700mila al Gay Pride di Roma non si accontentano e rivendicano pari diritti
La manifestazione “antifascista, antisessista e antirazzista” sostiene anche le lotte dei precari, degli studenti, dei migranti e di tutti gli emarginati

 
È stato un successo oltre ogni previsione il Gay Pride di Roma, tenutosi nella capitale sabato 11 giugno con la partecipazione di circa 700mila persone, un numero che ha sbalordito persino gli stessi organizzatori, i quali avevano previsto circa 300mila manifestanti.
Bandiere arcobaleno, rosse e di numerose associazioni hanno colorato la manifestazione dell'orgoglio omosessuale e transessuale contro la discriminazione omofoba, insieme a striscioni e cartelli fra i quali spuntava: “Chiudere il Vaticano, Guantanamo mentale”. Una coppia di lesbiche ha messo in scena un matrimonio sulla scalinata di una chiesa in via Merulana, dove si erano appena celebrate delle nozze. Non c'erano soltanto le associazioni LGBT, ma anche i sindacati, come la CGIL e l'Usb, organizzazioni studentesche e altre associazioni fra cui l'Uaar (Unione atei e agnostici razionalisti), arricchendo così il già importante contenuto politico e sociale della manifestazione.
“Chi non si accontenta lotta”: questo era lo slogan del Pride di sabato, in un chiaro riferimento alla legge sulle unioni civili approvata il mese scorso. “Siamo passati da essere cittadini inesistenti a cittadini di serie B”, spiega infatti Sebastiano Seci, portavoce di Roma Pride. “Quello che noi continuiamo a chiedere sono matrimonio, riconoscimento dei figli dalla nascita e adozione”.
Le stesse posizioni per nulla soddisfatte della truffa sulle unioni civili, spacciata come “storica” da Renzi, sono contenute nell'importante Documento politico che, già in apertura, impronta il Roma Pride sui “principi dell'antifascismo, dell'antisessismo e dell'antirazzismo”. Quindi critica “una legge che, nel proporre un modello di approssimazione delle coppie omosessuali a quelle eterosessuali, riserva solo a queste ultime il privilegio di accedere al matrimonio, introducendo così di fatto un istituto segregante”. Sempre lo stesso Documento sostiene “la lotta di migranti, rifugiati e rifugiate”, denuncia il clima di “repressione ed esclusione” contro “realtà associative e di autogestione” romane da parte dell'amministrazione capitolina e propone di creare un'unità di lotta “con tutte le persone che subiscono gli effetti più duri di stigma, emarginazione, discriminazioni e violenza: donne, migranti, diversamente abili, lavoratrici e lavoratori vittime di precarietà e sfruttamento, Rom, non credenti, credenti di minoranze religiose, giovani e studenti”.
Non ci poteva essere una risposta migliore di questa combattiva e colorata piazza antifascista e anti-omofoba all'offensiva della destra reazionaria contro le unioni civili, ma anche per rivendicare pari diritti per le persone LGBT. Renzi, al quale è stato addirittura chiesto di sposare la prima coppia gay italiana, come al solito tace per non scontentare la sua ala destra cattolica e omofoba. Senz'altro, come afferma il Documento del CC del PMLI “I diritti e le battaglie LGBT, il matrimonio e la 'maternità surrogata'” (21 marzo 2016): “Noi incoraggiamo il movimento LGBT a continuare la sua battaglia fino in fondo, cioè fino a quando tutte le sue rivendicazioni non saranno state realizzate e alle coppie omosessuali saranno riconosciuti gli stessi diritti delle coppie eterosessuali, non uno di meno. Ce la farà, secondo noi, se si staccherà dai partiti del regime neofascista, se non demanderà le sue lotte al dibattito parlamentare e se non si accontenterà delle briciole lasciate dal governo e dalla Chiesa, ma continuerà a battersi e a trovare forme di lotta sempre più incisive e avanzate per portare avanti i propri obiettivi”.

15 giugno 2016