Lo certifica il rapporto Istat sulla "situazione del Paese"
Sempre più poveri i giovani italiani
Salgono dal 9,4 al 14,2% le famiglie senza lavoro. Il 62% dei giovani fino a 34 anni condannati a vivere in famiglia. Si allarga la forbice generazionale
La crisi, per i padroni, sarà anche finita nel 2015, come dicevano gongolando Renzi e Mattarella, ma le masse continuano a scontare il prezzo del salvataggio del capitalismo. Lo certifica il rapporto annuale dell'Istat su “La situazione del Paese”, che si riferisce al 2014-2015.
Il dato più allarmante è quello che vede un aumento delle famiglie con tutti i componenti senza lavoro al 14,2% (24,5% nel Mezzogiorno), rispetto al 9,4% del 2004, interessando ben 2 milioni di famiglie, con un'incidenza maggiore sulle famiglie giovani.
Per via di un sistema di welfare a brandelli, secondo l'Istat “uno dei meno efficaci” in Europa (peggio di noi solo la Grecia), queste famiglie non ricevono l'aiuto di cui avrebbero bisogno e ciò si ripercuote negativamente sui minori. La povertà relativa per i minori, infatti, è arrivata al 19%: stiamo parlando di una bambina o un bambino su 5 a cui è di fatto negata la possibilità di vivere la propria infanzia e gioventù con serenità. L'Istat denota che le condizioni dei giovani peggiorano anche rispetto a quelle dei più anziani, non certo perché questi ultimi sguazzino nell'oro, ma perché le nuove generazioni faticano a trovare lavoro e hanno paghe più basse.
Già questa è una prima forbice generazionale, di tipo sociale. La seconda è di tipo demografico: la natalità e conseguentemente la popolazione diminuiscono e si ha un anziano ogni 100 giovani con meno di 15 anni. Contestualmente, nel 2014 il 62,5% dei giovani fra i 18 e i 34 anni viveva ancora con i genitori. Naturalmente la stampa borghese si è lanciata alla carica contro i “bamboccioni” e la stessa Istat attribuisce il problema ai tradizionali “legami familiari 'forti'” dei Paesi mediterranei, ma è innegabile che l'assenza di lavoro stabile e di serie politiche di sostegno per i giovani tolgano ogni scelta a molti.
Anche perché l'Istat rileva ben 2,3 milioni di ragazze e ragazzi fra i 15 e i 29 anni che non studiano né lavorano, i cosiddetti “Neet” (dall'inglese “not in education, employment or training”), di cui 3 su 4 vorrebbero lavorare. Saranno tutti “choosy”, o forse le politiche in materia di lavoro di Renzi e predecessori hanno peggiorato drammaticamente l'occupazione giovanile, precarizzandola al massimo?
Peraltro lo stesso Rapporto annuale prevede “un miglioramento piuttosto moderno del grado di utilizzo dell'offerta di lavoro”; in altre parole, nel 2025 il tasso di occupazione potrebbe restare circa lo stesso del 2010, cioè pessimo.
C'è da aggiungere che, nel 2015, i giovani che sono riusciti a trovare lavoro dopo tre anni dalla laurea triennale erano al 72%, rispetto al 77,1% del 1991, ma c'è da chiedersi con che tipo di contratto. Il 12,5% dei laureati il lavoro non lo cercava nemmeno, certo per continuare a studiare, ma questo comprova nuovamente il fallimento del sistema del 3+2 che avrebbe dovuto assicurare una buona occupazione già dopo la laurea triennale e riservare gli ultimi due anni di magistrale alla specializzazione.
Ce n'è abbastanza per affermare che l'Italia di Renzi è un deserto di disoccupazione, povertà e sfruttamento per i giovani. I quali devono ribellarsi per cacciare il nuovo duce e il suo governo prima che possano fare altri danni.
22 giugno 2016