Risultato del Referendum
La Gran Bretagna esce dalla UE. Sì 51,9% No 48,1%. Durissimo colpo a alta finanza, banche e City
Cameron si è dimesso. I governanti europei prendono misure per evitare il tracollo della Unione e la fuga dei popoli da essa. Per Renzi l'Europa imperialista è "la nostra casa che va ristrutturata"
Indire il referendum anche in Italia

I popoli della Gran Bretagna hanno conseguito una grande vittoria contro l'UE imperialista votando per l'uscita dall'Unione. Questa vittoria storica costituisce un potente incoraggiamento per tutti i popoli dei paesi membri dell'UE per richiedere un analogo referendum.
I risultati del referendum del 23 giugno sono chiari e inappellabili: dei 46,5 milioni di elettori se ne sono recati alle urne oltre 33 milioni, il 72,2%. 17,4 milioni si sono espressi per il Sì contro i 16,1 milioni di consensi andati al No. Si tratta di un voto contro l'Europa della grande finanza e delle banche, un No all'Europa del grande capitale e non dei popoli.
Un voto generato da crescenti disuguaglianze, l'esclusione sociale, l'impoverimento, gli affitti da capogiro, le ferrovie privatizzate carissime e inefficienti, lo smantellamento del sistema sanitario nazionale, da tutti quegli effetti della politica applicata dal governo di Londra, in piena sintonia con quello di Bruxelles, che hanno caricato anche in Gran Bretagna il peso della crisi finanziaria e economica capitalistica sulle spalle delle masse popolari.
Il “divorzio” inizierà con la notifica dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona che recita: “ogni Stato membro può decidere di recedere dall’Unione conformemente alle proprie norme costituzionali". La procedura prevede la notifica della decisione al Consiglio europeo e da quel momento l'inizio del negoziato sull'accordo che definirà le modalità del ritiro. L’accordo dovrà essere approvato dal Consiglio Ue a maggioranza qualificata, previa approvazione del Parlamento. In mancanza di intesa, l’uscita diventerà comunque effettiva a due anni dalla notifica a meno che lo Stato interessato e il Consiglio europeo non concordino nel prorogare quel termine.
 
