Cosa può accomunare il nuovo Valletta Marchionne agli operai della Fiat, ora FCA? Cosa unisce l'ex capo di Confindustria Squinzi ai dipendenti della Mapei o di qualsiasi altra azienda del suo impero industriale? Cosa accomuna un manager milionario come Montezemolo (che tiene i soldi al sicuro nelle società off-shore di Panama) con un lavoratore, magari in mobilità o in cassa integrazione? Per prima cosa quindi teniamoci ben stretto, e tramandiamo anche alle nuove generazioni di operai e di lavoratori, il carattere di classe di questa festa che, non a caso, Hitler e Mussolini abolirono e anche nel dopoguerra ha subìto svariati tentativi, soprattutto in anni recenti, di soppressione.
Non si tratta di un'operazione nostalgica, noi marxisti-leninisti pensiamo veramente che il suo spirito originario è tutt'ora attuale e stringente. A maggior ragione in questo particolare momento storico dove in Italia e a livello internazionale, i diritti e le condizioni dei lavoratori vengono pesantemente attaccati e ridotti. Su di loro e sulle masse popolari viene scaricata la crisi economica causata dal sistema capitalistico globalizzato; una crisi così devastante che gli stessi economisti borghesi definiscono, a causa del suo perdurare nel tempo, più grave di quella del 1929. A causa della totale precarizzazione dei contratti di lavoro, di una perdita drastica del potere d'acquisto, delle controriforme liberiste in materia di previdenza e sanità, delle privatizzazioni dei servizi pubblici e sociali le condizioni di vita e di lavoro degli operai e delle masse lavoratrici hanno subito un pesantissimo arretramento. Certo questa non è una novità; tra una crisi e l'altra, inframezzate da brevi periodi di “sviluppo” e “crescita” la borghesia, per mantenere intatti i suoi profitti, da sempre schiaccia ancora più forte i lavoratori e le classi subalterne.
Per rimanere nel nostro Paese abbiamo assistito nel giro di 25 anni al completo stravolgimento del mondo del lavoro, dalle tipologie contrattuali alle relazioni industriali e sindacali che si erano delineate dal dopoguerra fino agli anni '80 del secolo scorso. Per citare i più recenti passaggi significativi ricordiamo il protocollo del 23 luglio 1993 sulla politica dei redditi, il Pacchetto Treu del 1997 che introdusse la flessibilità e le agenzie interinali, la Legge Biagi del 2003 che apportò nuovi contratti precari, le “riforme” del governo Monti del 2012 con la sua “legge di stabilità” di lacrime e sangue e un primo attacco all'articolo 18. Attacchi che proseguono anche quando il lavoratore non è più in produzione, con le controriforme pensionistiche, da quella Dini del 1995 a quella famigerata della Fornero del 2012 che gradualmente, ma inesorabilmente, hanno abolito la pensione retributiva sostituendola con la contributiva e innalzato l'età pensionabile fin quasi a 70 anni cancellando di fatto la pensione di anzianità di servizio con pesanti penalizzazioni economiche.
 

