La guerra fra le fazioni del M5S e la giunta Raggi
Gli assessori sono manager e burocrati delle istituzioni borghesi
Il 7 luglio nell'aula Giulio Cesare
del Campidoglio, con una cerimonia studiatamente festosa e informale grazie anche alla presenza di familiari e bambini, la neo sindaca di Roma Virginia Raggi ha presentato ufficialmente la nuova giunta capitolina interamente 5 Stelle. Presentazione salutata al grido di “onestà, onestà” dai leader romani e nazionali del movimento, presenti in forze escluso solo Luigi Di Maio perché in visita in Israele, colui che è considerato il principale artefice e controllore della nuova amministrazione Raggi, nonché il futuro candidato premier del movimento di Grillo alle prossime elezioni politiche. E che comunque non ha mancato lo stesso di apporre il suo marchio all'evento dichiarando da Tel Aviv che quella della Raggi, interamente composta da “esterni” al M5S, “sarà una squadra che farà meravigliare”. Negando al tempo stesso che sia stata selezionata col metodo Cencelli: “Niente di più falso”, ha smentito recisamente il vicepresidente della Camera.
Da parte sua Virginia Raggi ha fatto di tutto per marcare la “diversità” col passato e comunicare entusiasmo, annunciando nello stile del movimento la trasmissione in streaming delle sedute dell'assemblea capitolina e delle commissioni, e le “domeniche a porte aperte” a tutti i cittadini per avvicinarli “ai luoghi delle loro, delle nostre istituzioni”, per fare del Comune “la casa di tutti i romani”. Ha sottolineato di aver presentato la giunta nei tempi stabiliti, “il 7 luglio come avevo promesso, senza ritardi”; ha promesso di lavorare con “spirito di umiltà”, richiamandosi all'esempio di “famosi” sindaci PCI del passato come Luigi Petroselli e Giulio Carlo Argan; e ha proclamato che “la città è in macerie, ma questa è la nostra grande occasione, ce la faremo”. Infine ha rimarcato che “nessuno degli assessori è un politico, sono tutti cittadini”, e ha concluso con l'esortazione ai suoi a ricordarsi sempre “da dove siamo partiti: siamo cittadini, e tra i cittadini dobbiamo sempre rimanere”.
Ma le cose non stanno esattamente così e non sono andate proprio lisce come la retorica pentastellata diffusa a piene mani dalla Raggi dovrebbe far desumere. Non soltanto perché mentre in Campidoglio si celebrava il matrimonio coi “cittadini” i manifestanti dei movimenti per il diritto alla casa erano stati debitamente allontanati dalla piazza. Ma perché tutta la storia della schiacciante vittoria della Raggi e della formazione della giunta, dalla sua candidatura sancita dalle “comunarie” (le primarie del M5S), fino all'insediamento in Campidoglio e anche oltre, è una vicenda ininterrotta di lotte intestine tra opposte fazioni del M5S romano, che hanno messo in forse fino all'ultimo momento il rispetto dei tempi stabiliti per la presentazione della squadra. Il tutto con abbondanza di veti incrociati, annuncio di nomi di assessori e loro immediato siluramento, anatemi di Grillo e riunioni segrete con Davide Casaleggio, spostamenti continui di caselle già date per sicure, tanto che a tre giorni dal 7 luglio diverse deleghe erano ancora da attribuire e qualcuna ha cambiato titolare perfino il giorno stesso dell'insediamento; e una carica, quella di capo gabinetto del sindaco, è saltata e addirittura dopo l'insediamento ufficiale della giunta.
Una faida che dura da mesi
Questa faida era cominciata già diversi mesi fa, prima della candidatura della Raggi. E vedeva come consiglieri comunali e candidati rivali alle “comunarie” di febbraio la stessa Raggi, appoggiata dal deputato romano e membro del direttorio nazionale Alessandro Di Battista e dalla senatrice romana Paola Taverna, contro Marcello De Vito, il più votato alle ultime comunali e attualmente presidente del Consiglio comunale, già candidato del M5S contro Ignazio Marino nel 2013, appoggiato dalla influente deputata romana Roberta Lombardi, ex portavoce del movimento, già nota per le sue discusse dichiarazioni in favore di Casapound e del fascismo mussoliniano e contro l'articolo 18 e i sindacati. La Raggi aveva vinto la sfida, grazie anche ad un altro consigliere del movimento, Daniele Frongia, ex ricercatore dell'Istat, rieletto e attualmente vicesindaco della nuova giunta, che rinunciando alla sua candidatura in favore della Raggi ne aveva determinato la vittoria alle “comunarie”.
