Il 7° Congresso del partito dei lavoratori di Corea celebra il potere assoluto di Kim Jong-un
Dal marxismo-leninismo al Kimilsungismo-Kimjongilismo. Proclamata la RPD di Corea paese nucleare. Riaffermato l'impegno a riunificare la Corea e a combattere l'imperialismo americano
Dal 6 al 9 maggio si è tenuto a Pyongyang il 7° Congresso del Partito dei Lavoratori della Corea (PLC), e l'attuale primo segretario e leader indiscusso della Repubblica Popolare Democratica di Corea (RPDC), Kim Jong-un, già primo segretario e capo supremo dell'Esercito popolare dal dicembre 2011, nonché primo presidente della Commissione nazionale di difesa, è stato eletto anche presidente del partito.
Non è facile capire il significato reale di questo avvenimento politico, quali cambiamenti avvenuti registri e quali eventi futuri preannunci, se vi siano delle contraddizioni e delle lotte interne, quali fazioni le rappresentino, e così via. Anche perché il Congresso si è tenuto a porte chiuse, senza giornalisti e senza invitati esteri, ma sono stati inviati solo messaggi di saluto e di congratulazioni personali a Kim Jong-un per la sua elezione a presidente del PLC da parte dei presidenti di alcuni partiti comunisti revisionisti e capi di Stato: tra cui Raul Castro, a nome del Partito Comunista di Cuba, Nguyen Phu Trong, a nome del Partito Comunista del Vietnam, e il presidente siriano Bashar al-Assad.
Era assente persino il Partito Comunista Cinese: pur essendo la Cina il maggiore alleato tradizionale della RPDC, stavolta si è limitata infatti ad inviare un messaggio di congratulazioni personali a Kim Jong-un da parte del segretario generale del PCC, Xi Jinping (che non si è mai recato in visita nella RPDC), nel quale non si va oltre la riaffermazione delle consuete formule diplomatiche sulla tradizionale amicizia sino-coreana e sui comuni interessi per assicurare la pace, la stabilità e lo sviluppo nella regione.
Neanche sulla composizione dei delegati si sa molto, eccetto che erano 3467 con diritto di voto, di cui circa la metà “delegati dei funzionari di partito e dei lavoratori politici”, 719 delegati dei “militari”, 423 delegati dei “funzionari statali amministrativi ed economici”, 112 delegati dei “funzionari nei settori della scienza, istruzione, pubblica salute, cultura, arte e mass media”, e solo un migliaio i delegati provenienti dalla “base del partito” dalle “organizzazioni popolari”: cioè più di due terzi appartenenti all'apparato politico-burocratico del partito e dell'amministrazione statale, mentre operai e contadini non sono neanche nominati, e oltretutto le donne erano solo una piccola minoranza, 315 in tutto.
36 anni di buio
A questo si aggiunga che il rapporto di Kim Jong-un non è stato reso pubblico, se non in pochi estratti disponibili, ed inoltre che erano ben 36 anni che nella RPDC, comunemente nota come Corea del Nord, non si teneva il congresso del PLC. L'ultimo era stato celebrato nel 1980 dal generale Kim Jong-il, morto nel 2011, padre dell'attuale leader coreano e figlio del fondatore della RPDC, Kim Il-sung, morto nel 1994. In quel 6° Congresso, quando Kim Jong-un non era ancora nato, fu stabilito che le assise nazionali del partito avrebbero dovuto tenersi ogni cinque anni, ma poi a questa decisione non fu mai dato seguito, né da parte del nonno, né da parte del figlio e del nipote.
A tutto questo enorme lasso di tempo, denso anche di grandi avvenimenti internazionali, Kim Jong-un ha appena fatto cenno nel suo rapporto, dicendo che “gli ultimi decenni dal VI Congresso del PLC sono stati caratterizzati da aspre lotte e gloriose vittorie del nostro partito e del popolo”, e che “nel periodo in esame la situazione della nostra rivoluzione era molto grave e complessa. In tempi duri senza precedenti, in cui il sistema socialista mondiale è crollato e le forze imperialiste concentrarono la loro offensiva antisocialista sulla nostra Repubblica, il nostro partito e il popolo furono costretti a combatterla con una sola mano”. Ma sotto la guida del presidente Kim Il-sung e del generale Kim Jong-il e delle loro rispettive linee guida del Juche
(autonomia) e del Songun
(forza militare), ha affermato il presidente nordcoreano, esercito e popolo coreani sono riusciti a riportare “orgogliose storiche vittorie, sventando i piani delle forze imperialiste per soffocare la Repubblica ad ogni passo e salvaguardare fino all'ultimo la bandiera rossa del socialismo e le conquiste della rivoluzione”.
Si allude quindi ad “aspre lotte” durate decenni, in un Paese accerchiato e sottoposto a un blocco imperialista, colpito anche da “gravi calamità naturali, che hanno portato disagi indicibili per l'economia e la vita delle persone”, al termine delle quali tuttavia “il socialismo (definito ripetutamente Juche) è stato difeso e salvaguardato, così come le “conquiste della rivoluzione”. Ma non sappiamo nulla di queste lotte, quanto sono costate, chi le ha combattute e contro chi, e su quali rispettive linee politiche. E non è nemmeno detto che queste contraddizioni e queste lotte non siano tuttora in corso, come si potrebbe desumere da un passaggio delle conclusioni finali di Kim Jong-un, in cui ha proclamato che “mi batterò imperterrito, offrendo me stesso senza rimpianti nella lotta sacra per accelerare la vittoria finale della causa della rivoluzione Juche
”, e che “mi impegno a rimanere fedele alla rivoluzione … in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo, anche se il mio corpo verrà fatto a pezzi e cadrò”.
