Elezioni politiche in Spagna
Aumentata la diserzione dalle urne
Fallite le illusioni governative riformiste di Podemos
Le elezioni politiche del 26 giugno in Spagna hanno dato sostanzialmente lo stesso risultato di quelle del 20 dicembre scorso, nessun vincitore assoluto e una condizione di equilibrio fra le quattro principali formazioni in lizza. Il Partito Popolare del premier Mariano Rajoy si è confermato al primo posto e dal Pp ripartirà la giostra delle consultazioni per la formazione di un nuovo esecutivo che per sei mesi non ha dato alcun esito. Il dato significativo è l'aumento della diserzione delle urne che è cresciuta di 3,4 punti percentuali, dal 26,8% del 2015 al 30,2%, che ne fa il primo partito con quasi un terzo dei circa 36 milioni di elettori; un aumento che secondo vari studi sui flussi elettorali è stato alimentato sostanzialmente dall'elettorato che ha abbandonato la coalizione della “sinistra” borghese formata da Podemos e Izquierda Unida.
Rispetto ai voti validi, i Popolari (Pp) col 33% dei consensi hanno conquistato 137 seggi su 350 (+14 sul 2015), il Partito Socialista Operaio Spagnolo (Psoe) di Pedro Sanchez è arrivato al 22,7% conquistando 85 seggi (-5 sul 2015), la coalizione Unidos Podemos (Up) tra Podemos di Pablo Iglesias e Izquierda Unida si è fermata al 21,1% e conquistato 71 seggi (gli stessi delle due formazioni nel 2015), Ciudadanos (CS) di Albert Rivera si è fermato al 13,1% e a 32 seggi (-8 sul 2015). Altre formazioni minori hanno avuto 25 seggi (-1).
Rajoy ha avviato il 9 luglio le consultazioni con gli altri partiti e ha proposto come prima opzione una Gran Coalicion con Psoe e CS, respinta però dal socialista Sanchez socondo il quale i socialisti “andranno all’opposizione”. Prima del voto il leader di Podemos, Pablo Iglesias, aveva affermato che “prima o poi governeremo la Spagna. Spero sia ora, perché il paese non può aspettare. Ci sono solo due opzioni: un governo con il Pp o noi. Deciderà il Psoe”. Stando così le cose è possibile una nuova tornata elettorale, la terza in meno di un anno.
Il Pp del premier Rajoy ha recuperato sul 2015 a scapito però del potenziale alleato di destra Ciudadanos, a cui avrebbe sottratto alcune centinaia di migliaia di voti, e comunque i due partiti assieme hanno perso consensi. Il Psoe ha tenuto la posizioni riuscendo a rimanere la seconda formazione politica e evidenziato il fallimento delle illusioni governative riformiste di Podemos, una vera e propria sconfitta elettorale di Unidos Podemos che perde un milione di voti rispetto allo scorso anno.
Il 20 dicembre 2015 Podemos aveva preso 5,189 milioni di voti e Izquierda Unida quasi un milione. Il 26 giugno la loro coalizione ha raccolto solo 5 milioni di voti; quasi 800 mila voti del milione “mancante”, per lo più di elettori giovani, sarebbero andati alla diserzione delle urne. Podemos ha significativamente perso consensi anche in tante città dove governa, più di 100 mila nella Madrid amministrata dalla coalizione col Psoe.
Pablo Iglesias e Alberto Garzon, i leader di Podemos e di Izquierda Unida, non hanno potuto che riconoscere il risultato negativo del voto per loro che puntavano a superare il partito socialista e porre le basi per un “governo del cambio”.
Per strizzare l'occhio all'elettorato socialista Iglesias è arrivato fino a definire Josè Luis Rodriguez Zapatero “il miglior presidente del consiglio” che la Spagna abbia avuto negli ultimi decenni, ovvero l’ultimo primo ministro del Psoe prima di Rajoy travolto dalla crisi economica che fino all'ultimo aveva negato, modello Berlusconi. “Senza il Partito socialista non ce la faremo. Stiamo già governando le principali città spagnole grazie a loro”, affermava dimenticandosi i pesanti attacchi fino a poco prima lanciati al Psoe, uno dei due pilastri del sistema bipolare spagnolo fondato sulla corruzione, il centralismo e la repressione di ogni forma di dissidenza, il liberismo sfrenato e una subalternità totale ai diktat dell’Unione Europea che solo un anno fa Podemos si glorificava di aver abbattuto.
Da tempo Podemos ha “ripulito” il suo programma dagli obiettivi più di “sinistra” che avevano caratterizzato la sua nascita; una parabola verso destra seguita da altre formazioni della “sinistra” borghese europea che si è completata in alcuni anni magari dopo la vittoria alle elezioni e l’ascesa al governo, tipo Syriza in Grecia. La formazione di Pablo Iglesias ha bruciato le tappe, tentando immediatamente di accreditarsi come forza politica “responsabile e moderatamente riformista” presso i think tank e le istituzioni economiche e finanziarie spagnole e internazionali. Con un percorso simile a quello del M5S in Italia che però partiva da posizioni meno di “sinistra”.
