Calpestando la volontà popolare espresso nel referendum per l’acqua pubblica del 2011
Renzi e i parlamentari a lui asserviti privatizzano i servizi idrici
Al referendum del 2011 oltre la metà delle elettrici e degli elettori italiani diedero una precisa indicazione ai governanti; da quel momento in poi l’acqua sarebbe dovuta tornare ad essere un bene comune pubblico accessibile a tutti. In quella occasione il 95% del 57% degli aventi diritto al voto che si recarono alle urne, rilanciarono con una forza senza precedenti la legge d’iniziativa popolare, presentata dai movimenti nove anni prima; una legge dimenticata nei cassetti delle commissioni parlamentari fino alla sua decadenza e ripresentata, aggiornata, in questa legislatura dall’intergruppo parlamentare in accordo con il Forum italiano dei movimenti per l’acqua. Il suo obiettivo però, quello di strappare dalle mani dei privati e del profitto un bene essenziale come l’acqua, è stato completamente superato pochi giorni fa con la votazione finale del DDL approvato alla Camera con 243 i voti a favore (dei quali tutto il PD presente in aula), 129 contrari e 2 gli astenuti.
Questa nuova versione della legge è stata approvata fra le contestazioni di M5S e SI, che hanno sventolato magliette e bandiere blu del referendum urlando contro i banchi della maggioranza, dopo che il suo testo era stato letteralmente stravolto dagli emendamenti del Partito Democratico e del governo al punto che gli stessi parlamentari che lo avevano proposto hanno ritirato le loro firme in calce alla legge. Un perfetto colpo di mano che con spietata sistematicità, emendamento su emendamento, ha completamente invertito l’impianto di un disegno di legge che originariamente era stato pensato per rendere nuovamente pubblico il sistema idrico del nostro Paese. Il nuovo testo in pratica stabilisce che il servizio idrico integrativo sia considerato un servizio pubblico locale di interesse economico generale assicurato alla collettività, che può essere affidato anche
in via diretta a società interamente pubbliche in possesso dei requisiti prescritti dall’ordinamento europeo per la gestione in “house” comunque partecipate da tutti gli enti locali ricadenti nell’Ato (Ambito territoriale ottimale). Emerge fra l’altro che tale servizio, ed in particolare la sua distribuzione, non potrà essere soddisfatto dalla fiscalità generale, consegnando nei fatti l’acqua alle società private, leggi le solite partecipate che hanno il profitttito o garane solo in seconda battuta si curano dell’efficienza del servizio e della sua gratuità in quanto bene comune.
In particolare poi, è soppresso l'articolo relativo alla ripubblicizzazione della gestione del servizio idrico integrato e particolarmente importante per dare gambe all’esito referendario del 2011, che prevedeva l'assoggettamento al regime “del demanio pubblico
” di acquedotti, fognature, impianti di depurazione e le altre infrastrutture necessarie alla distribuzione dell’acqua.
Il governo Renzi ci ha ormai abituati a tutto, riuscendo più volte a superare a destra il suo maestro Berlusconi in ogni campo ed in particolare nelle agevolazioni alle grandi multinazionali dell’energia, finanziarie e dei servizi (l’abbiamo visto anche recentemente sul tema petrolio); il forte rilancio della privatizzazione dell’acqua e dei servizi pubblici risponde infatti, ed ancora una volta, a precisi interessi delle grandi lobby finanziarie che non vedono l’ora di potersi sedere al tavolo di interessi elevati e stabili nel tempo, e con conseguenti partecipazioni finanziarie poco volatili ma molto generose in termini di dividendi.
Per realizzare definitivamente questo impianto, procede a passo spedito l’iter del decreto Madia, il cosiddetto “Testo unico sui servizi pubblici locali”, che prevede l’obbligo di gestione dei servizi a rete (compresa l’acqua) tramite società per azioni, reintroducendo in tariffa l’adeguatezza della remunerazione del capitale investito dall’azienda che si traduce in pratica alla garanzia dei profitti qualunque sia l’esito o l’efficienza dell’investimento. Non è difficile comprendere che in questo modo si procede nell’esatta direzione opposta del voto referendario del 2011.
Con questa sfacciataggine il PD si beve per l’ennesima volta (è proprio il caso di dirlo) il volere popolare; paiono davvero strumentali i proclami dei deputati piddini che sottolineano come, con questa legge, a tutti dovranno essere garantiti almeno 50 litri di acqua potabile al giorno anche in caso di mancato pagamento delle bollette, e che queste ultime diventeranno più trasparenti e conterranno parametri di qualità dell’acqua, il conteggio delle perdite idriche e i dati sugli investimenti negli acquedotti. Ben sappiamo quali siano le condizioni delle reti di distribuzione idriche nel nostro Paese e quanti sono ancora coloro che, specialmente nel Mezzogiorno, non hanno accesso all’acqua potabile nonostante debbano sopportare, per ulteriore beffa che si aggiunge al danno, le alte tariffe imposte dagli stessi gestori privati che gli negano di fatto il diritto.
Quest’ultimo atto di disprezzo della volontà popolare del Governo e del PD testimonia quanto essi siano distanti dagli interessi e dalle necessità delle masse popolari e come la grande speculazione e l’affarismo abbia fatto un ulteriore salto di qualità con Renzi che ai tempi di Berlusconi sarebbe stato quasi impensabile; ne è testimonianza il fatto che dal referendum sull’acqua ad oggi i diversi governi succedutisi non erano andati oltre all’ostacolarne l’esito, all’incentivarne la non applicazione, ad impedirne l’attuazione; solo Renzi è stato capace di restituire definitivamente e per legge l’acqua ai privati rendendola ancora merce da profitto. Che sia allora la stessa volontà popolare tradita a dargli una spallata decisiva per farlo cadere, magari iniziando col prossimo referendum istituzionale d’autunno sulla controriforma costituzionale!
4 maggio 2016