Un atto d'imperio alla Renzi e alla Marchionne
Landini si libera del portavoce del Sindacato è un'altra cosa
Il leader della Fiom, ormai ombra di se stesso, non tollera il dissenso interno alla Federazione dei metalmeccanici, come la Camusso nella Cgil
Giudicati “incompatibili” i delegati FCA che a Termoli e Melfi hanno scioperato contro gli straordinari
Proprio chi reclamava nella Cgil democrazia e pluralismo di opinioni si è dimostrato intollerabile verso chi non si allinea alle sue posizioni. Stiamo parlando di Maurizio Landini, il segretario generale dei metalmeccanici della Cgil che con il suo comportamento sta dimostrando come nella Fiom oramai non c'è più spazio per chi dissente. L'ultimo a farne le spese è stato Sergio Bellavita, a cui è stato revocato il distacco sindacale, in sostanza è stato “licenziato” dalla Fiom e rimandato a lavorare nella sua azienda di provenienza, le officine meccaniche Cei di Anzola Emilia.
Un atto molto grave, in perfetto stile Renzi, una mossa che dimostra come Landini non tolleri chi contesta la sua direzione e la linea della Fiom, specie quella adottata negli ultimi anni. Bellavita non è stato solo un membro della segreteria nazionale Fiom, estromesso nel 2012 con uno stratagemma tecnico, ma è anche, dopo il ritiro di Giorgio Cremaschi, il portavoce nazionale de Il Sindacato è un'altra cosa, l'area che si colloca a sinistra nel sindacato della Camusso. Quindi è chiaro come questa mossa sia un palese tentativo di tappare la bocca alla minoranza critica della Cgil e della Fiom.
Altre volte ci sono stati dirigenti allontanati o emarginati ma raramente si è usato un atteggiamento cosi arrogante e autoritario in Cgil. Sembra piuttosto di assistere al copione che si recita nelle riunioni della segreteria del PD, dove il nuovo duce Renzi tiene le sue rese dei conti con gli oppositori interni, o peggio ancora questa cacciata assomiglia a un comportamento padronale, degno di Marchionne, dove il dipendente non gradito viene licenziato, alla faccia del grande sindacato plurale, dell'inclusione delle idee, della dialettica democratica, delle minoranze e delle opposizioni interne che sarebbero tutelate.
Il caso di Bellavita non è l'unico perché proprio in questi mesi abbiamo assistito a un'altra vicenda davvero sconcertante. Ci riferiamo ai 16 delegati Fiom degli stabilimenti di Melfi, Termoli, Cassino e Atessa del gruppo FCA che per il loro comportamento sono stati giudicati “incompatibili” e sospesi dal sindacato. Qual è la loro colpa? Aver partecipato a scioperi e iniziative contro gli straordinari comandati ogni sabato e contro i turni massacranti nonostante il parere contrario della FIOM. I dirigenti regionali di Molise e Basilicata si sono rivolti al Collegio statutario nazionale della Cgil per chiedere sanzioni contro questi delegati che puntualmente sono arrivate.
Il 7 marzo il comitato centrale della Fiom approvava quanto deliberato dal collegio. Praticamente non è consentita “la presenza in ruoli di direzione e rappresentanza di iscritte e iscritti che promuovono o aderiscono a forme associative sindacali o parasindacali in competizione con la rappresentatività generale alla quale tende la Cgil, ovvero promuovono azioni organizzate che di fronte alle controparti del sindacato rompono l’unita’ della Cgil come soggetto contrattuale”.
Tradotto più semplicemente vuol dire che gli iscritti alla Cgil non possono aderire a comitati di lotta che riuniscono altre organizzazioni e sigle sindacali non gradite. La colpa dei delegati è stata quella di lottare contro il modello Marchionne assieme a lavoratori iscritti a Cobas e Usb e aver promosso il “comitato intersindacale di lavoratori e delegati Fca (ex Fiat) del centro sud”. Una lotta che oltretutto ha ottenuto crescenti adesioni e risultati tanto che FCA è stata costretta ad assumere 110 persone per far fronte alla produzione. Invece di sostenere questi eroici e combattivi operai, la Fiat li scarica e li lascia alla mercé della rappresaglia aziendale della FCA.
