Come la precedente e successiva
La generazione 1980 andrà in pensione a 75 anni
Il capitalismo ruba il futuro
Tito Boeri, attuale presidente dell'Inps, il 19 aprile è intervenuto al “graduation day” dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e ha dato prospettive tutt'altro che rosee sulle pensioni per i nati dopo il 1980: “Abbiamo preso in considerazione i lavoratori dipendenti, ma anche gli artigiani, persone che oggi hanno 36 anni e che probabilmente a causa di episodi di disoccupazione vedono una discontinuità contributiva di circa due anni. Due anni senza contributi”. Quindi, “se la generazione 1980 dovesse andare in pensione con le regole attuali che prevedono i 70 anni con l'interruzione contributiva registrata ci andrà dopo due-tre o anche cinque anni perché non ha i requisiti minimi”. Quindi, a seconda del prolungamento dell'interruzione, l'agognata pensione potrebbe slittare fino a 75 anni.
Il fatto è che oggi si va in pensione a 66 anni e 7 mesi, ma l'età pensionabile salirà ogni due anni a partire dal 2019 per adeguarsi all'allungamento della speranza di vita, raggiungendo il massimo dei 70 anni nel 2049. Solo che bisognerà avere maturati anche i contributi necessari, che aumenteranno a loro volta e, secondo le stime, potrebbero arrivare a 46 anni nel 2049; ma i contributi sono tutt'altro che scontati, per via del dilagare del precariato che determina rapporti di lavoro discontinui e non raramente anche lunghi periodi di disoccupazione, per non parlare del lavoro nero.
Tutto questo mentre anche la generazione post-1970 vede allontanarsi sempre più la pensione, comunque generalmente da fame. Non parliamo proprio dei nati dagli anni '90, molti dei quali non hanno mai avuto un contratto stabile.
Insomma: pensione nel “duemilamai”, come hanno scritto certe testate. Intere generazioni rischiano concretamente di non vedere mai la pensione, o quantomeno una pensione dignitosa, e vedranno cancellato un diritto basilare.
Dichiarazioni sorprendenti? Non proprio: già nell'ottobre 2010 il predecessore di Boeri, Antonio Mastrapasqua, ammetteva candidamente: “Se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati rischieremmo un sommovimento sociale”. Lo stesso Mario Draghi ha recentemente parlato di “generazione perduta”, con la faccia tosta che può avere solo il capo della BCE che promuove le politiche draconiane per salvare il capitalismo sulla pelle, le lacrime e il sangue dei lavoratori. Lo stesso Boeri è fra le menti del “Jobs act” e tuttora non propone certo l'abolizione del precariato e l'abbassamento dell'età per la pensione come soluzioni.
È semmai grave che i governi che si sono succeduti, da Berlusconi a Monti a Letta a Renzi, abbiano permesso che ciò avvenisse senza muovere un dito, anzi hanno fatto scempio del sistema pensionistico pubblico, in particolare con la riforma Fornero, alzando sistematicamente l'età pensionabile e passando al solo contributivo; ma hanno distrutto anche il diritto del lavoro, privando i giovani del lavoro stabile. Spalancando le porte a banche, assicurazioni e fondi privati, con conseguente salasso per le masse popolari.
La segretaria della CGIL, Camusso, ha chiesto “un piano straordinario per l'occupazione giovanile da finanziare con una riforma fiscale. Bisogna spostare la tassazione su chi ha di più” e detto che “bisogna decidere come si fa, invece, a dare lavoro a questa generazione”. Una posizione, peraltro piuttosto debole, che comunque non è seguita da iniziative di lotta dure e decise che la gravità della situazione imporrebbe. Che altro c'è da aspettare, per esempio, per proclamare lo sciopero generale?
Comunque siamo di fronte ad un'ulteriore riprova che il capitalismo e i governi che ne curano gli interessi non fanno altro che rubare diritti e futuro ai giovani. La “generazione perduta” non ha altra scelta che abbattere questo sistema capitalistico per conquistare un futuro dignitoso, libero dallo sfruttamento e dalla povertà.
27 aprile 2016