Addestrare le forze del governo fantoccio libico è come partecipare alla guerra all'IS
Soldati italiani sono già operativi sul territorio contro l'IS
Gli Usa appoggiano il ruolo dell'Italia in Libia
Nessun intervento straniero in Libia, ma solo addestramento militare della costituenda guardia presidenziale, primo nucleo del nuovo esercito libico, e fine dell'embargo sulla fornitura di armi al governo di Tripoli: queste le richieste presentate dal premier libico Fayez al-Serraj al vertice della coalizione anti-Daesh del 16 maggio a Vienna, che le ha sostanzialmente accolte. Il vertice, a cui hanno partecipato i rappresentanti di 20 Paesi, oltre a Onu, Ue ed Unione africana, era stato convocato dal segretario di Stato americano John Kerry e dal ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, in prosecuzione della precedente conferenza di Roma del dicembre scorso sulla lotta allo Stato islamico, e in particolare per fare il punto sulla situazione politico-militare in Libia e sul ritardato riconoscimento del governo di accordo nazionale (Gna) di al-Serraj, creato a tavolino e insediato dall'Onu il 30 marzo a Tripoli, ma non ancora riconosciuto dal parlamento di Tobruk a causa del sabotaggio, se non dell'aperta ostilità, del generale filoegiziano Khalifa Haftar, sostenuto anche da Francia, Gran Bretagna ed Emirati Arabi.
Lo scopo del summit era dunque quello di confermare l'appoggio al governo Serraj e rafforzare la sua “legittimazione” internazionale, per poter procedere con i piani di intervento militare al suolo contro lo Stato islamico, nonostante lo stallo sul riconoscimento del governo di Tripoli da parte di tutte le fazioni libiche e stante il fatto che tale intervento, per essere “legale”, dovrebbe essere “richiesto” dagli stessi libici. Per aggirare l'ostacolo rappresentato da Haftar, che si rifiuta di riconoscere il Gna e con la sua offensiva per cacciare l'IS da Sirte punta anzi, con l'appoggio degli alleati egiziani, arabi e anglo-francesi, a impossessarsi della Cirenaica ricca di pozzi di petrolio, Serraj è costretto per il momento a chiedere non un intervento militare diretto, che sarebbe considerato un'invasione da Haftar e dalle altre fazioni che ancora non lo riconoscono, ma un intervento mascherato appunto da “addestramento” del suo costruendo esercito personale da parte delle potenze straniere che lo hanno insediato e lo sostengono.
E queste ultime stanno al suo gioco e lo coprono, accettando la farsa dell'intervento “indiretto”, attraverso l'invio di militari “addestratori” e rifornendo di armi i pretoriani che lo sostengono nella guerra all'IS: “Appoggeremo il Consiglio di presidenza e cercheremo di revocare l'embargo e fornire gli strumenti per contrattaccare Daesh”, ha detto Kerry alla conferenza stampa congiunta con Gentiloni. “E' imperativo – ha aggiunto il ministro degli Esteri Usa – che la comunità internazionale sostenga il governo Serraj, che è l'unico legittimo della Libia e ora deve iniziare a lavorare”.
Gentiloni ha dichiarato a sua volta che “cercheremo di rafforzare l'accordo politico, per combattere contro l'Isis, incluso il generale Haftar, ma serve un riconoscimento pieno”, sottolineando che “Il messaggio del nostro incontro è un messaggio politico perché stiamo sostenendo le recenti decisioni del governo di accordo nazionale. Prima di tutto: la costituzione di una guardia presidenziale che sosterremo e di un comando congiunto per combattere l'Isis”. “La Comunità internazionale – ha poi concluso il titolare della Farnesina - darà il suo sostegno al Consiglio presidenziale che chiede di togliere l'embargo delle Nazioni Unite sulle armi e le munizioni affinché il governo possa combattere l'Isis e gli altri gruppi terroristi”.
Si sta adottando dunque per la Libia la stessa strategia usata dal governo italiano per l'intervento contro l'IS in Iraq, dove le truppe italiane mascherano la loro partecipazione attiva alla guerra allo Stato islamico dietro il paravento dell'addestramento delle forze di sicurezza e militari irachene e dei reparti curdi, mentre in realtà ci si sta preparando per lo scontro diretto con le milizie del Califfato intorno alla sua capitale irachena, Mosul. E tuttavia, secondo fonti libiche confermate da fonti governative italiane, una quarantina di soldati dell'Esercito e della Marina affiancano da settimane i servizi segreti in Cirenaica e a Misurata, nella base aerea di Benina vicino a Bengasi, una base e uno dei comandi principali del generale Haftar. Dunque sono schierate operativamente, al fianco delle forze speciali francesi, americane e britanniche, nella battaglia che costui sta conducendo per riconquistare Bengasi e strapparla all'IS.
Né il fantoccio Serraj, né il nuovo duce Renzi hanno interesse in questo momento ad un intervento militare conclamato dell'Italia sul suolo libico: il primo perché è ancora troppo debole e non riconosciuto da tutti, e non vuole smascherarsi come lacché di potenze straniere; il secondo perché sta monitorando le operazioni e le manovre delle altre forze militari imperialiste presenti in Libia e l'azione delle diverse milizie libiche e dei loro manovratori stranieri mentre si riserva di farlo più ufficialmente dopo la campagna elettorale e grazie a un'adeguata copertura diplomatica internazionale. Perciò, dopo aver sondato il terreno dopo il G5 di Hannover, ventilando di essere pronti all'invio di un contingente di 900 uomini (subito smentito alle prime reazioni negative), il governo italiano e il ministero della Difesa non avevano invece smentito la notizia dell'invio di un contingente di 250 uomini, appoggiato da blindati leggeri, con il compito di proteggere la sede dell'Onu a Tripoli e addestrare i primi reparti del nuovo esercito libico.
Col vertice di Vienna e l'accoglimento delle richieste di Serraj, questo scenario è stato sostanzialmente confermato dallo stesso Gentiloni, con l'unica differenza che le truppe italiane saranno formalmente inviate per addestrare i militari libici e proteggere l'ambasciata italiana, mentre la sede e le istituzioni dell'Onu saranno controllate dalla forza multinazionale di cui l'Italia farà parte. Ma sta di fatto che addestrare le forze del governo fantoccio libico è a tutti gli effetti come partecipare alla guerra all'IS, con tutte le nefaste conseguenze per il rischio attentati terroristici che ne deriverebbe per il nostro Paese.
A maggior ragione perché di questa coalizione militare l'Italia ne avrebbe addirittura la guida, pur se questo ruolo non è stato ancora ufficializzato. Tant'è vero che anche di recente esso è stato riaccreditato autorevolmente nientemeno che dal capo degli stati maggiori riuniti della Difesa americana, Joseph Dunford, il quale ha riconfermato in un'intervista al Washington Post
del 20 maggio che “in Libia ci sarà una missione a lungo termine”, che il governo Serraj farà richiesta in tal senso e che tale missione potrebbe essere ancora guidata dall'Italia. Il governo italiano, ha spiegato Dunford precisando di averne parlato a Bruxelles col suo omologo italiano, il generale Claudio Graziano, ha solo posto delle “condizioni”, come l'identificazione di quali forze dovrebbe addestrare in Libia e la copertura internazionale dell'Onu: “Se tali condizioni saranno accolte – ha concluso Dunford – gli italiani hanno indicato di essere ancora disponibili”.
25 maggio 2016