L'ambiguità della posizione cinese
Segno evidente che l'unità del partito, dell'esercito e del popolo intorno al suo leader e alla linea dei suoi progenitori, che egli ha continuamente esaltato nel rapporto, non è poi così salda come vuol far credere. Anche perché bisogna vedere come si evolverà la posizione ambigua dei socialimperialisti cinesi nei suoi confronti, che negli ultimi tempi sembra stiano prendendo le distanze dalla sua politica di difesa basata sulla sperimentazione nucleare e i missili a lunga gittata, culminata con l'annuncio di aver fatto esplodere una bomba all'idrogeno nel gennaio 2016, il che ha portato a pesanti sanzioni da parte dell'Onu.
Kim ha comunque confermato la linea di autodifesa militare del Songun
basata sull'arma atomica, annunciando l'avvenuta trasformazione del Paese in “una potenza militare invincibile”. Ciò come deterrente verso gli imperialisti Usa, che costituiscono – ha detto - “il principale responsabile della divisione del Paese”, ammonendoli a “rinunciare ai tentativi di isolare e soffocare la RPDC per mezzo delle sanzioni e a cessare l'ingerenza nella soluzione dei problemi della penisola coreana”, estendendo tale ammonimento anche al Giappone. In caso contrario la RPDC è pronta “a por fine alle continue minacce atomiche statunitensi, “contrapponendo le proprie forze nazionali di contenimento nucleare, che assicurino la difesa della pace regionale e globale”.
Ma ha anche ribadito che “come uno Stato nucleare responsabile, la nostra Repubblica si impegna a non usare un'arma nucleare per prima, a meno che la sua sovranità non sia minacciata con armi nucleari da forze ostili aggressive. E come aveva già dichiarato, si impegna ad adempiere ai suoi obblighi per la non proliferazione nucleare e per la denuclearizzazione globale”. Oltre a ciò il PLC e il governo della RPDC si impegnano a “migliorare e normalizzare i rapporti con quei Paesi che rispettano la sovranità della Corea del Nord e si mostrano amichevoli verso di essa, anche se in passato le fossero stati ostili”. E in questo quadro Kim ha rilanciato la proposta della riunificazione nazionale del Paese su base federale.
C'è da capire anche se c'è del vero nelle voci che parlano di correnti nel PLC favorevoli ad una sia pur cauta liberalizzazione economica di tipo capitalistico sul modello cinese, e se è in atto uno scontro su questa contraddizione, incoraggiato magari dagli stessi socialimperialisti di Pechino, dato che Kim Jong-un è stato alquanto vago sui problemi economici, limitandosi ad esaltare i “grandi successi e balzi in avanti” in tutti i settori dell'economia nazionale, raggiunti a suo dire anche prima e in misura superiore del previsto, e annunciando il lancio di un piano quinquennale 2016-2020 per la modernizzazione del Paese a livello economico, scientifico e militare.
Tentativo di consolidare il potere
Quel che appare comunque chiaro è che lo scopo di questo Congresso non era certo quello di difendere, riaffermare e rafforzare la via socialista nella “rivoluzione” coreana, dato che il termine socialismo non è stato nemmeno pronunciato da Kim Jon-un, se non di sfuggita, sostituito invece di sana pianta dalle due rivoluzioni nazionaliste e militariste del Juche
e del Songun
. Così come non era certo quello, dopo il pur richiamato crollo mondiale dei regimi revisionisti, di riaffermare e rilanciare il marxismo-leninismo. Questo addirittura mai nominato, nemmeno di sfuggita, e rimpiazzato dal curioso (a dir poco) binomio nazionalista, se non addirittura nazional-dinastico, del Kimilsungismo-Kimjongilismo
, (Kim Il Sung- pensiero e Kim Jong-il pensiero, ndr) secondo la letterale definizione del pensiero dei suoi due progenitori ed “eterni leader” del PLC e della RPDC fornita da Kim Jong-un.
Lo scopo reale della celebrazione di questo 7° congresso, non poteva essere per Kim Jong-un che il tentativo di consolidare il suo potere assoluto di carattere dinastico, dandogli una parvenza di legittimazione politica popolare, in un momento in cui l'isolamento internazionale e le pesanti sanzioni fomentate dagli imperialismi americano e nipponico che si stanno intensificando, e l'allentamento del tradizionale sostegno della cricca socialimperialista di Pechino, rischiano di mettere una seria ipoteca sul futuro della sua leadership finora indiscussa.
Il fatto che a tal fine egli abbia utilizzato solo le forme e la terminologia esteriori di un partito marxista-leninista, come un guscio vuoto da cui è stato asportato tutto il vero contenuto ideologico per sostituirlo con la propria ideologia personale e monarchica, non deve ingannare ma dimostra che la sua è solo una delle tante varianti nazionali del revisionismo con cui la borghesia cerca di mantenersi al potere in un Paese che di socialista ha ormai solo il nome.
1 giugno 2016