Nefandezze renziane
 
Politiche che sono rimaste immutate, indifferentemente se al governo vi fosse la destra o la “sinistra” borghese. Anzi, con l'attuale governo del nuovo duce Renzi, abbiamo assistito ad un salto di qualità. E' lo stesso premier, allo stesso tempo capo del più grande partito della “sinistra” borghese, il PD, a rivendicarlo. “Berlusconi prometteva le riforme, io le faccio”, ha detto più volte con arroganza, e non possiamo dargli torto, ha superato il suo stesso maestro. Fin da quando si è insediato a Palazzo Chigi ha dimostrato chiaramente quali erano le sue intenzioni, solo degli stolti o degli imbroglioni politici potevano accreditarlo come un valido interlocutore dei lavoratori. Si è subito schierato con Marchionne e il suo modello di relazioni industriali di stampo mussoliniano e ha attaccato i sindacati. Ha definito il nuovo Valletta di FCA un “quasi compagno” che dispensa nuova occupazione mentre i sindacati, nonostante il loro atteggiamento arrendevole e collaborativo, sono ferri vecchi, soggetti che interferiscono e frenano lo “sviluppo” dell'Italia, annoverati tra i responsabili della crisi economica e della disoccupazione.
A livello internazionale Renzi sta servendo l'Unione Europea imperialista e la sua politica di austerità più fedelmente di Berlusconi ma non rinuncia a portare avanti le ambizioni specifiche dell'imperialismo italiano. In particolare in Libia dove il nostro Paese è stato tra i più attivi a sostenere e a riconoscere per primo un governo fantoccio “che abbia la possibilità di chiamare un intervento della comunità internazionale”, ossia che con la scusa della lotta al terrorismo dia legittimità a un un'invasione della Libia a guida italiana. Anche in Iraq e in Siria, pur mantenendo una posizione più defilata rispetto ad altri Paesi, l'Italia è parte attiva nei bombardamenti contro lo Stato Islamico compiuti dalla coalizione imperialista che stanno causando migliaia di morti.
La classe dominante borghese del nostro Paese lo ha scelto come cavallo su cui puntare (come ha confessato Marchionne) per gestire al meglio i suoi affari e per salvaguardare il suo sistema economico e il suo Stato, senza neppure essere stato eletto e senza rispettare la Costituzione, e lui dimostra di mettercela tutta per assolvere a questo ruolo. Con protervia fascista persegue con impegno nell'obiettivo di estendere a tutti il precariato e di rendere i lavoratori completamente succubi e alla mercé dei capitalisti nostrani, mentre a livello costituzionale intende completare la seconda repubblica capitalista, neofascista e presidenzialista secondo il progetto della P2, ultime mosse la legge elettorale fascista “Italicum”, la soppressione del bicameralismo e un virulento attacco all'indipendenza della magistratura.
Il Jobs Act varato dal suo governo e votato dal parlamento nero rappresenta uno dei più gravi e pericolosi attacchi ai diritti dei lavoratori avvenuti dopo la caduta del fascismo. Renzi può “vantare” di essere colui che ha cancellato l'articolo 18 che prevedeva il reintegro del lavoratore licenziato senza giusta causa, Berlusconi ci aveva provato ma non ci era riuscito. Ma il Jobs Act non significa solo aver cancellato l'art. 18. Dal momento che il nuovo assunto per i primi tre anni può esser licenziato in qualsiasi momento a totale discrezione del datore di lavoro, pena un misero risarcimento, crolla tutto l'impianto delle tutele contenute nello Statuto dei lavoratori perché il ricatto della disoccupazione farà da freno nel far valere i propri diritti davanti al padrone. Una misura che, come dimostrano le statistiche, ha solo ridotto le tutele ai dipendenti ma non ha creato occupazione, le assunzioni fatte sono riconducibili soprattutto agli gravi fiscali concessi alle aziende. Oltre 8mila euro annui risparmiati dai padroni per ogni lavoratore che verranno a gravare sui disastrati conti pubblici.
E' innegabile che le confederazioni sindacali hanno dimostrato di non essere in grado e di non volere opporsi a questi attacchi e di tutelare gli interessi dei lavoratori. La Cisl e la Uil, tranne rare parentesi in cui sono state tirate dalla forza degli eventi alla lotta, da sempre sono per la collaborazione con i padroni e generalmente complici dei vari governi, ma anche la Cgil da tempo ha scelto questa strada. Attraverso le politiche dei redditi i suddetti sindacati hanno accettato che i lavoratori si sacrificassero per il bene e per la competitività del sistema economico capitalistico nazionale e attraverso la concertazione hanno subordinato gli interessi dei lavoratori a quelli del governo e dei padroni. Questo ha portato alla compromissione della burocrazia sindacale con il potere politico ed è servita a far ingoiare ai lavoratori sacrifici sempre più grandi. Ma quando i governanti di turno hanno pensato che potevano fare a meno dei sindacati, questi sono stati emarginati. Renzi li prende a pesci in faccia continuamente e li vuole rottamare.
Tutto ciò ha fatto perdere ai sindacati la loro credibilità tanto che oramai vengono sempre più spesso accomunati a quella che viene definita “casta” dagli stessi lavoratori. In questo contesto s'inserisce la Carta dei diritti universali del lavoro della Cgil, ben lungi dall'essere un nuovo Statuto dei Lavoratori che estende le tutele come viene presentata, essa si adegua e prende atto della precarizzazione dei contratti e delle nuove relazioni industriali di tipo mussoliniano. Il tratto principale della Carta è il palese tentativo dei sindacati di recuperare, istituzionalizzandosi e quindi ricevendo dalla legge un’investitura ufficiale, almeno l’autorità, in quanto l’autorevolezza l’hanno già perduta da un bel pezzo. Per noi marxisti-leninisti è questa la lettura più consona da dare alla volontà della Cgil, attraverso la Carta, di attuare l'articolo 39 della Costituzione che per quasi 70 anni i sindacati hanno sempre ostacolato per mantenere la propria autonomia e stoppare le ingerenze dello Stato. Così facendo la Cgil tradisce lo scopo per cui i sindacati sono nati nell’Ottocento, allontanandosi definitivamente dalla lotta di classe per avvicinarsi al modello corporativo simile a quello fascista, a braccetto ormai con banchieri e industriali. La istituzionalizzazione e burocratizzazione dei sindacati, a cui si aggiunge, nel progetto della Carta dei diritti universali del lavoro, la vera e propria truffa della cogestione, in attuazione dell’art. 46 della Costituzione, sono fumo negli occhi per i lavoratori e una resa davanti ai padroni.
 