La mossa opportunista di Cameron
Il referendum sulla permanenza della Gran Bretagna nella Ue è entrato nel programma di Cameron, che fino al 2013 era contrario, quando i conservatori erano all'opposizione e vedevano sottrarsi l'elettorato anti Ue dalla crescita dell'Ukip di Farage che risultò il primo partito alle europee del 2014. La mossa è servita a Cameron per vincere le politiche del 2015 e a dover mantenere la promessa del referendum.
Lo scorso 22 febbraio Cameron si presentava alla Camera dei Comuni per illustrare la posizione del suo governo sull'accordo appena definito al vertice Ue di Bruxelles, che aveva concesso un “status speciale” alla Gran Bretagna per farla rimanere agganciata al sistema dell'euro e evitare la cosiddetta Brexit, l'uscita dalla Ue. “Ho negoziato un accordo per dare al Regno Unito uno speciale status nella Ue” esultava Cameron, “ora posso raccomandare di votare per la permanenza della Gran Bretagna nella Ue” nel referendum del 23 giugno.
Nell'occasione affermava che “lasciare l'Europa minaccerebbe la nostra sicurezza economica e nazionale”; la prima di una serie di motivazioni tra il minaccioso e il ricattatorio per sostenere il voto contro la Brexit che passavano dal "se uscissimo dall'Ue tornerebbe il rischio guerra" a "sarebbe una bomba economica", a "se lasciamo Ue pensioni a rischio". Riscuoteva l'appoggio da Obama ai leader della Ue, alle istituoni finanziarie imperialiste, col G7 che definiva la "Brexit una minaccia per l'economia mondiale". Un impressionante schieramento che non è servito.
Il 24 giugno Cameron prendeva atto del voto e annunciava le sue dimissioni; sarebbe rimasto a Downing Street altri tre mesi per dare il tempo alla formazione di un nuovo esecutivo che desse il via ai negoziati con l'Ue.
Il colpo all'Europa dei monopoli era parato con attestati di fedeltà da dichiarazioni come quella di Renzi: "l’Europa è la nostra casa, la casa nostra e dei nostri figli e nipoti. Lo diciamo oggi più che mai, convinti che la casa vada ristrutturata, forse rinfrescata: ma è la casa del nostro domani". E dipingeva l'Ue imperialista per quello che non è ricordando che "il mondo ha molto bisogno dell’Ue, di un’Europa del lavoro, del coraggio, della libertà, della democrazia. In un parola il mondo che verrà ha molto bisogno dell’umanesimo europeo".
Il vertice del direttorio Germania, Francia e Italia
“Italia, Germania e Francia sono i Paesi più popolati dell'Ue, inoltre siamo tre Paesi fondatori. Dal momento che la Gran Bretagna uscirà, è importante che l'Ue sia unita sulle responsabilità da prendere”, affermava il presidente francese François Hollande per giustificare l'ennesimo direttorio dei paesi più forti della Ue al termine dell'incontro di Berlino del 27 giugno con la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente del Consiglio Matteo Renzi. Stiamo uniti era il primo messaggio dell'incontro a tre che preparava il primo vertice europeo dopo il referendum che aveva sancito la decisione della Gran Bretagna di uscire dalla Ue col 51,9% dei voti contro il 48,1%. L'incontro a dire la verità era stato preparato una settimana prima a due sull'asse Berlino-Parigi ma la cancelliera ha invitato anche Renzi, dato l'esito del voto e con un Hollande indebolito dalla rivolta contro la Loi Travail, cioè la legge del lavoro (il Jobs Act in salsa francese).
Renzi con la consueta faccia di bronzo sosteneva tra l'altro che “l'Unione europea non ha un direttorio”, ma era come di consueto la Merkel a illustrare la linea concordata nel direttorio e da portare al vertice Ue del 28 e 29 giugno a Bruxelles.
“Per avviare i negoziati – affermava la cancelliera - serve la richiesta ufficiale del Regno Unito. A settembre ci rivedremo per poter parlare delle misure concrete. Dovremo procedere nel modo più rapido possibile per la procedura di uscita”, e al fine di “evitare ogni movimento centrifugo nella Ue, fare una proposta concreta agli stati membri circa le misure concrete da prendere nei prossimi mesi”. La Merkel scandiva i tempi del negoziato con Londra e delineava i contenuti delle misure che i governanti europei dovranno prendere per evitare il tracollo dell'Unione e la fuga dei popoli da essa.
Il premier britannico David Cameron dopo le sue dimissioni aveva annunciato che il 28 giugno non avrebbe chiesto l'attivazione dell'articolo 50 del Trattato di Lisbona per uscire dall'Unione Europa e dare il via formale al negoziato, compito che lasciava al nuovo esecutivo che entrerà in carica a ottobre; la Merkel accorciava i tempi indicando settembre come momento di avvio del negoziato.
Ma non è tanto il crollo momentaneo delle borse, per un evento tra l'altro non certo imprevisto, che preoccupa i principali paesi imperialisti europei quanto il durissimo colpo assestato dall'elettorato alla Ue dell'alta finanza, delle banche e della City. Un esempio di come la pensano i popoli della Ue quando gli viene data la possibilità di farlo, un segnale chiaro contro l'Unione europea imperialista e la sua politica neoliberista e affamatrice. Questo è il sostanziale significato del referendum nonostante l'affanno dei delusi cantori dell'Unione europea imperialista nell'evidenziare oltremisura il contributo che pure c'è stato da parte dei partiti e delle posizioni ultranazionaliste, razziste e xenofobe per una uscita da destra dalla Ue. Come quelle cavalcate dal conservatore Boris Johnson ex sindaco di Londra, “convertito” da non molto al no alla Ue anche per fare le scarpe a Cameron, o l'Ukip del reazionario Nigel Farage, alleato di Grillo e del M5S, che anche nei momenti migliori, vedi le elezioni europee del 2014, è rimasta attorno al 10% dell'elettorato, cioè sui 4 milioni di voti.
Il direttorio riunito il 27 giugno a Berlino delineava il possibile percorso per la costruzione di una unità europea a più velocità, per tenere insieme i cosiddetti euroscettici che vogliono mantenere una certa autonomia degli Stati nazionali, come la Polonia, con quelli che vogliono procedere più speditamente verso una maggiore integrazione economica e militare approfittando tra l'altro del fatto che non ci saranno più i veti di Londra.
I capi della diplomazia dei sei Paesi fondatori dell'Ue (Italia, Germania, Francia, Olanda, Lussemburgo e Belgio) si erano riuniti il 25 giugno a Berlino e indicavano che la Gran Bretagna deve richiedere "al più presto possibile" l'attivazione dell'articolo 50. Mentre a Bruxelles nominavano subito Didier Seeuws, diplomatico belga, ex capo di gabinetto dell'ex presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy fino alla fine del 2014 negoziatore capo della cosiddetta Brexit Task Force del Consiglio dei ministri Ue per il processo di uscita della Gran Bretagna dalla Ue. Indire il referendum anche in Italia
Ci sarebbero i veti dei popoli, come quello espresso in Gran Bretagna o come quello espresso dalla diserzione delle urne per l'elezione dell'europarlamento nel 2014. Ci vorrebbe un referendum anche negli altri paesi. A partire dall'Italia, nonostante la Costituzione vigente non preveda la consultazione popolare per la ratifica dei Trattati internazionali, allora fu ritenuto meglio non fornire strumenti alle masse popolari che potevano far saltare l'alleanza col fronte imperialista occidentale. Un referendum per restare o uscire dalla Ue, non certo per quello parziale e fuorviante per uscire dall'euro rilanciato opportunisticamente adesso dal M5S, che però, tramite Di Maio e Di Battista, ha confermato che non chiede che l'Italia esca dall'Unione.
Nella campagna elettorale astensionista per le elezioni dell'europarlamento del 25 maggio 2014 il PMLI sottolineava che “occorre battersi per la totale sovranità e indipendenza nazionale dall’Ue. Solo questo creerebbe migliori condizioni per lo sviluppo della lotta di classe contro il capitalismo, per il socialismo e per la conquista del potere politico da parte del proletariato.
I marxisti-leninisti italiani non sono nazionalisti, bensì internazionalisti. Come ha detto Lenin, il 28 dicembre 1919, 'Aspiriamo alla stretta alleanza e alla fusione completa degli operai e dei contadini di tutte le nazioni del mondo in una unica repubblica sovietica mondiale' . Ma per arrivare a questo bisogna distruggere in tutti i paesi il capitalismo e il suo Stato borghese, compresa l’Ue, che anche se fosse riformabile continuerebbe a sfruttare e opprimere i popoli, a essere razzista e antimigranti e a fare unicamente gli interessi dei monopoli e della borghesia”.

29 giugno 2016