Anche Di Maio, che aveva inizialmente appoggiato De Vito, si è poi spostato entusiasticamente sulla Raggi dopo la sua trionfale elezione, scommettendo sul successo a Roma come trampolino di lancio per la conquista del governo da parte del movimento e di Palazzo Chigi da parte sua personale. Non a caso il vicepresidente della Camera è attivissimo in questo periodo nel frequentare i “poteri forti” per accreditarsi come futuro premier, tra cui molti banchieri, finanzieri, manager di grandi aziende pubbliche e private, un incontro con gli imprenditori italiani a Londra, una colazione privata con gli ambasciatori UE, e così via. Per non parlare del recente invito in Israele, da sempre la Mecca di tutti gli aspiranti presidenti del Consiglio italiani.
Per prudenza, comunque, pur scommettendo sulla Raggi, non ha mancato di affiancarle come assessore alle Politiche sociali, Laura Baldassarre, considerata “gli occhi e le orecchie di Di Maio” in Campidoglio. Secondo una ricostruzione de Il Fatto Quotidiano
, Raggi, Frongia e un altro consigliere pentastellato, Stefàno (il cosiddetto “raggio magico”), lo scorso dicembre avevano anche preparato un dossier contro De Vito, da lui smentito, accusandolo di abuso di ufficio per aver acceduto indebitamente agli atti di un'inchiesta su un immobile del Comune. Da qui l'inizio della faida senza quartiere tra la fazione Raggi-Frongia e De Vito-Lombardi che dura tutt'ora.
Lo scontro tra il “raggio magico” e il “mini direttorio”
Uno degli effetti immediati di essa è stato il siluramento di Frongia, che Raggi avrebbe voluto nominare suo capo di gabinetto, da parte del “mini direttorio” romano che il vertice nazionale del movimento ha affiancato alla neo sindaca, ufficialmente per “aiutarla” ma secondo i più per controllarla, se non addirittura per commissariarla, come suggeriscono malignamente le opposizioni. “Mini direttorio” romano che è composto dalla Lombardi, dalla Taverna, dall'eurodeputato Massimo Castoldi e dal consigliere regionale Gianluca Perigli, che rinfacciavano alla Raggi e a Frongia di aver scelto come vice di quest'ultimo, con potere di firma anche se temporaneamente e a titolo gratuito, Salvatore Marra, personaggio inviso al movimento in quanto ex collaboratore di Alemanno già da quando era ministro dell'Agricoltura con Berlusconi, e che l'ex sindaco fascista si era portato dietro anche in Comune. Non solo, ma Marra è stato pure collaboratore della giunta regionale della Polverini, e per di più era intimo amico di Franco Panzironi, ex ad dell'Ama (azienda comunale dei rifiuti), implicato in “mafia capitale” e condannato a 5 anni e 3 mesi per abuso d'ufficio e falso ideologico.
Raggi e il suo fedele alleato Frongia puntavano invece i piedi su Marra, indispensabile per firmare gli atti al posto di Frongia, in quanto quest'ultimo, secondo la legge Severino, non avrebbe potuto ricoprire quella carica se non dopo un anno. Anche Di Maio in un primo tempo sembrava appoggiare la nomina di Marra, dicendo che il M5S non aveva pregiudizi su nessuno, anche se aveva fatto parte di amministrazioni passate, mentre Di Battista si defilava dalla contesa. Ne nasceva un feroce scontro sedato solo dall'intervento di Grillo che dava ragione al “mini direttorio”, prima con un sms e poi con una telefonata diretta al cellulare della Raggi, dicendole senza tanti complimenti “così non va bene”, e “non esiste che tu possa avere in squadra uno come Marra”.