Che le due vicende siano legate lo dimostra anche la nota della segreteria nazionale della Fiom del 22 marzo che accusa Il Sindacato è un'altra cosa di essere impegnata in una “vera e propria campagna di denigrazione dell’organizzazione” proprio in riferimento alla denuncia fatta dall'area sulla gravità delle conseguenze dell’applicazione della delibera del collegio statutario sui 16 iscritti alla Fiom degli stabilimenti di Termoli e Melfi.
Su entrambe le vicende si sono fatti sentire molte RSU, delegati e semplici lavoratori che da tutta Italia hanno espresso solidarietà ai protagonisti, chiedendo l'immediato ritiro dei provvedimenti contro Bellavita e i delegati FCA, una richiesta a cui ci uniamo anche noi marxisti-leninisti. Landini ha risposto con una nota della segreteria piena d'ipocrisia, dove si afferma: “rientrare nel proprio posto di lavoro dopo un esperienza sindacale è successo e succederà a tante persone” in riferimento al licenziamento di Bellavita. Ma quando mai! Questa dovrebbe essere la regola, ma quando si è visto un dirigente nazionale rispedito a lavorare, a meno che questi non fosse indesiderato?
Così come è ipocrita giudicare incompatibile l'adesione alla Fiom e allo stesso tempo far parte di comitati di lotta di lavoratori o semplici cittadini. Ma non era proprio Landini che con la sua Coalizione sociale proponeva un “agire condiviso tra soggetti diversi”, un luogo di condivisione delle iniziative che doveva coinvolgere la Fiom in prima persona? Landini si è dimostrato un segretario dalla doppia faccia, una specie di dottor Jekyll e signor Hyde, che rivendica per sé e per la sua categoria autonomia, possibilità di dissentire dalla Camusso e dai suoi metodi coercitivi e autoritari, metodi che poi pratica lui stesso nella Fiom facendo fuori chi si oppone alla sua linea.
Una linea che in pochi anni ha subito una metamorfosi. La Fiom ha rappresentato la punta avanzata dell'opposizione al modello Marchionne imposto per la prima volta a Pomigliano, a difesa del contratto nazionale, contro gli accordi aziendali che miravano a far perdere salario e diritti. Adesso invece è saldamente al tavolo delle trattative per il rinnovo del contratto nazionale di categoria con Fim, Uilm e con Federmeccanica. Un negoziato che va oltre la parte salariale, decisivo per il futuro del modello contrattuale stesso, dopo che le imprese aderenti a Confindustria hanno chiesto di trasferire la totalità degli aumenti sul versante delle intese aziendali e di introdurre un salario minimo di garanzia. Progetto che non a caso piace anche al governo.
Nel frattempo ha accettato il testo unico sulla rappresentanza firmato dalla Cgil con gli altri sindacati confederali e Confindustria che rende quasi impossibili gli accordi separati mentre chi non firma rischia di vedere azzerata la propria agibilità sindacale e perfino il diritto a scioperare, ha fatto pace con la Camusso e ha perfino riabilitato Marchionne. “Nessuno nega che la Fiat, prima dell’arrivo di Sergio Marchionne, fosse a rischio di fallimento e oggi no. E nessuno vuole negare le qualità finanziarie del manager. Di tutto questo noi siamo contenti”, queste le parole pronunciate da Landini lo scorso 8 marzo.
Un Landini che è l'ombra di se stesso; è oramai sbiadita la sua immagine di leader sindacale carismatico dei lavoratori e delle masse di sinistra e progressiste ed è giustamente contestato da una parte degli stessi metalmeccanici. Dopo che il tentativo di creare una formazione politica riformista alla sinistra del PD sembra oramai tramontato, con il sostanziale flop di Coalizione sociale, adesso è tutto concentrato sulla scalata al comando della Cgil, e tutte le mosse del leader Fiom sono in funzione della successione alla segreteria generale, in programma tra due anni.
11 maggio 2016