Golpe istituzionale in Brasile
Il senato ha sospeso la presidente Dilma Roussef accusata di irregolarità fiscali. La “sinistra” borghese paga gli errori governativi e quelle del Partito dei lavoratori
Il 12 maggio la presidente brasiliana Dilma Rousseff ha lasciato il palazzo presidenziale di Planalto subito dopo il voto del Senato che con una maggioranza di 55 voti contro 22 si era espresso a favore della sua sospensione dalla carica per 180 giorni. L'impeachement della presidente si basa sulla presunta irregolarità di alcune manovre fiscali con cui il suo governo avrebbe coperto buchi nel bilancio tra 2014 e 2015 con prestiti anticipati della banca nazionale.
Nei prossimi sei mesi una speciale commissione del Senato analizzerà l'accusa e proporrà il verdetto definitivo che dovrà essere sostenuto dalla maggioranza dei due terzi dell'assemblea, ovvero di almeno 54 senatori, un numero già superato nel voto del 12 maggio.
La destituzione definitiva della Roussef nel prossimo novembre sancirebbe la fine formale dei 13 anni di leadership del Partito dei Lavoratori (Pt), iniziata nel 2003 con l'elezione alla presidenza di Inacio Lula De Silva; dal 12 maggio il Pt è già passato all'opposizione del nuovo governo di destra, un governo ad interim subito insediato e guidato dal vice presidente Michel Temer, leader del Partito del movimento democratico (Pmdb) e ex alleato fondamentale di governo che potrebbe restare in carica fino al 31 dicembre 2018, a completare il mandato presidenziale.
La “sinistra” borghese paga gli errori governativi e quelle del Partito dei lavoratori che hanno comunque favorito i capitalisti brasiliani e portato il paese a avere un ruolo imperialista di prima fila tra quelli emergenti, il gruppo dei Brics. Hanno preparato la caduta del governo della "sinistra" borghese gli effetti della crisi economica ricaduti sulle masse popolari, anche se il governo ha cercato di nasconderli dietro il sipario dei mondiali di calcio o delle prossime Olimpiadi; il "tradimento" delle promesse fatte da Rousseff in campagna elettorale e soprattutto il dilagare di una corruzione ai masimi livelli istituzionali e politici. Per esempio al momento sono inquisiti il 58% dei senatori che hanno votato l'impeachement. Ma l'emblema del sistema corruttivo brasiliano sta nel caso Petrobras, l'ente petrolifero di Stato, che ha investito anche l'ex presidente Lula e il Pt per vicende iniziate quando a dirigerlo c'era l'allora economista Dilma Roussef che da presidente lo voleva proteggere affrendogli un posto importante nel governo.
L'apertura dell'indagine su Lula del marzo scorso con l'accusa di riciclaggio di denaro, corruzione e sospetto occultamento di beni a vantaggio personale, del Pt e del suo governo andava di pari passo con l'uscita dal governo della Roussef del Pmdb di Temer, fondamentale nella coalizione che teneva in piedi l'esecutivo e nel successo della presidente nelle elezioni del 2010 e del 2014. Il Pt dichiarava di voler cambiare politica e tornare di nuovo a guardare verso i movimenti alla sua sinistra, che nel tempo lo avevano mollato delusi dalle promesse non mantenute, promettendo un cambio di programma qualora vi fosse stato un nuovo gabinetto guidato da Lula da Silva; una nuova promessa che non aveva il tempo di essere verificata col Pmdb che si univa all'opposizione e determinava la sospensione della presidente.
Il via all'impeachement della Roussef era dato lo scorso 3 dicembre dal presidente della Camera dei deputati, Eduardo Cunha del Pmdb, che allora a sorpresa autorizzava l'apertura di un procedimento sulla base di una richiesta presentata da parlamentari dell'opposizione che richiamava tra le altre la bocciatura da parte della Corte dei conti federali (Tcu) del bilancio dello Stato del 2014. Il Pmdb preparava il suo passaggio all'opposizione e il 17 aprile contribuiva alla Camera dei deputati a far passare la sospensione con una maggioranza schiacciante, 367 sì, 137 no, 7 astenuti.
Si tratta di "un golpe mascherato con pretesti legali", si difendeva la presidente con i suoi avvocati che sottolineavano come tali operazioni di copertura dei buchi di bilancio, pur non legali, fossero stati applicati in passato da altri presidenti. Suo malgrado si trovava comunque in "buona" compagnia; con l'ex vice Temer corresponsabile dei giochi sul bilancio statale; col presidente della Camera Eduardo Cunha indagato dai giudici dello scandalo Petrobras dopo la scoperta di conti segreti milionari nascosti in Svizzera e in altri paradisi fiscali; con Aecio Neves, leader del partito socialdemocratico (Psdb) e concorrente presidenziale sconfitto da Dilma nel 2014, sospettato di corruzione sempre nell'ambito dello scandalo Petrobras.
18 maggio 2016