L'Italia addestra le forze irachene che si preparano a riconquistare Mosul, capitale dell'IS
Quello italiano è il secondo contingente straniero in Iraq
Aumentano i rischi di rappresaglia nel nostro Paese
Quello dell'Italia in Iraq nella guerra allo Stato islamico è l'impegno militare più importante tra tutti i Paesi stranieri dopo gli Stati Uniti. Agli oltre 800 uomini già presenti in Iraq, Kurdistan e Kuwait, in funzione di ricognizione aerea e individuazione di obiettivi da bombardare e di addestramento a terra di truppe e forze di sicurezza curde e irachene, si stanno aggiungendo infatti altri 500 militari, appoggiati da mezzi blindati ed elicotteri da soccorso e da combattimento, il cui pieno dispiego sarà completato entro settembre, ufficialmente inviati per proteggere i lavori di riparazione e consolidamento della diga di Mosul, affidati dal governo iracheno alla ditta italiana Trevi di Cesena.
Come si vanta con orgoglio il sito del ministero della Difesa diretto dalla guerrafondaia Roberta Pinotti, dal giugno 2015 sono già 3000 i poliziotti iracheni addestrati dai circa 90 carabinieri della missione “Prima Parthica” di stanza a Camp Duplin, a Baghdad. Addestramento, come si capisce leggendo tra le righe, che non riguarda solo il mantenimento dell'ordine pubblico e il contrasto alla criminalità comune, ma anche e soprattutto vere e proprie azioni di guerra per il “recupero” e il controllo delle zone “liberate” dall'IS, come è avvenuto per esempio a Ramadi.
Lo stesso lavoro è svolto nella base di Erbil nel Kurdistan iracheno, da 200 militari italiani dell'esercito, tra cui 120 istruttori, inquadrati nella Task force Erbil, costituita a gennaio 2015, nel quadro della missione militare europea a guida tedesca, a cui partecipano anche contingenti di Gran Bretagna, Olanda, Finlandia, Norvegia e Ungheria. In questo caso l'addestramento è dichiaratamente di guerra, consistendo nel preparare le truppe peshmerga alle tecniche di base di fanteria, all'uso di armi controcarro, di mortai e di artiglieria, e a corsi per tiratori scelti, per disinnesco di ordigni improvvisati e per interventi di primo soccorso.
Inoltre sia a Baghdad che a Kirkuk sono presenti uomini delle forze speciali (appartenenti a tutte le forze armate), che addestrano rispettivamente i militari iracheni del Counter terrorism service e le forze speciali di sicurezza curde. Nell'ultimo anno, dall'avvio di “Prima Parthica”, i militari curdi formati dal personale italiano sono stati 4300 su un totale di 8000 addestrati dall'intera coalizione.
Si prepara l'assalto a Mosul
Adesso, nel silenzio pressoché assoluto della stampa di regime (a parte alcuni articoli del megafono ufficioso di Renzi, La Repubblica
, che evidentemente gode di qualche corsia preferenziale per il suo inviato sul posto), stanno cominciando ad arrivare le prime truppe a presidiare il cantiere per la diga di Mosul, distante dalle prime postazioni dei combattenti dell'IS solo una quindicina di chilometri. Tutto fa pensare quindi che si stia preparando un assalto della coalizione imperialista alla città capitale dello Stato islamico in Iraq, e che le truppe italiane inviate col pretesto della protezione della diga debbano essere tra gli attori principali della riconquista della città.
Lo stesso inviato di Repubblica
ha raccolto infatti voci molto scettiche tra il personale curdo e iracheno che si occupa della diga circa il presunto stato di degrado delle sue strutture, così come sulla presunta portata catastrofica, per il territorio e la stessa Baghdad, che avrebbe un suo eventuale crollo. Del resto giudicato alquanto improbabile, visto che il livello dell'acqua è mantenuto piuttosto basso. E il fatto stesso che siano stati gli americani ad insistere affinché l'Italia si assumesse questo compito, pur conservando per se stessi la direzione dei lavori, alimenta il sospetto, se non la certezza, che abbiano voluto lì i rinforzi italiani (facendo inoltrare la richiesta attraverso il governo fantoccio iracheno) in appoggio all'imminente offensiva militare contro Mosul.
