A causa dei tagli alla sanità e alla mancanza di soldi per curarsi
Cala l'aspettativa di vita
Abbiamo perso in questi ultimi quindici anni i diritti conquistati in quaranta
Ci si cura di meno, si muore di più
Cala l'aspettativa di vita in Italia, cioè la durata media prevista dell’esistenza. E' questo il dato principale del 13mo Rapporto dell'Osservatorio per la salute, presentato a fine aprile all'Università Cattolica di Roma. Il dato dell'aspettativa di vita per il 2015 si attesta 80,1 anni per gli uomini e 84,7 per le donne (dati Istat). Nel 2014 era di 80,3 anni per gli uomini e 85 per le donne. È la prima volta dal dopoguerra che in Italia si registra questa inversione di tendenza, indice delle gravi difficoltà materiali che le masse popolari si trovano ad affrontare negli ultimi anni.
Certamente, come suggeriscono alcuni analisti di dati, con l'aumento del numero degli anziani aumenta di conseguenza anche il numero dei decessi. Il 2015 è stato l'anno peggiore per la mortalità in Italia. Secondo le ultime stime ISTAT, nel 2015 in Italia sono morte 653.000 persone, il 9,1% in più rispetto al 2014. Il tasso di mortalità, cioè il numero di decessi ogni mille persone nate vive, è pari al 10,7 per mille, il che corrisponde, secondo l’istituto nazionale di statistica, “al più alto tra quelli misurati dal secondo dopoguerra in poi”.
Il fenomeno dell'aumento della mortalità tra gli anziani risulta evidente in tutte le regioni italiane. Ma la causa di questa mortalità in crescita è davvero l'aumento delle persone in età avanzata? Oppure, assumendo un'altra prospettiva di analisi, potremmo chiederci se i decessi concentrati nelle fasce più deboli della popolazione sono indice di qualche antipopolare decisione politica?
Il Rapporto dell'Osservatorio sulla salute fa intravedere alcune cause non “naturali”. Anzitutto, si può rilevare come le campagne di prevenzione e gli screening della popolazione funzionano poco o non partono del tutto in alcune regioni a causa dei tagli alla sanità pubblica. Di fatto, il Rapporto registra un aumento di incidenza dei tumori prevenibili, soprattutto al seno, al polmone e al colon retto. Siamo l’ultimo Paese come investimenti in prevenzione. La percentuale di spesa per la prevenzione prevista dal Piano Sanitario Nazionale è del 4,1%, ma sono poche le regioni che raggiungono tale livello perché mancano all'appello" 930 milioni di euro da dedicarvi. Dati che ci posizionano all'ultimo posto in Europa.
Questo è il primo risultato della tendenza, già denunciata dal PMLI e da “Il Bolscevico”, a eliminare i controlli generici e a limitare gli esami specifici, a controllare più rigidamente la somministrazione di test e vaccini.
Quella delle vaccinazioni sta diventando la nota dolente della “prevenzione”. In particolare la vaccinazione l’antinfluenzale per gli over 65 è scesa tra il 2003 e il 2015 dal 63,4% al 49%. Dato ben lontano dal 75%, considerato la soglia minima per una prevenzione efficace dal piano nazionale. Se si considera poi che gli anziani sono la fascia d'età più esposta a complicanze influenzali, possiamo anche facilmente spiegarci il perché di quelle 54.000 morti in più del 2015.
Ma le vaccinazioni diminuiscono anche in altre fasce d'età. Nel nostro Paese, i bambini vengono vaccinati meno contro la pertosse (-1,1%), morbillo, parotite, rosolia (-4 per cento). Gli adulti si vaccinano meno contro il meningococco (-2,5%).
E anche i Lea (livelli essenziali di assistenza) non sono applicati uniformemente in tutta Italia, a maggior ragione non lo sono nelle regioni meridionali. Ciò che emerge in particolar modo è il consolidamento delle discriminazioni su base territoriale. Nelle regioni del Sud, che hanno i finanziamenti pro capite più bassi per spesa sanitaria, c'è anche la speranza di vita minore. In Campania e in Sicilia si ha un’aspettativa di vita di quattro anni inferiore a quella del Trentino. "Siamo la Cenerentola del mondo -afferma Ricciardi, direttore dell'Osservatorio- abbiamo perso in quindici anni i vantaggi acquisiti in quaranta".
Decessi di origine “naturale” dunque? Certo che no. L'aumento della mortalità e la conseguente diminuzione della speranza di vita sono le concrete ricadute dei tagli sul Ssn. Il principale responsabile è il governo del nuovo duce Renzi, che sta portando avanti con un perfetto stile ducesco, la distruzione totale della sanità pubblica in Italia, tagliando un elenco interminabile di visite, test, esami e prestazioni medico-sanitarie che il SSN non dovrà più erogare. Le masse popolari non hanno potuto far altro che rinunciare a curarsi o, a prezzo di nuovi sacrifici, rivolgersi a pagamento alle cliniche private.
I sindacati a fronte della gravità della situazione, hanno mantenuto posizioni decisamente tiepide. Nessun sciopero generale è stato chiesto per invertire la tendenza alla demolizione della sanità pubblica in Italia. Cosa serve ancora per capire che il nuovo duce Renzi e il suo nero governo intendono cancellare la sanità pubblica a tutto vantaggio di quella privata?
15 giugno 2016