Situazione sindacale
 
Cgil, Cisl e Uil hanno fatto il loro tempo. Si dimostra sempre più impellente l'esigenza di un nuovo sindacato, ma non di una nuova sigla che si vada ad aggiungere alle tante già esistenti lasciando sostanzialmente tutto immutato. Il problema è trovare la strada che porti a un sindacato che unifichi e rappresenti davvero e fino in fondo gli interessi dei lavoratori e che eserciti una vera democrazia sindacale. Quest'ultima è negata anche in Cgil, che a parole proclama il pluralismo e nella pratica si dimostra intollerante contro chi dissente come dimostra il recente “licenziamento” di Sergio Bellavita dalla Fiom, il portavoce della minoranza di sinistra della Cgil Il sindacato è un'altra cosa rispedito da Landini a lavorare, o i provvedimenti disciplinari verso i delegati Fiom della FCA di Termoli e Melfi giudicati “incompatibili” per aver partecipato a scioperi contro gli straordinari imposti da Marchionne assieme a lavoratori iscritti a sindacati non confederali.
 

Proposta del PMLI
 
La proposta strategica del nostro Partito è quella di costruire dal basso un grande sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati fondato sulla democrazia diretta e sul potere sindacale e contrattuale delle Assemblee generale degli uni e degli altri. Un sindacato che si liberi della soffocante e mastodontica burocrazia sindacale, corrotta e asservita ai partiti e alle istituzioni borghesi, che operi per la difesa degli interessi fondamentali e immediati dei lavoratori e dei pensionati, senza vincoli e compatibilità dettate dai capitalisti e dal governo poiché è solo con la lotta di classe, con l’uso di tutti i metodi di lotta a disposizione che possono essere conquistati veri ed effettivi avanzamenti sociali per gli sfruttati e gli oppressi. Un sindacato che poggi sulla democrazia diretta dal basso verso l’alto, dove valga la possibilità di revoca in ogni momento dei delegati e dei dirigenti, anche al massimo livello, non più riconosciuti come tali dalla base .Si tratta di un processo che nel tempo comporta l'unificazione sindacale di tutti i lavoratori e i pensionati, andando oltre le attuali confederazioni sindacali e anche quelle non confederali.
Siamo consapevoli che tutto questo non si può realizzare dall'oggi al domani, ma è l'unica strada percorribile per rilanciare la conflittualità e dotare i lavoratori di uno strumento sindacale più efficace per difendere i loro interessi. Allo stesso tempo però dobbiamo essere consapevoli che la classe operaia nel capitalismo avrà sempre un ruolo subalterno alla borghesia. Anche quando si riescono a strappare delle importanti conquiste per i lavoratori e le masse popolari la borghesia, sfruttando momenti di crisi economica e fattori ad essa favorevoli, come la debolezza e frantumazione attuale del proletariato, si riprende quanto ha concesso. Lo vediamo proprio oggi nella crisi economica e finanziaria del capitalismo che le condizioni di vita e di lavoro nelle aziende hanno subìto più di un passo indietro: nelle fabbriche e negli uffici vige un clima da caserma, si vive sotto una cappa di costante ricatto, con salari sempre più bassi e diritti ridotti al lumicino.
Quindi il nocciolo del problema è quello di andare alla radice, cioè di lottare non solo contro le conseguenze causate dal capitalismo; diseguaglianze, razzismo, povertà e tutto il resto, ma di lottare per abbattere il capitalismo stesso e conquistare il socialismo e il potere politico da parte del proletariato, questa è la madre di tutte le questioni. La storia del movimento operaio nazionale e internazionale ha anche dimostrato che il socialismo non si realizza conquistando la maggioranza nel parlamento borghese attraverso una croce sulla scheda elettorale, ma attraverso la rivoluzione socialista. Andare al governo significa solamente andare ad amministrare gli affari per conto della borghesia perché il sistema economico rimane quello capitalistico e l'ordinamento istituzionale, giuridico, repressivo quello borghese. Il socialismo si conquista tramite l'abbattimento violento dello Stato borghese.