Podemos affonda le proprie radici nel movimento degli indignados, nato nel 2011 per protestare contro le politiche di austerity causate dalla crisi economica in Spagna. Il 12 gennaio 2014 alcuni intellettuali e accademici spagnoli presentavano un manifesto che puntava a trasformare il movimento in una lista da presentare alle elezioni europee del maggio di quell'anno. Pablo Iglesias era scelto come portavoce del movimento che era presentato ufficialmente il 16 gennaio e lo impersonificava tanto che la sua foto era il simbolo della formazione alle europee.
In una intervista Iglesias affermava che i suoi punti di riferimento culturali sono “sicuramente Gramsci e Marx. Dopo la morte di Eric Hobsbawm (lo storico inglese di formazione revisionista, ndr) invece mi sto appassionando a Perry Anderson, l'ex direttore della rivista New Left Review”. Seguendo Gramsci affermava di vedere la politica come “una partita a scacchi”, immagine moderna della guerra di posizione gramsciana, e difendeva Karl Kautsky “passato alla storia come un rinnegato, vittima in Stato e Rivoluzione dell'ira rivoluzionaria di Lenin che non vedeva la politica come una partita di scacchi ma come un incontro di boxe”. Per non essere frainteso chiariva che “oggi per fortuna non c'è spazio per questo tipo di politica nel sud Europa”.
Tra i punti principali dell'agenda politica di Podemos quello di spazzare via i partiti politici spagnoli tradizionali e la classe politica del Paese definita come casta; la nazionalizzazione di numerosi servizi del Paese, l'introduzione di un salario minimo garantito e la limitazione dell'intervento sull'economia spagnola da parte di lobby, banche e organizzazioni internazionali. In una intervista del 20 novembre 2014 Iglesias affermava che “piegheremo la Bce e usciremo dalla Nato”.
Nel maggio 2014 Podemos raccoglieva più di un milione di voti, l'8% dei voti validi e conquistava cinque parlamentari europei nel nome di una netta opposizione alle politiche di austerità volute dall'Unione europea. Nel 24 maggio 2015 il balzo nelle elezioni amministrative dove i candidati sostenuti da Podemos conquistavano la poltrona di sindaco a Madrid, Barcellona, Saragozza, La Coruña, Pamplona, Cadice, Santiago de Compostela e Badalona.
La crescita di Podemos continuava dalle amministrative alle politiche del dicembre 2015 con un programma generale già “rivisto”. Nelle liste di Podemos era presente José Julio Rodríguez, generale spagnolo della Nato ed ex capo di Stato Maggiore ai tempi del premier socialista Zapatero, già a capo della missione militare di Madrid in Afghanistan e coordinatore dell’aggressione militare alla Libia nel 2011. La candidatura dell'ex generale esplicitava la decisione di Podemos di non voler più mettere in discussione l’adesione della Spagna all’Alleanza Atlantica. Rodriguez era candidato di nuovo alle elezioni di giugno prossimo ad Almeria, in Andalusia alla testa della lista Unidos Podemos assieme ai verdi di Equo.
Nella campagna delle amministrative di giugno sia Iglesias che alcuni dei suoi stretti collaboratori sono stati impegnati in un vero e proprio tour allo scopo di presentare la formazione politica viola come “la nuova socialdemocrazia”. “Non ci lamentiamo se ci chiamano i nuovi socialdemocratici” affermava Iglesias nel suo intervento presso l’assemblea organizzata a Sitges dal Cercle d’Economia, una delle principali organizzazioni imprenditoriali catalane. Un discorso farcito tra l'altro di citazioni di un esponente del Psoe dei tempi di Felipe Gonzalez, che impose in Spagna politiche neoliberiste prima che ciò avvenisse nel resto del continente.
Spariti dai discorsi elettorali riferimenti alla nazionalizzazione di banche e settori strategici, di non pagare il debito pubblico secondo i parametri Ue, di riportare la pensione a sessant’anni. E dopo il voto del referendum inglese che ha assestato un duro colpo all'Unione europea imperialista Iglesias affermava: “Giorno triste per l’Europa. Va cambiata, perché da un’Europa giusta e solidale nessuno vorrebbe andarsene. Cambieremo l’Europa” con una dichiarazione di fede europeista che lo colloca a copertura delle classi dirigenti capitaliste e imperialiste europee che dice di voler combattere. Dopo queste giravolte può darsi che riesca a coronare il suo sogno: “Io sarò il primo ministro di un governo coi socialisti”.
13 luglio 2016