Terzo rapporto Flai-Cgil su agromafie e caporalato: ai vecchi sistemi si affiancano nuove forme di sfruttamento
I voucher “legalizzano” il caporalato e il lavoro nero
In agricoltura sono definiti “caporali di carta” perché favoriscono il supersfruttamento e negano ogni diritto ai lavoratori: dall'assistenza malattia, al Tfr, agli “ammortizzatori sociali”
Caporalato, lavoro nero, lavoratori in semi schiavitù; siamo nel 2016 ma queste tipologie di sfruttamento sono tutt'ora praticate su milioni di persone, e non si pensi che tutto ciò debba essere relegato a Paesi dell'Africa, Asia e Sudamerica. Il terzo rapporto dell'Osservatorio Placido Rizzotto della Flai-Cgil (la categoria dei lavoratori del settore agricolo) su agromafie e caporalato evidenzia come il lavoro nero, affiancato dall'infiltrazione mafiosa nel settore, non solo è tutt'ora presente nel nostro Paese, ma è in continua espansione e non riguarda soltanto ristrette aree del nostro Meridione, ma è esteso su tutta la Penisola.
I dati Cgil sono impressionanti, a partire dalla crescita delle agromafie. Si calcola che ogni anno in Italia vengano mossi 17 miliardi di euro, questo è il giro d'affari dell'economia illegale e sommersa legata al settore agricolo. Contraffazione di prodotti a larga diffusione come pane, vino e formaggi, macellazioni fuori da qualsiasi controllo e pesca di frodo sono le attività che hanno registrato le maggiori irregolarità. Una spia dell’interesse delle mafie nel settore agricolo è testimoniata dal fatto che quasi la metà dei beni sequestrati o confiscati sono proprio terreni agricoli: 30.526 su 68.194. Ma la mafia non è inserita solo nella parte produttiva anzi, i settori che più la interessano sono quelli della logistica e del trasporto, del commercio all’ingrosso e al dettaglio, dei mercati ortofrutticoli. I mercati più grandi d'Italia come quelli di Fondi (Latina), Vittoria (Ragusa) Milano, sono gestiti direttamente da camorra, mafia, 'ndrangheta.
La mafia e il mercato del lavoro
Un altro terreno di conquista per la criminalità, mafiosa e non, è la gestione del mercato del lavoro. Dalle rilevazioni contenute nel rapporto in circa 80 distretti agricoli, indistintamente da Nord a Sud, si registrano gravi forme di sfruttamento e caporalato. Lo conferma anche uno studio dell’European House-Ambrosetti: in 33 distretti sono state riscontrate “condizioni di lavoro indecenti”, in 22 condizioni di lavoro “gravemente sfruttato”, negli altri si è accertata “solo” l’intermediazione illecita di manodopera.
Ad esser vittime del caporalato sono indistintamente italiani e immigrati: circa 430mila unità, e dunque circa 30-50mila in più rispetto a quanto stimato nel rapporto precedente, con più di 100mila lavoratori “in condizione di grave sfruttamento e vulnerabilità alloggiativa”. Difatti quando si tratta di migranti allo sfruttamento delle braccia si aggiunge la precarietà abitativa: si dorme e si vive in agglomerati di edifici fatiscenti o masserie sparse nelle campagne nei migliori dei casi o in veri e propri ghetti e baraccopoli come ne esistono a Rignano (Foggia), Rosarno (Reggio Calabria), Boreano (Potenza), nella Piana di Gioia Tauro (Calabria) e nell'Agro Pontino (Lazio). “Abitazioni” dove in quasi il 60% dei casi mancano l'acqua corrente e l'energia elettrica. Situazioni esplosive che, a ragione, causano scioperi e rivolte come già avvenuto a Castevolturno, Rosarno, Nardò e in provincia di Latina, a cui seguono spesso la “caccia al negro e allo straniero” che ha osato ribellarsi a queste condizioni di schiavitù.
Se i migranti quasi sempre subiscono un maggiore sfruttamento, in quanto figure più deboli e ricattabili, rispetto agli italiani, non si deve pensare che ciò riguardi solo gli stranieri. Lo sanno benissimo quei lavoratori, più spesso lavoratrici, del Sud Italia impiegati nella raccolta di olive e uva che da sempre sono costretti a subire il caporalato e il lavoro nero spesso e volentieri esercitato dalle mafie con il benestare degli imprenditori agricoli. Lo scorso agosto Paola Clemente, 49 anni di Andria, è morta di fatica nei campi della Puglia, lavorava 12 ore per 27 euro al giorno, il suo gruppo era composto da donne italiane.
