Tramite i pennivendoli Bernardo Valli e Gabriele Battaglia
“Il venerdì di repubblica”, avanguardia anticomunista, vomita veleno contro la rivoluzione culturale proletaria
L'imminente 50° Anniversario della Rivoluzione culturale proletaria cinese, che cade il 16 maggio, è stato colto al volo da “Il Venerdì di Repubblica”, non certo animato dal desiderio di fare chiarezza in modo imparziale, bensì per attaccarla, demonizzarla e coprirla di falsità, veicolando una versione dei fatti che fa comodo alla borghesia e agli sfruttatori di ieri e di oggi.
Sul numero del 6 maggio ha pubblicato una “testimonianza”, raccolta da Gabriele Battaglia, di un ex guardia rossa, per presentare la Rivoluzione culturale come un periodo durante il quale tutti vivevano nel terrore e potevano essere attaccati e deportati senza motivo. Non è certo la storia di un'autentica Guardia rossa impegnata a fare la rivoluzione, ma, come ammette il diretto interessato, di un giovane annoiato che approfittava della situazione per darsi al divertimento e a distruzioni insensate, come facevano gli “ultrasinistri”, i rampolli dei quadri revisionisti di destra e gli eredi dei proprietari terrieri rovesciati per creare scompiglio e far affondare la Rivoluzione culturale nella palude del fazionismo e delle lotte personali. Questa tendenza erronea fu duramente criticata da Mao e dai marxisti-leninisti nel Partito comunista cinese e sostanzialmente corretta fra il 1967 e il 1968, ma l'autore dell'articolo si guarda bene dal precisarlo.
Il picco delle falsità è raggiunto però dal secondo articolo, a firma dell'anticomunista Bernando Valli, arruolatosi in gioventù per cinque anni nella Legione straniera francese. Quest'ultimo, addirittura pasticciando la cronologia della Rivoluzione culturale, prende alcuni eccessi avvenuti allora (inevitabili in un movimento così complesso e senza precedenti nella storia) e li presenta come la linea ufficiale di Mao, quando in realtà quest'ultimo non mancò di criticarli. Distorcendo ulteriormente i fatti, Valli descrive la Rivoluzione culturale come “un'autentica manovra di potere, che fece milioni di morti” e “l'estrema iniziativa per contenere e annientare l'opposizione provocata dal clamoroso fallimento del Grande Balzo”.
Al di là dei numeri decisamente pompati e fantasiosi sulle vittime, vedere la Rivoluzione culturale proletaria come una lotta di potere significa ignorare completamente che invece si trattò di una grande mobilitazione di massa in difesa del socialismo contro i dirigenti revisionisti, che spesso venivano costretti a misurarsi a viso aperto con assemblee di migliaia di persone; una mobilitazione durante la quale le masse sprigionarono creatività, entusiasmo e iniziativa, appropriandosi in via diretta della concezione proletaria del mondo. Del resto, confessa Valli, ammetterlo significherebbe presentare la Rivoluzione culturale come “qualcosa di simile a una democrazia diretta, reale o spontanea”. Ma l'obiettivo dell'operazione non è certo ristabilire la verità storica e ciò è ancora più meschino se si pensa che l'autore ha conosciuto e visitato la Cina di Mao.
Non una parola sulle ragioni reali che portarono alla Rivoluzione culturale che, nelle parole del suo ideatore e principale artefice Mao, “tocca l'uomo in quanto ha di più profondo e tende a risolvere il problema della sua concezione del mondo”.
Non una parola, dicevamo, sulla grande mobilitazione popolare per strappare ai revisionisti il potere che avevano usurpato. Non una parola sulle grandi invenzioni politiche di quegli anni, come i gruppi teorici e di critica operai e contadini, la riforma dell'istruzione con l'abolizione degli esami d'accesso alle università, le università operaie, i “medici scalzi”, giusto per citarne alcune. Non una parola nemmeno sul fatto che la Rivoluzione culturale per dieci anni tenne alla larga dal potere quei revisionisti che, diretti da Deng Xiaoping, hanno poi restaurato il capitalismo in Cina e gettato milioni di giovani cinesi nello sfruttamento spietato.
Insomma, siamo davanti a un'operazione mediatica strumentale che ha chiaramente l'obiettivo di dipingere il socialismo in generale e la Rivoluzione culturale cinese in particolare come orrori da non ripetere, presentando il capitalismo come assoluto e vincente, magari insieme ai suoi fautori di casa nostra come Renzi.
11 maggio 2016