Spartizione col classico manuale Cencelli
Alla Raggi non restava che ingoiare il rospo, accettando di spostare Frongia a vicesindaco e cercarsi un altro capo di gabinetto e relativo vicecapo al posto di Marra, ma la faida con il mini direttorio continuava lo stesso, con la sindaca che accusava i quattro di averle “aizzato contro Grillo” e gli altri che a turno le impallinavano questo o quel candidato per la giunta. Con l'emarginato sindaco di Parma in attesa di espulsione, Pizzarotti, che si inseriva nella mischia scrivendo alla Raggi di avere il coraggio di scegliersi da sé i collaboratori, “anche se qualcuno cercherà di influenzarti”. E tutto questo mentre Di Maio negava tranquillamente che fosse in corso una faida, attribuendo tutto a invenzioni della stampa, colpevole di propalare “gossip” e “allucinazioni”, e vantandosi addirittura che “per quanto provino a farci apparire come gli altri, noi siamo una comunità”!
Alla fine si è arrivati a una tregua, ma solo all'ultimo tuffo e solo grazie al classico manuale Cencelli di democristiana memoria, con una spartizione degli assessorati tra le varie fazioni in lotta. Cosicché la Lombardi ha ottenuto la presidenza del Consiglio comunale con De Vito e ha imposto Daniela Morgante, magistrato della Corte dei conti e assessore al Bilancio con Marino come capo di gabinetto del sindaco al posto dell'odiato Frongia. La Morgante è stata poi ricusata dalla Raggi, proprio perché considerata infida e agente della Lombardi. Al suo posto è stata nominata Carla Raineri, magistrato della Corte di appello di Milano e già capo della segreteria del prefetto Tronca.
La Taverna ha ottenuto l'assessorato all'Ambiente e ai rifiuti, con Paola Muraro, esperta di rifiuti, in conflitto di interessi perché già consulente dell'Ama, con la quale ha in corso un contenzioso per un progetto non pagato, e la delega alla Cultura, con Luca Bergamo, ex collaboratore delle giunte Rutelli e Veltroni, oggi civatiano. Di Maio, oltre alla già citata Baldassarre ai Servizi sociali (che con la delega all'immigrazione ha già promesso il “superamento” dei campi Rom), ottiene la nomina del bocconiano e dirigente della Consob (società di controllo della Borsa) ed ex della squadra di Tronca, Marcello Minenna, come super assessore al Bilancio con delega al Patrimonio e alle Partecipate (Ama, Acea, Atac e altre aziende comunali): anche per lui si ipotizza conflitto di interessi, giacché l'Acea è quotata in Borsa e lui non intende mettersi in aspettativa dalla Consob.
Di Battista ottiene la nomina di Paolo Berdini all'Urbanistica, ingegnere e storico collaboratore del movimento, amico non solo di Di Battista ma anche di Frongia, col quale ha scritto un libro, e noto per essere nemico dei palazzinari e contrario al nuovo stadio della Roma. Anche lui però chiacchierato per una vicenda di una presunta consulenza non fatturata. Non manca neanche un rappresentante di Davide Casaleggio, Adriano Meloni, ex ad di Expedia, da anni collaboratore della Casaleggio associati, al quale va l'assessorato allo Sviluppo e commercio.
Nel complesso si tratta quindi di una giunta formata interamente da manager di aziende pubbliche e private e burocrati delle istituzioni borghesi, molti di loro con conflitti di interesse più o meno conclamati, e ognuno di loro rispondente direttamente a questo o quel dirigente romano e/o nazionale del M5S. E guidati da una sindaca anche lei tutt'altro che “specchiata”, sulla quale pende l'ombra di aver fatto il praticantato da avvocato nello studio Previti senza averlo dichiarato nel curriculum e quella di due consulenze per aziende pubbliche anch'esse non dichiarate nel curriculum. Senza contare, come è emerso nelle pieghe di questa faida romana, che in passato la Raggi ha partecipato a una società di recupero crediti, la Hgr, insieme alla segretaria di Panzironi, Gloria Rojo, precedente anche questo “dimenticato” nel curriculum.
Questa vicenda romana conferma emblematicamente la prevedibile “mutazione genetica” del movimento ideato da Grillo, nato a parole per scardinare le istituzioni “da fuori” e finito dopo pochi anni per integrarsi appieno nelle stesse vituperate istituzioni, assorbendone e praticandone tutti i riti e i vizi, comprese le faide tra correnti e le spartizioni di posti di potere. Come del resto è già successo prima per tanti altri partiti e movimenti che si spacciavano per “antisistema” e “alternativi”, e che invece hanno finito per coprire e legittimare lo screditato e corrotto regime capitalista, neofascista agli occhi delle masse popolari.
13 luglio 2016