Le centinaia di migliaia di lavoratori che vivono questo tipo di sfruttamento dovono scordarsi l'applicazione dei contratti, ricevere un salario tra i 22 e i 30 euro al giorno (la metà del dovuto), accollarsi giornate di lavoro tra le otto e le dodici ore, sottostare al cottimo esplicitamente escluso dalle norme di settore, fino ad alcune pratiche criminali: violenza, ricatto, sottrazione dei documenti, imposizione del trasporto (da parte degli stessi caporali), dell’alloggio, dei beni di prima necessità. Dalla miseria ricevuta si devono togliere 5 euro per il trasporto, 1-2 euro per una bottiglia d'acqua, altri soldi per antibiotici, antidolorifici e altri farmaci indispensabili per sopportare il durissimo lavoro imposto nei campi.
Caporalato e lavoro nero anche nel Centro-Nord
Un altro luogo comune da sfatare è pensare che tutto questo sia relegato al Sud. Oramai lavoro nero e caporalato si sono estesi al Centro e al Nord. Notizia di questi giorni è l'impiego di migranti nelle aziende vitivinicole del Chianti in Toscana. Centinaia di immigrati, soprattutto profughi dal Pakistan e dall'Africa subsahariana venivano sfruttati e sottopagati, 4 euro all'ora per almeno 12 ore, costretti a lavorare in ciabatte anche a gennaio o vessati con punizioni corporali. Casi simili erano già venuti alla luce in provincia di Grosseto. Le zone del Nord Italia in cui è molto diffuso il lavoro irregolare sono le regioni vinicole del Prosecco in Veneto, delle Langhe e del Monferrato in Piemonte, i distretti ortofrutticoli e gli allevamenti dell'Emilia, del Basso Mantovano e del Lodigiano in Lombardia.
Potremmo dire che quasi nulla è cambiato. Lavoro nero e caporalato hanno sempre la stessa faccia: fatica, supersfruttamento, mancanza di dignità del lavoratore, soprusi e, in molti casi, gestione mafiosa del mercato del lavoro.
A questo però si aggiunge un nuovo strumento, quello dei voucher
. Questa specie di mini assegno orario, invece di essere un mezzo per far emergere il lavoro nero come propagandato, si è rivelato l'esatto contrario: è servito per dare una parvenza di regolarità ad aziende che usano il nero per la maggior parte dei rapporti di lavoro. Il suo utilizzo coinvolge 1 milione e mezzo di persone, per metà donne e per un terzo giovani. Secondo i dati INPS nel 2015 esso ha raggiunto il numero di oltre 115 milioni, con un incremento del 66% sul 2014 del 182% sul 2013, con picchi nel Sud e nelle isole. Solo nel primo bimestre del 2016 l'aumento rispetto all'anno precedente è stato del 45%.
Difficile pensare che si tratti di lavoro occasionale, del resto sono stati gli stessi governi a estenderne l'uso. In principio solo per lavoretti domestici (come avviene in Francia), poi con la controriforma Fornero e infine con il Jobs Act è possibile utilizzare i buoni lavoro in tutti i settori di attività e per tutte le categorie di prestatori. Inoltre, è aumentato il limite del reddito cumulabile passato da 5.000 euro l’anno a 7.000 euro. “C’è un abuso acclarato in tutti i settori – afferma Luigi Sbarra della Fai-Cisl – e la tracciabilità annunciata dal ministro Poletti non è risolutiva. Il voucher è un 'caporale di carta' che colpisce le tutele, nega Tfr, assistenza, malattia e ammortizzatori sociali”.
Quindi sono una copertura per i padroni che in questo modo possono tranquillamente e legalmente fregarsene delle normative, dei diritti e dei salari stabiliti dai contratti nazionali di categoria, pagando 7,50 euro al lavoratore e 2,50 all'Inps per ogni ora. Ma questo avviene solo usandoli, diciamo così, correttamente perché il voucher
si può manipolare con facilità e diventa un formidabile sostegno al lavoro nero. Spesso gli assegni vengono consegnati a inizio giornata ma poi vengono ritirati a fine lavoro, oppure emessi per coprire poche ore quando invece il dipendente ne ha lavorate 12. Grazie al “tagliando” il titolare è al riparo da ispezioni e sanzioni in caso di infortunio e il trucco del dare e togliere si traduce in un pretesto, una licenza ad assumere in nero che elimina il rischio di essere scoperti.
Dietro i voucher
si cela la forma estrema del precariato, lasciando intatta la massa dell'economia sommersa.
8 giugno 2016