“E la struttura della presenza complessiva su terra irachena, con l'apparato di Personell Recovery che schiera elicotteri da trasporto e AH-129 'Mangusta' da attacco, la disponibilità di assetti di artiglieria e di aerei facilmente convertibili, fanno capire che il contingente italiano vuole essere pronto a ogni possibile scenario”, ammette infatti anche l'inviato di Repubblica
. Del resto anche la pronta visita della guerrafondaia Pinotti alla base italiana in allestimento presso la diga, dove il 10 maggio ha passato i rassegna le truppe, suona come una conferma che il vero scopo della missione è tutt'altro che “pacifico” e limitato alla protezione del cantiere della Trevi.
“La missione che state svolgendo con grande competenza, professionalità e umanità – ha detto la ministra alle truppe ad Erbil - è fondamentale per la sicurezza dell’Iraq e del nostro Paese. Sconfiggere il terrorismo deve essere un obiettivo prioritario della comunità internazionale. Grazie perché con il vostro lavoro tenete alto l’onore dell’Italia”. E in un'intervista all'aeroporto di Baghdad, ricordando che in Iraq abbiamo ormai il secondo contingente per numero di militari dopo gli Usa, ha sottolineato che quello in Iraq “è l'impegno più importante dell'Italia nel mondo. E non è frutto del caso. E' frutto di una scelta. Come ministro della Difesa ho chiesto al governo e poi al parlamento che l'impegno dell'Italia contro l'Isis fosse il massimo”.
L'Italia di Renzi e Pinotti in prima fila contro l'IS
Dunque l'ex educatrice degli scout, ex “pacifista” ed ex no-global, Roberta Pinotti, conferma in pratica che l'Italia non è “per caso” la seconda forza militare straniera in Iraq, e non sta lì solo per “addestrare”, “sorvegliare”, “proteggere” ed altri compiti simili da forza di retrovia, ma sta lì per una scelta precisa quanto non espressamente dichiarata, quella di combattere militarmente lo Stato islamico, con tutti i rischi e le conseguenze che questa guerra comporta. E non ci riferiamo ai militari, che sono mercenari e perciò pagati profumatamente per questo, ma alle popolazioni civili. A quella irachena prima di tutto, ma anche a quella italiana, passando sopra la cui testa il governo del nuovo duce Renzi, con la complicità e l'acquiescenza del parlamento nero, ha deciso questa escalation interventista in Iraq esponendo il nostro Paese alle inevitabili rappresaglie terroristiche dei militanti dell'IS.
E' significativo che lo stesso procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, abbia lanciato di recente un allarme avvertendo che con l'evoluzione della guerra sul campo “l'Isis chiede ai foreign fighters di non andare in Siria e di colpire da noi”. Tesi che la guerrafondaia Pinotti si è affrettata a smentire farfugliando in un'intervista a Sky Tg24 che “le due cose non sono in relazione”, cioè l'intensificazione dell'impegno militare italiano contro l'IS in Iraq e le minacce terroristiche in Europa e Italia.
Come al solito si cerca di far credere alla popolazione che gli attentati terroristici sono la causa e l'intensificazione dell'intervento militare contro l'IS ne è la conseguenza, mentre è vero esattamente il contrario. E questo per legittimare agli occhi della popolazione il vero motivo che si nasconde dietro la guerra allo Stato islamico: soddisfare gli appetiti espansionisti dell'imperialismo italiano verso la regione mediorientale e partecipare alla spartizione delle sue ricche fonti energetiche.
18 maggio 2016