Finito nella rete anche l'ex assessore ai trasporti nella giunta Marino, Guido Improta
13 indagati per la truffa della Metro C
Spesi 320 milioni per lavori mai fatti
Lo scorso 11 luglio la guardia di finanza, su disposizione della procura della Repubblica di Roma, ha effettuato una perquisizione nella sede del Consiglio comunale di Roma e in quella della società Roma Metropolitane, con sequestro di copiosa documentazione che riguarda la metro C.
In particolare è stato sequestrato tutto il carteggio relativo ai rapporti amministrativi tra i due ex assessori della giunta Marino responsabili rispettivamente della mobilità e del bilancio, Guido Improta e Daniela Morgante, che avevano a lungo dibattuto all’interno della giunta per gli appalti alla metro C.
Il filone di indagine sugli appalti per la Metro C, che ha portato ai sequestri di documentazione, è quello che vede indagate 13 persone tra amministratori locali, dirigenti di Roma Metropolitane e vertici di Metro C per il reato di truffa aggravata ai danni di enti pubblici.
Tra gli indagati i nomi più importanti sono sicuramente quelli dell’ex assessore capitolino nonché rutelliano doc Guido Improta e dell'ex dirigente del ministero dei Trasporti, Ercole Incalza, ma anche Roma Metropolitane e Metro C hanno visto finire sotto inchiesta una buona parte della dirigenza passata e anche attuale: per Roma Metropolitane sono infatti finiti sotto inchiesta il direttore tecnico Luigi Napoli, il consigliere di amministrazione Massimo Palombi, il responsabile unico del procedimento Giovanni Simonacci, i consiglieri del Cda, Luadato e Nardi e il responsabile unico del procedimento Sciotti, mentre per Metro C sono stati iscritti nel registro degli indagati il presidente Franco Cristini, l'amministratore delegato Filippo Stinellis, il direttore generale Francesco Maria Rotundi e il direttore dei lavori Molinari.
Secondo i pm alcuni indagati inducevano in errore lo Stato (e nella fattispecie il Comitato interministeriale per la programmazione economica), la Regione Lazio e il Comune di Roma, ossia i tre enti finanziatori della costruzione della linea C della metropolitana di Roma, circa il dovuto pagamento dell'importo di 230 milioni di euro, procurando un ingiusto profitto alla società Metro C, in quanto la somma non era dovuta.
Peraltro tale somma, erogata fino al 2014, non è mai stata spesa per proseguire i lavori, che infatti sono fermi ormai da anni, e su tale illecito utilizzo dei soldi pubblici sono in corso, oltre a quella della magistratura ordinaria che ha portato ai sequestri di documenti, anche tre inchieste della corte dei conti aperte da tempo insieme a quella della procura di Roma.
Già nel novembre del 2013 infatti il procuratore regionale della Corte dei Conti, Angelo Raffaele De Dominicis, comunicava alla stampa che erano in corso da parte del suo ufficio tre distinte inchieste: la prima è relativa all'abnorme lievitazione dei costi dell'opera, la seconda - nata da un esposto di un giudice della sezione controllo della stessa corte - riguarda irregolarità nella delibera Cipe del 2012 che ha stanziato i 253 milioni necessari a chiudere il contenzioso tra la stazione appaltante Roma Metropolitane e il consorzio di imprese vincitore della gara, e la terza verte invece sui possibili danni all'area archeologica dei Fori derivanti dai lavori tra San Giovanni e piazza Venezia.
In quella occasione De Dominicis fece un vero e proprio atto di accusa nei confronti degli amministratori locali, che il magistrato accusò senza mezzi termini di non vigilare sull’impiego del denaro pubblico, e anche nei confronti degli interessi privati delle ditte costruttrici, accusate da De Dominicis di tenere un comportamento torbido con la complicità di Roma Metropolitane (la società che per conto del Campidoglio segue la realizzazione dell'opera) per allungare artificiosamente i tempi della realizzazione dell’opera, al fine di incassare di più.
È come dire, in altre parole, che nel sistema capitalista gli amministratori e i dirigenti locali, che dovrebbero attentamente vigilare affinché gli interessi privati delle ditte appaltatrici non prevalgano sugli interessi pubblici che vanno a vantaggio della collettività, rimangono invece irretiti proprio da quegli interessi delle ditte private che dovrebbero controllare, con il risultato che le opere pubbliche rallentano e lievitano di costi a danno di tutta la collettività.
20 luglio 2016