Riguarda il più grande produttore mondiale di calzature
Supersfruttamento selvaggio nei calzaturifici della Cina capitalista
Negazione sistematica dei diritti sindacali, salari da fame, licenziamenti e maltrattamenti
Il più grande produttore mondiale di calzature è la Cina capitalista, con quasi 16 miliardi di paia di scarpe secondo l'ultimo dato disponibile relativo al 2014. Sempre la Cina è tra i maggiori consumatori al mondo con 3,65 miliardi di paia contro i 2,8 della Ue e i 2,3 degli Usa mentre il più grande mercato dei prodotti cinesi è l'Unione europea con la quale ha un fitto scambio di cuoio, suole, tomaie, cuciture, prodotti finiti e semilavorati.
La leadership mondiale nelle calature, come in altri da parte della superpotenza socialimperialista cinese, è dovuta anzitutto al supersfruttamento selvaggio dei lavoratori. Negazione sistematica dei diritti sindacali, salari da fame, licenziamenti e maltrattamenti sono le caratteristiche del non certo “armonioso” processo produttivo in questo settore. Come ha denunciato un’inchiesta realizzata a fine 2015 tra alcune decine di lavoratori di tre fabbriche della provincia di Guangdong, una delle aree più densamente industrializzate della Cina e centro della produzione di scarpe.
L'inchiesta è stata condotta da parte dell’organizzazione tedesca Südwind che assieme a altre 14 organizzazioni europee, di cui 2 italiane, e 3 asiatiche ha dato vita al progetto denominato Change your shoes, un progetto di studio delle condizioni di lavoro nelle grandi fabbriche di scarpe che si basa su tre principi: il diritto a un salario dignitoso e a condizioni di lavoro sicure dei lavoratori della filiera delle calzature e il diritto dei consumatori a prodotti sicuri e alla trasparenza del processo di produzione delle loro scarpe.
L'inchiesta dal titolo “Tricky Footwork. The Struggle for Labour Rights in the Chinese Footwear Industry” (La lotta per i diritti del lavoro nel settore calzaturiero cinese) si è basata in gran parte su interviste dei lavoratori di stabilimenti che producono per conto di noti marchi europei, da Adidas a Clarks. E ha evidenziato una lunga serie di violazioni dei diritti dei lavoratori, da bassi salari a orari insostenibili di una media di 10 ore al giorno, straordinari obbligatori, sicurezza inadeguata, tutele insufficienti per i più giovani, maltrattamenti e divieto di riunirsi in assemblea, repressione degli scioperi, contributi previdenziali non versati, liquidazioni insufficienti. Le operaie pagano per uno sfruttamento maggiore con salari inferiori a parità di lavoro e con violazioni delle leggi sulla tutela della maternità. Per battere i concorrenti capitalisti i nuovi padroni cinesi calpestano le leggi sul lavoro cinesi e gli standard internazionali di tutela come quelli indicati dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro. Per non parlare della foglia di fico dei cosiddetti “codici di condotta” per un maggior controllo dei fornitori adottati solo formalmente da quasi tutti i grandi marchi mondiali delle calzature.
Condizioni non del tutto diverse da quelle dei distretti del cuoio anche in Italia dove i metodi di supersfruttamento “cinesi” sono oramai largamente usati anche dai padroni grandi e piccoli italiani sui lavoratori italiani e quelli stranieri.
6 luglio 2016