La classe operaia deve riappropriarsi della sua ideologia, del marxismo-leninismo-pensiero di Mao gettato alle ortiche dai vecchi partiti che a parole si dichiaravano “comunisti” ma nella pratica erano dei riformisti borghesi che prima hanno revisionato il socialismo, poi lo hanno criticato e infine sono passati armi e bagagli dalla parte del capitalismo e adesso lo vogliono far apparire come il solo o il migliore sistema possibile nonostante ci dicano il contrario la fame nel mondo, le guerre imperialiste e le migrazioni. Le esperienze dell'Urss di Lenin e Stalin e della Cina di Mao invece stanno lì a dimostrare che il capitalismo si può spazzare via e che si può instaurare il socialismo, la società che pone le condizioni per eliminare lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo e garantire la giustizia sociale ed economica. Quando la classe operaia prende coscienza di essere una classe per sé, di essere la classe antagonista alla classe dominante borghese, di essere portatrice di un progetto per una nuova e più avanzata società, il socialismo, la sua forza diventa dirompente, inarrestabile e vincente. Quando invece prende il sopravvento il riformismo, il parlamentarismo, il collaborazionismo, il pacifismo, inevitabilmente ci si arrende alla borghesia.
Non sottovalutiamo la necessità di lottare per salvaguardare gli interessi immediati dei lavoratori e delle masse popolari. Siamo i primi a riconoscere l'urgenza di lottare contro l'attuale governo che si è dimostrato uno dei più antioperai e antidemocratici conosciuti dall'Italia nel dopoguerra. Renzi è un nemico giurato dei lavoratori e il PMLI è disposto ad unirsi con tutti coloro che sono intenzionati a combattere per spazzare via il suo governo. A tal proposito servirà un largo fronte unito al referendum del prossimo ottobre per seppellire sotto una valanga di No la controriforma costituzionale voluta da Renzi. Ma il PMLI inquadra le sue battaglie politiche in una più generale strategia di lotta per il socialismo perché qualsiasi formazione, partito e presidente del Consiglio succederanno al governo Renzi non faranno altro che perpetuare il dominio della borghesia. Per questo motivo alle elezioni amministrative del 5 giugno invitiamo l'elettorato ad astenersi, perché le istituzioni rappresentative borghesi, di cui fanno parte i Consigli comunali, sono le coperture “democratiche” della dittatura borghese e la loro funzione è quella di carpire il consenso elettorale e il sostegno del popolo, illudendolo che il suo voto ai partiti che ne fanno parte può incidere sulle scelte governative e può migliorare le proprie condizioni. L'unico modo, a livello elettorale, per farsi sentire, per protestare, per far valere le proprie ragioni, per penalizzare i partiti e le istituzioni borghesi, è quello di astenersi, disertando le urne, oppure annullando la scheda o lasciandola in bianco. Il PMLI sostiene tatticamente l'astensionismo elettorale e invita le astensioniste e gli astensionisti, in particolare quelli di sinistra, a qualificare politicamente il loro astensionismo considerandolo come un voto dato al PMLI e al socialismo.
Da parte nostra siamo convinti che la vera alternativa a Renzi non può che essere di classe e rivoluzionaria, non può non portare al potere il proletariato, la classe delle operaie e degli operai, non può non aprire le porte al socialismo. Questa è la missione storica a cui il PMLI è rimasto fedele fin dalla sua nascita, quasi 40 anni fa. Chiunque voglia abbattere il capitalismo e conquistare il socialismo ha il dovere di confrontarsi con i marxisti-leninisti e valutare di entrare nel PMLI come militante oppure diventarne simpatizzante, amico o sostenitore per contribuire allo sviluppo dell'unico Partito in Italia che vuole realizzare veramente il socialismo.
Viva il 1° Maggio!
Viva la classe operaia e i lavoratori!
Spazziamo via il governo del nuovo duce Renzi!
Lottiamo contro il capitalismo, per il socialismo!
 
* Responsabile della Commissione per il lavoro di massa del CC del PMLI

27 aprile 2016