A proposito del referendum sulla “Buona scuola”
La raccolta delle firme per un referendum sulla “Buona scuola”, attualmente in corso, fa seguito ad un'intenzione espressa già nell'estate dell'anno scorso, all'indomani dell'approvazione della legge, e concretizzatasi il 7 febbraio con la costituzione del Comitato promotore che vede raccolti, fra gli altri, la Rete della Conoscenza, Cobas, Il sindacato è un'altra cosa, varie associazioni per la scuola pubblica, Gilda, coordinamento precari e collettivi studenteschi. La FLC-CGIL ha dato a sua volta il proprio appoggio. È necessario depositare 500mila firme in Cassazione entro settembre per celebrare il referendum nel 2017.
I quesiti referendari
In caso di effettiva celebrazione e vittoria del referendum, il primo quesito abroga i commi della legge 107 che permettono l'erogazione di finanziamenti privati alle singole scuole, convogliandoli invece al sistema scolastico nazionale che dovrebbe poi ripartirle per favorire le scuole più bisognose.
Il secondo quesito abroga la chiamata discrezionale dei docenti da parte del dirigente scolastico. La legge 107 infatti prevede che il preside sia un vero e proprio manager che chiama direttamente gli insegnanti, da confermare o cacciare dopo tre anni, mettendo palesemente in pericolo la libertà d'insegnamento, tanto più in una scuola asservita ai potentati economici locali.
Il terzo quesito riguarda l'alternanza scuola-lavoro e abroga il limite di 400 ore (istituti tecnici e professionali) o 200 ore (licei) in azienda, lasciando ai singoli istituti la possibilità di definire autonomamente le ore da dedicare alle esperienze lavorative e creare percorsi aderenti al Piano d'offerta formativa (Pof).
Il quarto e ultimo quesito abroga la norma che consente al preside di stabilire in autonomia a quali docenti assegnare il “premio al merito”, ricostituendo i comitati di valutazione a ciò preposti.
Debolezze e parzialità del referendum
I quesiti referendari proposti, per quanto senza dubbio importanti, rimangono parziali.
Un esempio su tutti: l'alternanza scuola-lavoro non viene abolita, quindi gli studenti resterebbero impiegati come manodopera gratuita, semplicemente le singole scuole avrebbero un peso lievemente maggiore nel definire come, quanto e dove si svolgerà. Non c'è però da illudersi che un eventuale successo del referendum cambierà il fatto che saranno i padroni locali, in base unicamente alle loro necessità e non alle esigenze formative degli studenti, a beneficiarne. Al contrario, come ha proposto la Commissione Giovani del PMLI nel suo Documento “Battiamoci contro lo sfruttamento lavorativo delle studentesse e degli studenti e per abolire l'alternanza scuola-lavoro”, questa norma deve essere assolutamente abolita perché consente lo sfruttamento gratuito degli studenti. Intanto i programmi di alternanza andrebbero stabiliti e valutati da commissioni composte da studenti in maggioranza e docenti in minoranza e bisogna lottare per ridurre le ore lavorative e ottenere un salario pari al 70% dei lavoratori regolari, sempre con la prospettiva strategica di arrivare al ritiro dell'alternanza scuola-lavoro.
Inoltre il referendum è utilizzato strumentalmente dalle forze riformiste a sinistra del PD (da Landini a Sel-Sinistra italiana a “Possibile” di Civati) per riprendere il controllo delle battaglie sociali, evitando che sfocino in grandi lotte di massa. Ai riformisti interessa tenerle sui binari istituzionali, legalitari e costituzionali, in ultima analisi puntando tutto sulla trattativa parlamentare e referendaria, nell'ottica di potersi ritagliare elettoralmente uno spazio. Una strategia opportunista che si è già dimostrata fallimentare e non ha portato nulla alle masse in lotta.
Se il referendum ci sarà, i marxisti-leninisti voteranno a favore e faranno campagna in tal senso, perché sarà un duro colpo al governo Renzi ed alla sua politica scolastica. Fin da ora i marxisti-leninisti sono inoltre disponibili a firmare, pur non partecipando ai comitati promotori perché giudichiamo parziale il referendum. Riteniamo inoltre che non ci si debba fossilizzare su questa strada, la quale rischia anzi di essere fuorviante e, in fin dei conti, inefficace.
Anche perché non basta abrogare alcune norme della legge 107, quando poi ne resterebbe l'impianto, lasciando intatta per esempio l'autonomia scolastica. Bisogna invece lottare per il ritiro integrale della “Buona scuola” e per conquistare una scuola radicalmente diversa e al servizio del popolo, cioè pubblica, gratuita e governata dalle studentesse e dagli studenti.
La lotta viva e attiva nelle scuole e nelle piazze è insostituibile
Noi naturalmente condividiamo la necessità di sconfiggere il prima possibile la “Buona scuola”. In linea generale, siamo però molto perplessi sulla scelta del referendum. La prima grande incongruenza sta nel fatto che può votare chi ha un'età superiore ai 18 anni, quindi di fatto gran parte degli studenti medi sono tagliati fuori, nonostante i giovanissimi partecipino attivamente alle lotte studentesche. In secondo luogo, il referendum si terrebbe nel 2017, ben due anni dopo l'approvazione della legge; nel frattempo, la lotta sarebbe ipotecata?
Con il referendum, inoltre, la lotta si sposta fuori dalle scuole, viene diluita e sottratta ai suoi protagonisti principali, le studentesse e gli studenti. Esso non favorisce la formazione di un movimento studentesco forte e unito su piattaforme e obiettivi comuni, ma neanche la compattazione di un fronte unito fra studenti, docenti e personale Ata contro la “Buona scuola”. Spostando la lotta sui binari legalitaristici del referendum, dei ricorsi, dei tribunali ecc., dietro l'illusione di poter ottenere per via istituzionale ciò che si crede impossibile strappare con la lotta, si finisce in realtà per lasciare campo libero e tempo prezioso al nuovo duce Renzi.
È invece la lotta di massa, viva e attiva, dentro e fuori le scuole e nelle piazze, che può portare a risultati veramente soddisfacenti e favorevoli per le larghe masse studentesche, lavoratrici e precarie. Come la grande mobilitazione della primavera 2015 aveva costretto Renzi e Giannini a ritardare l'approvazione della “Buona scuola”, rimandandola all'estate per evitare ulteriori contestazioni, così una nuova grande mobilitazione può portare a conquiste sostanziali, fino al suo ritiro. Una lotta fatta di varie forme, da quelle più lievi come il boicottaggio dell'approvazione del Pof e dei comitati di valutazione, fino alle forme più dure come l'occupazione degli istituti e la rivendicazione del governo alternativo delle scuole da parte delle studentesse e degli studenti. Con questa mobilitazione si può fare pressione sui sindacati, confederali e non, perché proclamino lo sciopero generale di categoria e anche lo sciopero generale di otto ore.
Proprio nel corso della lotta bisogna dare vita ad un movimento studentesco unitario, strettamente alleato con i movimenti dei docenti precari e non e del personale Ata contrari alla “Buona scuola”, all'interno del quale discutere ed elaborare insieme gli indirizzi politici e programmatici, le piattaforme rivendicative e i metodi.
4 maggio 2016